Nei giorni in cui nel nostro Paese, e in gran parte del mondo, vengono messe in atto misure sempre più rigorose per tenere a distanza le persone per rallentare la diffusione del coronavirus, gli esperti di salute mentale avvertono che perdere i quotidiani contatti sociali comporta pesanti costi psicologici. E tali costi potrebbero aumentare man mano che tali misure si prolungano.

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Per alcune persone, afferma il professor Joshua Morganstein, psichiatra ed esperto di salute mentale in situazioni di calamità o disastro, la mancanza di connessione sociale sembra avere un impatto tanto forte quanto il non mangiare.

La ricerca sul costo psicologico del distanziamento sociale durante le epidemie non è molto estesa. Uno studio pubblicato pochi giorni fa su Lancet marzo fornisce alcuni ragguagli in merito. I ricercatori hanno valutato 24 studi esaminando gli esiti psicologici delle persone in “quarantena”, una forma estrema di distanziamento sociale, durante epidemie di SARS, influenza H1N1, Ebola e altre malattie infettive dai primi anni 2000.

Molte persone in quarantena hanno avuto problemi di salute mentale sia a breve che a lungo termine, tra cui stress, insonnia, esaurimento emotivo e abuso di sostanze. Ad esempio, uno studio ha confrontato soggetti in quarantena rispetto a soggetti non in quarantena durante un focolaio di influenza equina. Delle 2.760 persone in quarantena, il 34 percento (938 individui), hanno riportato alti livelli di disagio psicologico, i quali possono indicare problemi di salute mentale come ansia e depressione, durante l'epidemia rispetto al 12 percento degli individui non in quarantena.

Un altro studio ha esaminato gli effetti dell'epidemia di SARS del 2003 su 549 lavoratori ospedalieri a Pechino. Coloro che sono stati messi in quarantena o hanno lavorato in contesti ad alto rischio - quasi la metà del campione - hanno riportato livelli più alti di abuso di alcol tre anni dopo rispetto ai lavoratori con un'esposizione meno intensa all’epidemia.

Alcuni fattori hanno aumentato il rischio di problemi psicologici, come una quarantena prolungata oltre i 10 giorni (che è stata assimilata soprattutto a uno stress post-traumatico), scarse informazioni sulla logica e sul perché della quarantena e mancanza di accesso alle forniture di beni e ai servizi di telecomunicazione necessari.

L'attenuazione di tali rischi può ridurre la probabilità di problemi di salute mentale, afferma il coautore della ricerca Neil Greenberg, psichiatra. "Sebbene l'isolamento possa essere spiacevole", afferma, "non deve necessariamente causare gravi problemi di salute mentale".

La ricerca suggerisce inoltre che forme di distanza sociale anche meno estreme, come dover stare a qualche metro di distanza da altre persone o evitare uscite regolari, potrebbero avere conseguenze psicologiche.

La possibilità che la distanza sociale divenga un evento traumatico a lungo termine è quello che preoccupa lo psichiatra Damir Huremovic. I problemi di salute legati all’isolamento sociale tendono a scaturire quando la situazione si prolunga al di là di alcune settimane. Separare le persone le persone le une dalle altre per mesi significa che gli effetti secondari della pandemia, quali come recessione, disordini sociali e disoccupazione, potrebbero innescare difficoltà imprevedibili e diffuse di salute mentale.

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Particolarmente a rischio sono gli anziani, i quali si ammalano di più per il coronavirus e già sperimentano alti tassi di isolamento sociale. Con l'avanzare dell'età, spesso perdono la capacità di muoversi e socializzare e il loro sistema di supporto si riduce man mano che gli amici e i familiari muoiono. Ricerche recenti hanno evidenziato come le persone di età pari o superiore a 65 anni siano socialmente isolate, con pochi rapporti sociali o rari contatti con gli altri. Buona parte delle persone anche leggermente più giovani in tali ricerche hanno dichiarato di sentirsi sole.

"Esisteva già molta distanza sociale tra di noi, prima delle misure che cercano di contenere l’epidemia" affermano gli autori.

Tale solitudine e isolamento possono danneggiare la salute generale in tutte le fasce di età. Nel 2015, Holt-Lunstad e i suoi colleghi hanno effettuato una meta-analisi di 70 studi che hanno coinvolto oltre 3,4 milioni di partecipanti seguiti per una media di sette anni. La probabilità di morire durante il periodo di studio è risultata aumentata del 26 percento per coloro che hanno dichiarato di soffrire di solitudine, del 29 percento per coloro che erano socialmente isolati (con pochi contatti sociali) e del 32 percento per coloro che vivevano da soli.

Alcune persone se la caveranno meglio di altri durante questo periodo di distanziamento sociale. Alcuni potrebbero di fatto vedere aumentare il loro contatto sociale, in un momento in cui le famiglie cercano di rinsaldare i loro rapporti e la comunicazione tra i vari membri. Alcuni rimarranno in collegamento tramite telefonate, messaggi di testo o si riuniranno in una comunità online. "Viviamo in un’era senza precedenti, per quanto riguarda la comunicazione" afferma Huremovic.

Tali capacità di comunicazione potrebbero persino aiutare a fornire assistenza medica e psicologica da lontano. Servizi di telemedicina possono aiutare ad alleviare la solitudine e aiutare chi vive da solo o lontano dai centri sanitari. Ma la gerontologa Verena Menec dubita che questo possa sostituire indefinitamente il contatto in presenza. Alla lunga, il contatto virtuale non può bastare a contenere il disagio psicologico dell’isolamento.

La tecnologia moderna non può surrogare il contatto umano, come tenersi per mano, abbracciarsi o stringersi gli uni agli altri, tutti fattori che, come suggeriscono gli studi, possono influenzare la salute, con conseguenze fisiche come la pressione sanguigna e aumentare le capacità reattive dell’organismo.

Una particolare preoccupazione è inoltre quella per le persone che necessitano di cure mediche durante le situazioni di pandemia. Molti ospedali escludono le possibilità di visita ai propri cari, per prevenire la diffusione del virus. Ma questo riduce anche il contatto proprio quando le persone ne hanno più bisogno. Tenere un malato per mano, ricordano gli autori, può addirittura far sì che anche il dolore fisico venga percepito in modo meno forte.

In questi giorni, tuttavia, anche il tocco che proviene da un operatore ospedaliero con indumenti protettivi anziché da una persona cara è meglio di niente, afferma il professor Coan, neuroscienziato statunitense, il quale afferma di aver ribadito questa semplice “cura” aggiuntiva in tanti suoi lavori, ritenendo che il tocco affettuoso, umano, dovrebbe diventare parte del protocollo sanitario di cura”.