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L’espressione di rabbia o di paura nei giovani che subiscono vittimizzazione da bullismo potrebbe essere uno dei fattori scatenanti di questa forma di violenza e vessazione tanto diffusa, in ambito scolastico e no, tra gli adolescenti, con strascichi poi anche nel mondo e nei contesti adulti.

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Diverse ricerche hanno studiato la reazione dei cervelli degli adolescenti alle espressioni facciali arrabbiate e spaventate. Gli adolescenti sono stati anche invitati, contestualmente, a dichiarare se mettevano in atto forme di bullismo nei confronti degli altri o se ne subivano.

È stata utilizza la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per esaminare l'attività cerebrale degli adolescenti in risposta alle espressioni facciali emotive, scoprendo così importanti dettagli sulle dinamiche cerebrali di coloro che potrebbero ricorrere al bullismo o subirlo. In particolare, i ricercatori si sono concentrati sull'attività dell'amigdala.

L'amigdala è spesso riconosciuta per il suo ruolo nella rilevazione delle minacce ma, come parte della rete limbica, gioca anche un ruolo nel comportamento, nella regolazione emotiva e nell'apprendimento. In uno studio, i ricercatori hanno riscontrato un "aumento dell'attività dell'amigdala di fronte ai volti arrabbiati", associato al bullismo. Si potrebbe interpretare questo risultato come il fatto che l'amigdala riconosce la rabbia di qualcuno come una minaccia e risponde con comportamenti aggressivi e minacciosi.

Negli adolescenti reattivi ai volti arrabbiati, lo studio ha riscontrato che mostravano anche una "minore attività dell'amigdala di fronte a volti spaventati" e hanno scoperto che questa risposta cerebrale era anch'essa un indicatore di comportamenti di bullismo più frequenti. Coloro che praticano il bullismo vengono spesso categorizzati nelle ricerche come "insensibili e non empatici" e questo studio con fMRI sembra supportare tale valutazione. Quando un cervello risponde con empatia, registra la paura altrui, piuttosto che mancare di una risposta emotiva. Gli adolescenti che hanno dichiarato di praticare il bullismo mostravano anche una minore reazione cerebrale alla paura altrui.

Gli adolescenti con reazioni accentuate di rabbia e paura potrebbero essere più spesso bersagliati

Lo studio ha inoltre rilevato che quegli adolescenti che avevano una minore attività dell'amigdala in risposta sia a volti arrabbiati che spaventati riferivano di essere meno inclini a essere bersagliati da "vessazioni relazionali". Un altro modo per comprendere questa scoperta è notare che se gli adolescenti si sentono intensamente minacciati da coloro che mostrano rabbia e paura, potrebbero diventare più vulnerabili al bullismo in modo sociale-relazionale, diventando potenziali vittime.

Questo studio dimostra che insegnare agli adolescenti cosa succede nei loro cervelli mentre cercano di interpretare ed affrontare espressioni facciali che trasmettono come si sente un'altra persona è una strategia utile per considerare il bullismo come un processo neurologico-emotivo-sociale.

Troppo spesso, le persone che sono vittime affermano "sono stato bullizzato perché..." e poi inseriscono qualsiasi razionalizzazione abbiano elaborato per comprendere il motivo per cui sono stati presi di mira. Fattori non razionali sembrano essere invece decisivi per innescare l’aggressività.

La neuroscienza mette in discussione alcune delle nostre convinzioni sul bullismo

Questa ricerca cambia la narrazione rispetto alle solite spiegazioni per cui "il bullo ha uno squilibrio di potere" nei confronti della vittima, portando a pensare in modo diverso. È il bullo che, in realtà, si sente minacciato. Colui che attua il bullismo ha un cervello che viene attivato da ciò che sembra essere una minaccia di rabbia.

Colui che pratica il bullismo ha un cervello che ignora o non attiva una risposta alla paura di qualcun altro. La vittima non ne è colpevole, e non c'è nulla di “impotente” nella vittima.

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Counselor che lavorano in ambito aziendale hanno applicato i risultati di queste ricerche nel lavoro con i manager che praticano il bullismo nei confronti dei dipendenti, e ciò che hanno appreso nel coaching di questi "bulli" è che si comportano in modo aggressivo perché si sentono minacciati. Il loro lavoro come "consulenti di manager" non mira ad esonerare o giustificare il trattamento spesso odioso che questi individui mettono in atto. Consiste piuttosto nel renderli pienamente responsabili delle loro risposte stressate. Fa conoscere loro cosa provano quelli che subiscono il bullismo. In termini cerebrali, è come riconfigurare la parte del cervello che lavora in modo così frenetico, o è così minacciata da non registrare la paura o la sofferenza degli altri.

Gli esperti fanno riconoscere a questi manager bulli che i loro cervelli stanno reagendo in modo eccessivo a ciò che anticipano come rabbia e biasimo quando non riescono a svolgere il lavoro in modo perfetto, tempestivo e inattaccabile. In altre parole, stanno riconfigurando i loro cervelli per non interpretare le espressioni facciali come puramente "arrabbiate" e minacciose. Li stanno addestrando a rimanere calmi, a non diventare difensivi e a costruire l'etica lavorativa del loro gruppo anziché attaccarlo.

La ricerca in ambito neuroscientifico spiega perché è più difficile per gli adolescenti e i ventenni addestrare il loro cervello a gestire meglio le risposte ai volti arrabbiati e spaventati. La ricerca sui cervelli adolescenti mostra che tendono a interpretare i volti emotivi attraverso l'amigdala, mentre un cervello maturo di un adulto è più incline a interpretare le espressioni facciali attraverso il cortice prefrontale (PFC). Fino ai 25 anni circa, il cervello degli adolescenti sta maturando, con il PFC come ultima componente cerebrale a essere completamente integrata e accessibile.

Insegnare agli adolescenti come reagiscono i loro cervelli può aiutarli contro il bullismo

Nonostante i loro cervelli in via di maturazione, gli adolescenti possono trarre grandi benefici dalla comprensione del bullismo come indicativo di un cervello minacciato, piuttosto che potente. Invece che sentirsi spaventato, chi assiste alle prevaricazioni può essere incoraggiato a intervenire non solo in favore delle vittime, ma anche per chi pratica il bullismo, in quanto stressato e minacciato.

Sia che si tratti del luogo di lavoro o della scuola, che si tratti di adolescenti o adulti, più si impara a autoregolare le risposte emotive del proprio cervello e più si addestrano le espressioni facciali a rimanere neutre quando il bullismo è in agguato, tanto meglio sarà per le proprie relazioni interpersonali. Più si riconosce che quando si è presi di mira, questo dice poco su di noi e molto sulla disregolazione di chi pratica il bullismo.

La neuroscienza mette in discussione il motivo per cui si tratta coloro che praticano il bullismo come se fossero potenti o dominanti. Gli scanner cerebrali mettono in dubbio quanto siano attivati dalla semplice minaccia di un'espressione facciale e quanto la loro risposta sia sintonizzata sulla paura degli altri. Questa è una risposta classica di "identificazione con l'aggressore" che suggerisce che chi pratica il bullismo potrebbe essere stato esposto a scenari in cui era veramente minacciato e aveva poco potere, e sa che allinearsi con chi ha paura è pericoloso.

Raramente si associa il bullismo adolescenziale all'abuso degli adulti, ma questa ricerca dovrebbe fare interrogare su quale tipo di relazione con adulti “onnipotenti” nelle loro vite potrebbe avere plasmato i cervelli degli adolescenti a rispondere in questo modo e diventare loro stessi individui che ricorrono alla prevaricazione e al bullismo.


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