Di seguito propongo la traccia del mio intervento al convegno "L’autorità nei percorsi di cura, tra obbligatorietà e consenso", che si terrà a Milano il prossimo 27 settembre (qui i dettagli), in risposta alle tre domande-stimolo proposte dagli organizzatori.

- La comunità per adolescenti, come soggetto istituzionale radicato nel tessuto sociale ed in rete con i servizi socio-sanitari e giudiziari del territorio, trova la propria peculiarità nella sfida di articolare dimensioni fra loro antitetiche: quella del sociale con quella dell’individuale, del pubblico con quella del privato, del contesto coatto con quello riparativo, della funzione di controllo con quella di sostegno e della temporaneità della cura del singolo con quella della permanenza nel tempo del suo essere istituzione.

A partire da questa prospettiva, la tavola rotonda si propone come occasione di confronto sui seguenti interrogativi:

1. Nel percorso di costruzione del senso di Sé dell’adolescente, come può la comunità mettere in dialogo istanze di tutela e di cura? Quali sono le possibili sinergie o criticità fra mandato giudiziario e progettualità clinica?

Forza e paradossi della giustizia minorile
Il modello educativo di ARIMO è maturato ispirandosi ai principi di una legge innovativa e sfidante come quella che regola il sistema della giustizia penale minorile, basato sulla lettura del reato come richiesta di aiuto agli adulti e sulla fiducia nelle possibilità di cambiamento dei giovani, anche se portatori di grandi sofferenze, carenze, traumi.

Le 3 comunità e gli Appartamenti di Arimo accolgono giovani collocati con decreto penale, civile o amministrativo disposti dal Tribunale per i Minorenni; l'invio da parte del TM permette ai nostri Servizi di proporsi al giovane come strumento di una strategia più ampia, stabilita da un Giudice per tutelare e favorire la sua crescita: "obbligatorietà e consenso", per citare il titolo della giornata, trovano infatti una prima sintesi nel pronunciamento del Giudice, che resta il vero custode di una scelta che può così essere messa in forse anche ogni giorno, senza che per questo debba realmente rischiare di essere annullata.   Questo movimento permette agli educatori di posticipare il tema "scivoloso" della fiducia ("non è necessario che tu ti fidi di noi subito per poterti accogliere e per fare un buon lavoro"), e ai giovani di poter accogliere una opportunità educativa aggirando gli ostacoli del conflitto di lealtà ("non è mia volontà allontanarmi dalla famiglia, ma sono costretto a farlo...", "è il Giudice che mi ha costretto ad abbandonare il mio quartiere, il mio gruppo...") o della paura del fallimento ("non vado in comunità per provare a cambiare, ma per evitare il carcere...").

Sul tema della "fiducia", l'istituto della "messa alla prova", l'opportunità che maggiormente caratterizza il dpr.448/88, vive due paradossi con i quali tutti gli operatori devono misurarsi:

  1. da una lato c'è il fatto che la fiducia dei giovani negli adulti, che sembra essere una pre-condizione per poter accogliere una proposta così impegnativa e faticosa come una m.a.p., è in realtà più spesso un esito del progetto che non una premessa; anzi, per certi versi è il principale (e spesso non raggiungibile) obiettivo del percorso. I giovani che vengono collocati in comunità hanno generalmente maturato una immagine degli adulti come inaffidabili. Infanzie caratterizzate da maltrattamenti, abusi, violenze, cure discontinue e imprevedibili, abbandoni, rendono molto complicato ai nostri giovani ospiti il riorganizzare la propria opinione degli adulti, e caratterizzato da grande ambivalenza il percorso nella ricerca di potersi nuovamente affidare. In effetti, se proviamo a metterci dalla parte dei ragazzi, la richiesta che facciamo loro è paradossale: questi giovani non hanno potuto affidarsi agli adulti nel momento in cui ne avrebbero avuto vitale necessità, e pertanto sentono di aver dovuto "cavarsela da soli"; adesso che hanno raggiunto una età nella quale il compito evolutivo sarebbe quello di prendere le distanze dagli adulti di riferimento, noi gli chiediamo invece di affidarsi, e per giunta a dei perfetti sconosciuti!
  2. dall'altro c'è la difficile ricerca di una sintesi tra tempi e obiettivi: la Giustizia Minorile, infatti, dispone che il giovane "transiti" nel sistema dei Servizi per il tempo più breve possibile; dall'altro prevede la necessità di mettere a disposizione del giovane tutti gli strumenti necessari per fornirgli le opportunità che hanno avuto i coetanei più "fortunati". Durata e contenuti dei progetti di m.a.p. sono perciò la risultanza del compromesso tra queste due istanze, entrambe di primaria importanza; risulta così molto spesso che i progetti di m.a.p. (così come quelli maturati in contesto "civile" o "amministrativo") vengano a concludersi mentre il percorso di crescita e cambiamento è ancora molto fragile e paradossalmente la fiducia negli adulti (e nelle proprie capacità di cambiamento) inizia a consolidarsi.

2. Come articolare tempi di cura e di crescita psichica dell'adolescente, in particolare intorno al nodo dell'acquisizione della maggiore età e delle possibilità offerte dai provvedimenti di prosieguo amministrativo?

Il Dopo
Quanto esposto in risposta alla prima sollecitazione si lega al secondo tema, ovvero quello dei tempi. Su questo Arimo si spende da molti anni per richiamare l'attenzione degli operatori sul tema del "dopo" e dei neo-maggiorenni[1], e ha dato vita ad un Servizio denominato "A partire dalla fine", che si occupa proprio di accompagnare i giovani dalla conclusione dei percorsi disposti dal TM fino al pieno raggiungimento dei loro obiettivi di crescita. La premessa da cui è nato il Servizio è che la conclusione di questi percorsi è da tempo circondata da incertezza e “falsi miti”, l'ultimo dei quali pone l'accento sul tema della conquista dell'Autonomia. In realtà il sistema dei Servizi è tendenzialmente dedicato alla protezione e alla tutela, e una completa autonomia dei giovani è difficilmente riscontrabile al termine dei percorsi di affiancamento messi in campo dai Servizi, e capita così che la conclusione di questi percorsi si trasformi in una sorta di "sabato del villaggio", dove le aspettative per il domani vengono sonoramente deluse. Con l'approssimarsi della conclusione delle misure penali (o con l'avvicinarsi della maggiore età dei giovani), assistiamo da parte di tutta la rete di operatori coinvolti ad una sorta di "corsa all'udienza", dove la preoccupazione è soprattutto il buon esito della misura disposta dal Tribunale per i Minorenni. Questa preoccupazione ci rende difficile fermare l'attenzione sulle effettive capacità e sui reali bisogni dei ragazzi: da un lato, infatti, li consideriamo ancora bisognosi di una guida forte, e tendiamo a sostituirci a loro nelle scelte fino all'ultimo giorno del percorso; dall'altro proponiamo loro l'obiettivo di una non meglio precisata "autonomia", da conseguire subito dopo l'uscita dalle comunità o dal sistema dei servizi.

Ma chi è dunque il care leaver? E' un giovane incapace di fare le sue scelte senza il sostegno degli operatori, o è un quasi-adulto che si appresta a prendere in mano la propria indipendenza? E' davvero possibile per i giovani care-leavers potere accedere ad una Autonomia affettiva, funzionale, economica, abitativa,..? O forse bisognerà ritarare le aspettative di giovani e adulti, esplicitando meglio quali autonomie siano adeguate al giovane e quali sono da mettere in preventivo per gli anni a venire?

I dati emersi dalla sperimentazione di "A partire dalla fine" (120 casi nel triennio 2009/11)[2] sono difficilmente equivocabili: solo una piccola percentuale dei giovani possiede una strumentazione minima per potersi pensare in autonomia. Il dato sulla stabilità professionale al momento delle segnalazioni (solo il 5% dei giovani ha un lavoro stabile) è apparentemente quello che in maniera più pacifica ci porta a escludere l'autonomia per questi ragazzi. In realtà la questione è più complessa: nei ragazzi manca proprio la motivazione alla autonomia; al termine dei percorsi la maggior parte dei giovani desidera rientrare in famiglia, nella speranza di poter riprendere una convivenza affettiva "pacificata" con il proprio nucleo di appartenenza (o addirittura recuperare quanto è mancato in passato!). Il "movimento" che abbiamo osservato nei giovani alla fine dei percorsi con i Servizi non è pertanto progressivo, non è di ricerca di autonomia.

Va anche segnalato che la maggior parte dei nuclei famigliari nei quali sono tornati a risiedere i ragazzi del nostro campione, sono nuclei già segnalati ai Servizi per sofferenze psichiatriche, per maltrattamenti, per scarsa cura, per detenzioni. E' pertanto difficile supporre che i giovani rientrino in famiglie con buone capacità di promozione dell'autonomia. Insomma, mancano ai giovani del nostro campione gli strumenti per gestire praticamente l'autonomia, e mancano le condizioni minime per desiderare un "buon distacco" (base sicura, esperienze passate di successo, disponibilità dei genitori,...).

Alla luce di quanto esposto, noi consideriamo ogni volta quasi "miracoloso" il fatto che questi giovani, pur tra mille difficoltà e spesso verso la fine dei percorsi con i Servizi, decidano di affidarsi a questi adulti estranei. Eppure questo avviene nella maggior parte dei casi: i giovani ospiti di comunità, noi vediamo che decidono, dopo un doloroso "corso accelerato" di relazione con  adulti affidabili, di accettare la nostra proposta e ci investono pertanto della responsabilità di aiutarli a "diventare grandi".

E' per questo che consideriamo inaccettabile il tradimento di aspettative che noi stessi creiamo ogniqualvolta decidiamo di chiedere ai ragazzi di "affidarsi". Quando finalmente i nostri giovani ospiti decidono di accettare la nostra proposta, troppo spesso si sentono rispondere che "adesso sono pronti per l'Autonomia"...o che dovranno completare questo percorso di crescita con quegli stessi adulti che non sono riusciti neanche a fornirgli le cure essenziali.

Il problema dell'Autonomia al termine dei percorsi coi Servizi non è pertanto minato "solo" dall'evidente mancanza di strumenti concreti (lavoro, casa,..), ma soprattutto dall'impreparazione emotiva ed affettiva di giovani che stanno timidamente iniziando ad apprezzare il fatto di potersi affidare!   Riteniamo così che siano da rivedere decisamente le aspettative nostre, dei giovani e delle loro famiglie per la fine dei percorsi di tutela con i Servizi. Continuare a porre l'Autonomia come esito di tali percorsi, infatti, se da un lato ci facilita il distacco, dall'altro mette a rischio i giovani di andare incontro ad una sonora delusione.

E' pertanto importante che si dia vita ad un confronto tra operatori che permetta di declinare meglio le possibili aspettative per l'"uscita" dai percorsi con i Servizi, prevedendo nel contempo un utilizzo più mirato e "personalizzato" dei decreti di Prosieguo Amministrativo. Da un lato, pertanto, ci sembra indispensabile – per non vanificare tutti gli sforzi (anche economici!) messi in atto dai giovani, dagli operatori e dalle Amministrazioni – prevedere la possibilità di sostenere i percorsi di crescita dei giovani anche al termine delle misure penali o al raggiungimento della maggiore età.

Dall'altro, però, riteniamo importante sottolineare la necessità che questi interventi creino una significativa discontinuità con l'approccio proposto durante la fase "intensiva" del percorso con i Servizi: i ragazzi sono ormai maggiorenni, ed è importante fare ogni sforzo per stimolare in loro capacità di scelta, di iniziativa, di autonomia e permettergli di fare proprie strategie di problem solving, anche acquisite per "prove ed errori", e anche se non condividiamo fino in fondo le loro scelte.


3. Come può la comunità terapeutica per adolescenti rispondere, con efficacia clinica e legale, al complesso problema degli agiti antisociali e delle fughe degli ospiti dalla struttura comunitaria?        

Regole e meta regole
La legge e la consapevolezza di essere parte di una rete a noi sembra che indichino con inequivocabile chiarezza la strada da seguire per rispondere alle grandi sfide trasgressive portate dai nostri ospiti; molto spesso, però, ci siamo trovati a confrontarci con posizioni differenti. Ci sembra pertanto utile esplicitare le premesse da cui discende la prassi operativa dei Servizi di Arimo: c'è una importante differenza tra il trasgredire le regole della comunità e il trasgredire quelle della società. Nel primo caso la responsabilità della sanzione compete all'équipe degli educatori; nel secondo, invece, la competenza di definire la natura della trasgressione e le conseguenze che ne discendono non è stata in alcun modo delegata alla comunità, e pertanto resta completa pertinenza delle forze dell'ordine e della Magistratura.

Mi riferisco, naturalmente, a tutto ciò che si configura (o sembra configurarsi) come commissione di reato. Siamo abituati ad accogliere nei nostri Servizi i giovani autori di reato condividendo con loro l'importanza di aver finalmente ricevuto una risposta da parte del mondo degli adulti, ed enfatizzando la massima fiducia nei Giudici. Quando però il reato viene commesso da un giovane ospite, troppo spesso le comunità sembrano dimenticarsi di queste premesse, e scelgono di non denunciare l'accaduto, come se la denuncia fosse un modo per "rovinare" il ragazzo. Ma come? Quando lo abbiamo accolto gli abbiamo detto l'esatto contrario! Rispondere delle proprie azioni di fronte alle autorità, esattamente come accade a qualsiasi altro cittadino, è un diritto oltre che un dovere dei nostri ospiti. Le comunità non sono in alcun modo autorizzate a sostituirsi alle Istituzioni, né nel giudicare né nel sanzionare azioni che sembrano con evidenza configurarsi come reati. La scelta educativa di Arimo è pertanto quella di mettere al corrente forze dell'ordine e Tribunale dell'accaduto, e nel contempo non espellere il giovane, essendo anche questa una ottima opportunità di lavoro educativo e di cambiamento. Naturalmente, nel percorrere questa strada, resta agli operatori la responsabilità di mettere in gioco tutta la propria autorevolezza educativa. La nostra esperienza ci conforta sotto il profilo dei risultati educativi: un posizionamento così chiaro ha nella maggior parte dei casi sortito un maggiore investimento del giovane e un rinforzo dell'alleanza educativa.

Anche riguardo alle fughe di ospiti minorenni la procedura di legge non lascia molto spazio alla fantasia; se poi sono giovani in misura penale o addirittura in misura cautelare lo spazio decisionale della comunità è quasi nullo. Sotto il profilo educativo, invece, le fughe, come le trasgressioni, sono parte naturale e ineliminabile dell'eccesso adolescenziale, di quell'esondare del contenuto rispetto al contenitore, di quel bisogno di procedere nella crescita anche attraverso la fuga e il conflitto, di quella necessità di capire chi siamo prima di affidarsi, che caratterizza la tipologia di utenza di cui si occupano i nostri Servizi.

Credo che il punto sul quale portare l'attenzione sia il bisogno di completare un percorso culturale già in atto, che permetta alle comunità di non sentirsi più "organismi extraterritoriali" detentori di poteri e responsabilità che devono restare saldamente in mani altrui, ma uno degli strumenti (certamente spesso quello di maggior "peso") di una rete di interventi che deve avere il suo apice nella Regia del Servizio Sociale cui il Tribunale ha affidato il minore.



[1]    Per approfondimenti, vedi:

      - P.Tartaglione, “A partire dalla fine: nuovi obiettivi e strumenti per i giovani in uscita dal sistema dei Servizi” in G.Munforte, L.Bertolè, P.Tartaglione, a cura di, Educare al futuro. Esperienze e strumenti di contatto con l'eccesso adolescenziale, Franco Angeli, Milano, 2013

      -  P.Tartaglione, “A partire dalla fine: quando è la Realtà la vera Educatrice”, in P.Bastianoni, F.Zullo, a cura di, Neomaggiorenni e autonomia personale: fattori di resilienza e percorsi di emancipazione, Carocci, Roma, 2012

[2]    Per consultare i dati della sperimentazione, vedi: http://apartiredallafine.wordpress.com/2011/06/03/48/