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Nei giorni in cui si celebra  l'anniversario della dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, ci si trova a fare i conti, in questa terra di frontiera, con la costante ed impunita violazione degli stessi pur inviolabili diritti. A Ventimiglia 250 profughi, per la maggior parte (l'81%) provenienti dal Sudan e per metà minori non accompagnati (vale a dire soli), sono costretti a dormire lungo il fiume, in mezzo ai rifiuti, alle intemperie e ai predatori, spesso bipedi e dunque più pericolosi e perversi.

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Per loro solo i vestiti o le scarpe (che scarseggiano sempre!) dismessi e donati da comuni cittadini e recuperati dai volontari della Caritas e da altre associazioni di solidali. Il "campo di transito" gestito dalla Croce Rossa è strapieno. Oggi ci sono 491 persone collocate in moduli, vale a dire container, oppure tende, da sei posti, dove le brandine sono attaccate su due file da tre, senza soluzione di continuità, le une dalle altre.

Le condizioni igieniche e "ambientali", nonostante i generosi sforzi della nuova direttrice, non possono certamente definirsi dignitose. I minori e le famiglie con bambini, anche neonati, sono costretti a condividere gli spazi il fango e l'umidita' con gli adulti e questa promiscuità, oltre a essere vietata, non è evidentemente "sana".

Il centro è presidiato al suo ingresso da un plotone di carabinieri che vietano l'accesso ai non autorizzati e sottopongono a perquisizione tutti gli ospiti ogni qualvolta fanno rientro nella struttura. Ma, se all'ingresso la sicurezza è ostentata, sul retro, al confine con la vecchia ferrovia, solo un’esile rete separa i moduli delle donne e dei minori dal mondo esterno.

E quel mondo, di notte, si palesa in tutta la sua ferocia: in molte raccontano di aver subito abusi e lamentano di non potersi chiudere all'interno dei container poiché sprovvisti di serratura. Per questo, molte donne e minori preferiscono dormire lungo il fiume e rinunciare ad un tetto e una coperta: all'aperto, per assurdo, si sentono più sicuri, illudendosi di poter scappare in caso di violenza.

Chi sceglie il campo ha diritto a tre pasti, vestiti nuovi ed una coperta. In cambio deve sottoporsi al prelevamento delle impronte digitali e alle costanti perquisizioni. Questo, insieme alla pessima collocazione del campo, letteralmente infossato, ubicato ben lontano dal centro città e inaccessibile a piedi se non percorrendo strade ad alto scorrimento, trafficate e senza marciapiedi (ed infatti frequenti sono i casi di investimento), scoraggia molti profughi, già tutti perfettamente identificati al momento dell'approdo, dal farvi ingresso.

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Temono infatti che questa nuova identificazione possa impedire loro, ulteriormente rispetto alle precedenti, la continuazione del loro viaggio verso altri Paesi europei. Sanno bene infatti che l'implacabile gendarmerie francese respinge in Italia ogni giorno decine di profughi con un'applicazione "smodata" e spesso arbitraria del regolamento Dublino (che sostanzialmente impone, allo Stato di primo approdo dei richiedenti asilo, di farsene carico).

E così all'ufficio della Caritas vicino alla stazione ogni giorno si distribuiscono vestiti e pasti per almeno 250 persone che, fuori da ogni circuito di accoglienza, tentano di recuperare le forze e la speranza e proseguire il viaggio o meglio la fuga verso un altro paese che per lingua, affetti o opportunità sperano più accogliente del nostro.

Ma il viaggio spesso viene interrotto e fatto ripartire da zero (come in un sadico gioco dell'oca) a causa dei trasferimenti coatti e illegittimi che settimanalmente vengono disposti da Ventimiglia verso l'hot spot di Taranto, rigorosamente in pullman.

A volte la sorte è particolarmente avversa: chi tenta di varcare la frontiera si affida a dei passeur senza scrupoli (che si muovono indisturbati per la stazione) che costringono le donne a prostituirsi per pagarsi "il passaggio" o che stipano nel portabagagli i profughi come fossero pacchi, per poi abbandonarli dopo pochi chilometri ancora nella prigione Italia.

Alcuni non ce la fanno: vengono investiti, annegano nel fiume, oppure muoiono letteralmente di stenti.

A Ventiimiglia si muore di frontiera .


articolo precedentemente pubblicato da Repubblica


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