Diventare grandi è una trasformazione e non sempre è facile viverla sulla propria pelle. Quando accade anche la famiglia cambia, è chiamata a fare spazio, dare ascolto, riorganizzare il suo modo di essere per accogliere i nuovi bisogni dei ragazzi, lasciando andare l'immagine infantile che si aveva in passato.

20140505 cutter

{xtypo_quote_right}

Di cosa si tratta esattamente? Del ferirsi, tagliarsi o bruciarsi in maniera deliberata, farsi cicatrici grandi o piccole, quasi sempre nascoste alla vista da lunghi maglioni. Significa segnarsi le braccia, le cosce, le gambe, le caviglie, i polsi con quanto si trova, sia un rasoio ma anche forbici, vetri, forchette e forcine. Tutto quanto possa lasciare un segno, riportare nel corpo quel dolore che l'anima non riesce a contenere, rendendolo quasi dolce nel suo bruciare, vivo. Ferite che parlano laddove mancano parole buone o si teme di non essere ascoltati. 

{/xtypo_quote_right}

 

Un processo sempre più difficile durante il quale molti giovanissimi, già a partire dagli 11 anni, e specie ragazze, non riescono a reggere il dolore di crescere, di sentirsi spersi, inaccettati e a volte inaccettabili e questo li porta all'autolesionismo, diventano cutter, cioè “quelli che si tagliano”. Quando succede, sono bravi a tenere il segreto intorno a questi episodi, spesso per vergogna e per le famiglie non è facile vedere. Eppure dei segnali ci sono.

Intorno all'autolesionismo crescono molte comunità che si incontrano su internet, fanno video e scrivono libri, vivono in chat dedicate che mettono in contatto storie simili, accogliendo ma anche esasperando il fenomeno, portando molti giovani a tagliarsi per sentire di far parte di qualcosa, di appartenere al gruppo. Di cosa si tratta esattamente? Del ferirsi, tagliarsi o bruciarsi in maniera deliberata, farsi cicatrici grandi o piccole, quasi sempre nascoste alla vista da lunghi maglioni. Significa segnarsi le braccia, le cosce, le gambe, le caviglie, i polsi con quanto si trova, sia un rasoio ma anche forbici, vetri, forchette e forcine. Tutto quanto possa lasciare un segno, riportare nel corpo quel dolore che l'anima non riesce a contenere, rendendolo quasi dolce nel suo bruciare, vivo. Ferite che parlano laddove mancano parole buone o si teme di non essere ascoltati.

Ad ogni scarnificazione, ad ogni crosta, ad ogni segno che l'adolescente si impone la tensione che vive rallenta, si placa, diventa sopportabile. Non sono tentativi di suicidio, come erroneamente si potrebbe pensare, né semplici tentativi di farsi notare, il ragazzo che si autolesiona vuole vivere ma non sa come riuscirci mentre, quando ci si taglia, i segni diventano riti di appartenenza, ad un gruppo come a sé stessi e la sensazione che si prova è gratificante, contiene lo stress. Se una parte dei giovani che si feriscono mostrano roblematiche più di natura psichiatrica, la buona parte vive il farsi male come un momento, particolarmente carico di ansia, depressione, fatica che spesso passa crescendo e trovando altre modalità per essere nel mondo.

E la famiglia? Molto spesso non si accorge, facilmente vive un momento di crisi, problemi relazionali come lavorativi o la fatica di tutti i giorni allontana lo sguardo da quello che non si vede, ma va cercato. Perchè i cutter sono silenziosi e attenti. Ma ci si può allenare a vederli davvero e quando accade le reazioni nelle famiglie sono diverse. Lo sconcerto spesso viene seguito da un sentirsi inadeguati e spaventati, incapaci di trattare il problema. Per timore, capita di banalizzare il tutto come atto di provocazione da ragazzini, qualcosa di cui far sentire in colpa e da nascondere al di fuori della famiglia per vergogna del giudizio altrui. Ricordiamoci, però, che sovente è proprio la fatica di sopportare la critica dell'altro che porta i ragazzi a dar confidenza a coltelli e taglierini. Avvicinarsi con la delicatezza che merita un profondo dolore è preferibile ad un giudizio affrettato. La via del dialogo, con l'eventuale sostegno di un professionista, è indicata mentre, al contrario, cercare di usare il senso di colpa (“Mi fai del male”, “Ferisci più me che te stesso”) non crea uno spazio di vicinanza dove sia possibile incontrarsi. Sostegno e ascolto sono meglio di una critica o, peggio, una punizione, specie perché alcuni ragazzi usano la lesione proprio per autopunirsi.

Le storie di autolesionismo nascono spesso nelle famiglie più critiche o conflittuali, spesso accompagnando poi, nel tempo, patologie vere e proprie o comportamenti di dipendenza da sostanze. Si tratta, in molti casi, di famiglie con metodi educativi aggressivi nel senso anche meno fisico del termine, che tendono a non sostenere il ragazzo, crescendolo insicuro e incapace di riconoscere le sue emozioni. La pelle che divide il ragazzo dagli altri, diventa il suo campo di battaglia personale dove conoscersi e riconoscersi. Davanti alla fatica di crescrere, preferiscono ferirsi da soli che attendere il male che il mondo delle relazioni (dai genitori ai compagni) sono certi gli farà. Le famiglie devono scoprire le loro risorse, superare la paura di quanto accade e costruire uno spazio alle emozioni fino a che sarà possibile liberarsi dalle lame e si potrà passare insieme alla prossima fase di crescita.