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Il tempo sospeso nell’isolamento delle proprie camere di tanti adolescenti per affrontare il lock-down a seguito della pandemia ha portato inevitabilmente ad un incremento della vita segnata in rete nel nuovo spazio dei social media.

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Più ci si isolava dalla realtà fuori le mura, più si solcava l’onda net con video, immagini, post, che se da una parte hanno garantito la continuità alla socialità dall’altra, nella vulnerabilità psichica di giovani menti in formazione, hanno congelato l’emotività nella sicurezza di uno schermo che solo apparentemente protegge e facilita, perché poi il ritorno al reale porta con sé il carico di un congelamento emotivo che  occorre necessariamente destrutturare per entrare nel vivo della relazionalità e dell’affettività che essa comporta.

Un gruppo di pari trincerato dietro emoticon facilitanti e oscuranti l’emotività che nell’incontro di sguardi generano confusione e riattivano il desiderio di tornare nella zona protetta del dietro lo schermo per poter ricominciare a comunicare e non avvertire quel peso nel dire parole che rimangono in testa e che nella paralisi della comunicazione reale, amplificata oggi dal blocco della relazionalità in vivo, non riescono ad uscire creando silenzi logoranti che “mi fanno sentire vuoto”, “non mi fanno capire cosa vuol dire Ilaria” e mi lasciano quell’incertezza di dare voce narrativa al mio sé poliedrico che spesso rischia di frantumarsi nell’impatto con la multidimensionalità di un fare digitale poco responsabile e critico.  

Abbiamo scritto, riflettuto, segnalato i pericoli della rete. Abbiamo ricordato linee guida nazionali ed internazionali che ci aiutano ad improntare una sensibile educazione digitale [Volpi, 2017] e che agiscono da supporto e base sicura per le famiglie che devono strutturare un percorso di crescita sana dei loro figli nella duttilità del mondo ibrido dell’e-life. Siamo sostanziati da evidenze scientifiche, programmi di intervento, azioni preventive nelle scuole e nella comunità a sostegno del corretto uso della tecnologia. Usiamo ogni giorno i device, osserviamo le condotte digitali dei nostri figli, la loro testa china sullo schermo e, nonostante tutto, ancora oggi, assistiamo inermi. a tragedie e fili di vita spezzati la cui connessione tra mondo virtuale e mondo reale si infrange drammaticamente in un gioco degli specchi nefasto che riporta a galla quanto ancora dobbiamo fare per aiutare la società a rimodellarsi in chiave digitale in modo eticamente e valorosamente valido.

Ma non basta, occorre fare di più. Dietro a tanti silenzi logoranti, a tanta incertezza relazionale ed emotiva che si cela dietro a prodezze iconiche pubblicate nella scrittura in rete, dove l’apparire molto spesso nasconde l’incapacità di avvertire e sintonizzarsi affettivamente con il sé e l’altro, ci sono tanti gridi di allarme di giovani in difficoltà che apparentemente sereni e distratti dal gioco degli schermi [Volpi 2014], vivono una sofferenza interna che riversano in condotte estreme per sentirsi “vivi”, per ottenere consensi, plausi esterni, e rivitalizzare un interno psichico che ha bisogno di essere emotivamente accolto dalla famiglia, dalla società, dallo stesso gruppo di compagni che sgomita per cercare di tradurre emotivamente la sfida evolutiva di crescere oggi nello spazio ibrido dell’online.

Il tempo scorre veloce e ci riporta drammaticamente alla luce quanto il bypassare le regole del buon senso digitale che la Comunità scientifica si è impegnata a strutturare, validare e condividere anche in rete, può essere dannoso per il singolo, le famiglie, l’intera società che deve ancora impegnarsi MOLTO per attivare livelli preventivi orientati ad un’etica sana della digitalità. Un prendersi cura della gioventù e delle nuove generazioni, per dirla con il filosofo Bernard Stiegler, che ha oggi come asse dominante la considerazione, ristrutturata a monito educativo, che le tecnologie NON sono solo semplici strumenti ma modellano, soprattutto nelle menti giovani in via di definizione, la nostra soggettività, i nostri pensieri, le nostre azioni dentro e fuori lo schermo e possono agire come scudo identitario che dietro ad avatar, emoji e video molte volte compulsivi, cela difficoltà emotive che si fa fatica a riconoscere, spesso anche a sentire internamente, in una sorta di anedonia emotiva che viene bypassata dalla frenesia di condividere immagini di sé alla ricerca del proprio sé.

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Scudo identitario fragile che si infrange facilmente nell’impatto della forza del villaggio globale e che per questo deve essere accolto dalla società dei grandi che hanno il compito primario di sostenere e tutelare il benessere mentale delle nuove generazioni andando dentro lo schermo in modo virtuoso e captando, così come ci aveva insegnato Sigmund Freud, che dietro al contenuto manifesto di un sogno si cela sempre il contenuto latente che fa leva sulle dinamiche inconsapevoli di un inconscio che si fa fatica a conoscere e che agisce da spinta deterministica negli agiti quotidiani. Il sogno di diventare grandi, gloriosi, Capitani Coraggiosi, nel web è abilmente colto dalle piattaforme dei social che sanno captare in modo efficiente i bisogni collettivi di masse psicologiche che agiscono all’unisono oggi come ieri nella conformità di usi e costumi che l’agire insieme determina.

Forse oggi dobbiamo calare il silenzio, e ribadire ancora una volta che prima, dietro ad ogni attivazione in rete, dovrebbe esserci la famiglia che guida, che sostiene, che indirizza, che condivide comunicazione e non segretezza, che segue le regole non inganna le piattaforme e non si fa ingannare dalle stesse, strutturando un processo di attenzione, supervisione e monitoraggio che parte dal basso verso l’alto, dalla base dell’iceberg e non dall’impatto di una massa che non si è voluta vedere.

Laddove la famiglia in questo è carente la società agisce da supporto, da indicatore, da garante per prendersi cura delle azioni in rete orientandole su un buon uso della tecnologia che oggi altro non è che la tutela del rispetto e del valore della propria e dell’altrui vita. Non abbiamo bisogno di molte parole e nel silenzio per il dolore di una farfalla caduta nei suoi primi volteggi, dobbiamo ancora una volta dare senso ad una parola chiave che ci sensibilizza TUTTI almeno sullo sforzo educativo che la famiglia, la scuola, la società deve attuare per far volteggiare in modo armonioso le giovani farfalle nel mondo. 

Disciplina= il Digitale non è un gioco ma è un percorso di educazione e formazione che la famiglia e la scuola devono sostenere e supportare 

Interazione= gli schermi sono interattivi e guidano le nostre condotte in modo algoritmico e sul plauso del consenso narcisistico della comunità online soprattutto per i giovani 

Grammatica= occorre strutturare una grammatica del digitale che sostenga la scrittura e la lettura in termini di appropriazione della relazionalità in rete [Volpi, 2021] 

Intenzioni= dietro ad ogni azione in rete dobbiamo cogliere l’intenzionalità e attivare un livello comunicativo sulle stesse in famiglia e a scuola 

Traccia= ogni azione in rete lascia una traccia. Se da una parte dobbiamo sensibilizzare alla protezione della privacy, dall’altra dobbiamo osservare quanto scritto dai giovani nei diversi format multimediali nel web 

Attenzione= occorre sensibilizzare a mantenere vivo il livello di attenzione nelle condotte digitali sia nell’azione propria, sia nel monitoraggio di quelle altrui 

Libertà= dietro ogni azione libera ci sono delle regole che debbono essere comprese e che se vengono infrante mettono a rischio la libertà stessa 

Esplorazione= il web come ogni ambiente è uno spazio da esplorare e vanno indicate le vie e le modalità del viaggio.

Silenzio pieno di significato, dunque, riflessione e azione costruttiva. 

Barbara Volpi
Psicologa, specialista in Psicologia clinica, Phd in Psicologia Dinamica e Clinica - collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza - Università di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP (Società Italiana di Ricerca, Clinica e Intervento sulla Perinatalità). È docente al Master biennale di II livello sul Family Home Visiting presso la Sapienza e dell’ Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica di Roma. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue pubblicazioni recenti: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (Tambelli, Volpi, 2015), «Genitori Digitali» (Volpi, 2017), «Che cos'è la cooking therapy» (Volpi, 2020), «Docenti Digitali» (Volpi, 2021), «I disturbi psicosomatici in età evolutiva» (Volpi, Tambelli, 2022) Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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