È ormai alle ultime battute “Girastorie”, il laboratorio di narrazione collettiva a distanza che ho avviato agli inizi di aprile, in pieno lockdown, con ragazzi e ragazze fuori famiglia, o con la sola madre.

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Gli elementi essenziali del laboratorio sono già stati raccontati su queste pagine all’avvio e, poiché siamo fin troppo abituati a progetti che partono e di cui non si sa come vadano a finire, sono contenta di aggiornare sugli sviluppi. Tra questi, l’occasione di segnalare Girastorie per un premio europeo ai progetti più innovativi nell’affrontare la quarantena da covid-19. La segnalazione non è stata fatta, ma già il fatto di essere stati contattati dagli organizzatori ci ha fatto particolarmente piacere.

Parma, Piacenza, Forlì e Ferrara sono le città coinvolte, 8 le strutture (tra comunità familiari, educative, per mamma e bambini oppure integrate, cioè per ragazzi con difficoltà psicologiche) e 13 i racconti nati sulle isole di Mizar e Alcor, che hanno forma di stella e ospitano la prima una città, la seconda – più piccola – una foresta incontaminata e apparentemente disabitata. Sono stati composti impastando i 40 personaggi + 1 proposti inizialmente. Tra i primi ci sono uomini e donne, bambini e ragazzi diversi per età, mestieri, composizione familiare, gusti ed esperienze, e animali, domestici e no; l’ultimo è la Copranica, un uccello magico capace di cambiare i destini nel bene e nel male.

I racconti, scritti nell’intreccio tra autori di città diverse, sono assaggi di generi e atmosfere differenti, dal rosa al giallo, all’avventura, al fantasy, al comico. Nei temi affrontati si ritrovano con facilità aspetti della vita degli autori mischiati con pura fantasia o con l’espressione di emozioni autentiche – la rabbia, il desiderio di avventura – attraverso codici che nulla hanno di realistico.

Quasi tutti i narratori hanno introdotto la Copranica nelle loro storie. La magia interviene per riunire famiglie disgregate, far sbocciare amori contrastati, salvare amici in pericolo, scovare tesori, sgominare titani, ricomporre interiormente un personaggio dalla doppia vita, risolvere solitudini incallite, far emergere vocazioni artistiche compresse dalla quotidianità, riconciliare anziani con la loro storia, guarire patologie come l’anoressia o il ritiro sociale, trasformare l’affido di una bambina in un supporto alla piccola e alla madre che ancora non è in grado di stare accanto alla figlia.

Ancora, mi piace accennare alle osservazioni raccolte pochi giorni or sono dagli educatori e educatrici che hanno affiancato i ragazzi in questi mesi, in un lavoro imprescindibile, paziente, creativo, capace. Senza di loro l’intero progetto sarebbe stato impossibile, o si sarebbe arenato molto in fretta. Educare alla tenuta ha un senso per i ragazzi, Girastorie è stato solo un’occasione tra le altre.

La proposta di narrazione è stata accolta con entusiasmo dai giovani autori; difficile semmai è stato mantenere l’impegno nel tempo, una fatica che gli educatori – gli insegnanti, i genitori – conoscono per tante attività dei ragazzi e su cui questa non ha fatto eccezione.

Vi è poi il tema del rapporto con le parole e con la scrittura, molto diverso tra i giovani autori. Dipendeva dall’età – si andava dai primi anni della primaria alla soglia dei 18 anni –, dall’esperienza scolastica che per qualcuno è un riscatto e per altri è una prigione, dall’essere o meno di madrelingua italiana, dall’essere portatori di disabilità. Anche nel valorizzare e armonizzare le diversità individuali gli educatori hanno esercitato un ruolo fondamentale che per qualcuno è stato di puro stimolo, per altri di mediazione tra la fantasia e la parola scritta. So di un bambino cinese con un lieve ritardo, e con problemi di lettoscrittura, che era ogni volta desideroso di sentirsi leggere la storia e di inventare il nuovo capitolo, e contava sull’adulto per la scrittura.

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Un ragazzino sui 10 anni dalla fantasia scoppiettante avrebbe concluso i suoi capitoli molto in fretta – A si scontrò con B e lo uccise – se non avesse avuto accanto l’educatore che gli chiedeva di descrivere A e B, il loro aspetto e i loro sentimenti, le precise azioni compiute, i pensieri. “Però”, mi racconta l’educatore, “nelle ultime settimane di Girastorie i ragazzi avevano cominciato ad acquisire questa capacità e vedevo proprio come cambiavano fisicamente, da quando iniziavano a raccontare quasi per senso del dovere, come quando fanno i compiti, a quando via via entravano nelle storie e si concentravano sui loro personaggi”.

Questo porre attenzione alle sfumature e alla complessità umana è un dono della narrazione, occasione per entrare dentro di noi per come siamo e per come potremmo essere, nelle tante proiezioni che i personaggi ci offrono. Ma i nostri autori erano per la maggior parte lontani dai libri – anche se vicini alle storie in altre forme: anime giapponesi, film, cartoni, giochi… – ed è bello saperli eccitati all’idea che le loro trame potranno essere conosciute da altri. Che è sentirsi visti da adulti che non li conoscono, valorizzati per quel che si ha da dire, messi in contatto con altre persone, riconosciuti degni di uscire dal proprio privato attraverso una pubblicazione o un video.

I miei amici attori – a Ferrara Fabio Mangolini, a Bologna la compagnia del Teatro dell’Argine, in collaborazione tra loro – stanno leggendo ad alta voce i racconti dei ragazzi e si stanno filmando proprio per aggiungere bellezza. I narratori lo sanno e ne vanno fieri.

Alcuni di coloro che hanno iniziato a raccontare non sono più in struttura, a volte per ragioni molto felici – due bimbe sono andate in adozione e ora vivono con la mamma e il papà – altre volte perché è intervenuta una crisi che ha condotto alla dimissione e ha comportato non poca sofferenza, inclusi naturalmente gli altri ragazzi della struttura e tutti gli operatori che se ne occupano. Con gli educatori ci siamo detti che, se una pubblicazione davvero ci sarà, vorremmo farla avere anche a quei ragazzi per rendere tangibile il fatto che il loro apporto è stato importante e non è andato perduto.

Nella comunità madre-bambino la scrittura è passata attraverso la recitazione. I personaggi sono stati distribuiti tra tutti i membri del gruppo, coinvolgendo sia i bambini sia le mamme e una volta anche un vicino di casa. Chi è stato il delfino Dolly, chi il pescatore Lucio Di Mare, chi la giovane Jennifer tempestata di critiche sui social e in cerca di se stessa…

Sono stata con loro pochi giorni fa per l’ultimo capitolo dell’ultimo racconto, e ci siamo divertiti. Li ho visti entrare nel personaggio con spontaneità, logica, capacità immediata di sviluppare la narrazione in modo coerente. Non fa niente se il testo sarà una trascrizione dell’improvvisazione teatrale, e non è poco autentico che siano gli educatori ad aiutarli in questo. Non è forse il loro mestiere, aiutare i ragazzi a dipanare la loro storia, immaginando un lieto fine?

testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è la direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati e referente dell’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.