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Nel mio ufficio ci sono due oggetti che mi accompagnano dal 1989, uno schedario ed un registro blu, quelli con le lettere dell’alfabeto sul bordo. Io ho i capelli grigi, lo schedario si chiude a fatica ed il registro comincia a perdere le pagine.

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I quattro cassetti dello schedario hanno ospitato pezzi di storie di circa  800 famiglie ed hanno visto scritti i nomi di un migliaio di bambine e bambini. Solo alla vista del plico delle relazioni e degli story-board si può immaginare quante sono le difficoltà dei piccoli e dei loro genitori; talvolta  “pesano” così tanto che riescono a lacerare le cartelle sospese. Il colore delle cartelle negli anni è rimasto sempre uguale, ma per fortuna all’interno ho imparato ad organizzarle diversamente in modo da agevolare le nuove colleghe nell’orientarsi sulle azioni fatte e  sulla fase dell’intervento.

Nello schedario e nel registro io posso vedere chiaramente la mia evoluzione   professionale.

Spesso mi chiedo se esiste un patentino che permetta di avere l’abilità di definire quando un genitore è sufficientemente competente e dove sta il confine. Sempre ho cercato di indagare se quel bambino sta male davvero, quanto pesa il suo bagaglietto di dolore e cosa vorrebbe di diverso; come risolverebbe lui le cose difficili se fosse una fatina o un mago con la bacchetta magica.

In tutti questi anni di lavoro, eccetto per pochi casi, avrei desiderato avere tanti modi e tecniche quanti sono i nomi dei bambini che ho segnato nel grande registro blu.

Tutto nel mio lavoro è parziale, in continuo cambiamento, talvolta è indefinito e spesso deve essere trattato con il condizionale.

Nella mia storia di formazione e lavorativa ho vissuto periodi di pensiero professionale arricchenti, rivoluzionari ed in certe circostanze dolorosi.

Nel lontano 1980, quando frequentavo la Scuola Superiore di Servizio Sociale a Verona, apprendevo i Principi e Valori del Servizio Sociale ed iniziavano gli approfondimenti sull’importanza e la centralità delle Basi Metodologiche proprie della mia professione. Ho imparato con molto entusiasmo l’importanza della partecipazione, il potere e la forza del Gruppo, il valore della Comunità Locale e la condivisione del mio lavoro con altri professionisti . Ricordo lezioni molto coinvolgenti della professoressa Elisa Bianchi quando ci spiegava che la nostra professione era un “Valore di per sé”. Io sarei diventata un’assistente sociale in grado di dare aiuto alle persone ad orientarsi, ad acquisire consapevolezza e ad utilizzare risorse proprie o da ricercare nell’ ambito famigliare o nel contesto sociale in cui vivevano. C’era una frase ricorrente: “ Aiutare le persone ad aiutarsi da sé”.

Mi sono diplomata nel 1981 quando c’erano i gruppi di donne che si recavano al Consultorio Familiare per chiedere corsi di educazione sessuale per i loro figli e quando, l’allora Consorzio dei Comuni

 (Azienda ULSS in embrione), organizzava soggiorni estivi per minori con esperienze di forte integrazione tra bambini  provenienti da tutti gli ambiti sociali e bambini con disabilità.

Tutto era mosso da fortissimi ideali e gli interventi avevano un grado di creatività altissimo.

Con gli anni ’90 sono stata travolta dal desiderio di oppormi al maltrattamento dei bambini, specialmente quello intra-familiare, tema fino ad allora scomodo e poco esplorato nel mio territorio costituito da ricchi paesotti, tanta campagna e borghi isolatissimi sulle colline e la montagna.

Mi formavo, ero assetata di saperi sul maltrattamento infantile e su come far emergere il fenomeno. Ritenevo fondamentale poter superare il segreto e l’omertà che spesso tenevano i bambini vittime all’interno della loro famiglia. Ho fatto incontri determinanti per la mia sensibilità professionale, sentivo di non essere figlia del pensiero dominante che recitava ”la famiglia non si tocca”, ma non volevo neppure aderire ad un’idea “giudicante e repressiva”. Sapevo dentro di me che la strada giusta era quella di poter attivare tutte le risorse per provare a curare e per aggiustare le relazioni familiari che non funzionavano. Dovevo lavorare in un’ottica trasformativa e generativa ma allora non c’era l’equipe, ero sola. Pochi colleghi psicologi sapevano pensare al maltrattamento ed all’abuso e gli educatori pensavano solo alla resilienza, i pediatri vedevano solo bronchiti, i carabinieri cercavano di riappacificare le coppie molto litigiose, assumendo il ruolo di bravi padri e, quando un genitore aveva problemi psichiatrici, sentivo talvolta questa frase: “Ma il bambino è funzionale al benessere di questa mamma, la situazione non può essere toccata…”.

Con la Legge 285 del 1997, una Legge fondamentale sui diritti dell’infanzia,  anche la mia Azienda ULSS aveva messo il “turbo” e sono nate finalmente le equipe multi-professionali. Con la mia prima collega psicologa sistemica e specializzata alla scuola “Mara Selvini” di Milano, ora felice pensionata in giro per il mondo, abbiamo fatto tanto e di tutto. Lavoravamo soprattutto sui casi, le segnalazioni, gli allontanamenti, la valutazione delle competenze genitoriali, facevamo consultazioni familiari ed avevamo organizzato una stanza per la terapia familiare che veniva fatta da un piccolo pool di psicoterapeuti. Poi è bastato lo spostamento di un responsabile e tutto è cambiato. Ci hanno tolto la stanza per le terapie familiari e aumentato i Comuni di nostra competenza. In quel periodo sono cambiati anche i rapporti con il Tribunale per i Minorenni ed è stato necessario ricominciare tutto da capo, tutto il Sistema si è dovuto riassestare.

Sulla mia strada professionale ho avuto nuove e significative esperienze anche recenti, tra le quali il progetto P.I.P.P.I. (Programma di Intervento Per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione).

Le storie che ho conosciuto e per le quali ho lavorato hanno bisticciato molto tempo nelle mie riflessioni, perché tutte volevano comparire e tutte dicevano: “Sei questa assistente sociale perché ci siamo state anche noi”. A malincuore ne ho scelte quattro che mi saranno di  aiuto nel descrivere alcune fasi della mia evoluzione professionale strettamente legata alla mia preparazione, formazione ed al cambiamento del sistema dei Servizi.

[continua]

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Autrice

Bruna Zocca
Di Verona. Assistente sociale di formazione sistemica;  da più di venticinque anni lavora in un servizio Tutela Minori. Collabora con educatori e psicologi.

 

Elaborato finale del Master
Il trattamento multiprofessionale di bambini e adolescenti vittime di violenza
I Edizione  Gennaio 2017- Dicembre 2018
www.master-tutela-minori.it


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