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La pandemia sembra ormai archiviata ma gli strascichi non lo sono, specialmente tra i giovanissimi. Le notizie si sono succedute negli ultimi mesi. Così ad esempio QuotidianoSanità.it del 26 gennaio di quest’anno: “Salute mentale. Un adolescente su 4 ha sintomi di depressione da Covid, raddoppiati i casi in 2 anni". 

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"E 1 su 5 mostra segni di un disturbo d’ansia… emerge da un’ampia metanalisi appena pubblicata su Jama Pediatrics, che ha incluso 29 studi condotti su oltre 80mila giovani. (…) È in corso una crisi mondiale della salute mentale, anche e soprattutto fra i giovanissimi… questo diffuso disagio mentale rischia di mettere una seria ipoteca sulla salute futura dei ragazzi”.

Per questo motivo dalla sanità pubblica, nel gennaio scorso, si è levato un accorato appello alla politica sottoscritto da novantuno direttori di Dipartimenti per la Salute Mentale e indirizzata, tra gli altri, alla Presidente del Consiglio, al Presidente della Repubblica e al Ministro della Sanità.

“Abbiamo deciso di scriverVi questa sofferta lettera-appello perché riteniamo sia diventato un nostro dovere etico a fronte dell’aumento del disagio mentale nel nostro Paese, in particolare degli adolescenti, senza più possibilità di adeguate risposte da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale”, si legge nell’appello.

E che la salute sia un diritto sancito dalla nostra Costituzione non vi è alcun dubbio, né che il suo riconoscimento veda falle molto serie, e crescenti, sotto gli occhi di chiunque debba prenotare un esame o una visita urgenti. Nel campo della salute mentale, poi, è difficile andare oltre i farmaci o le terapie brevi. I direttori chiedono “iniziative concrete e immediate” per “realizzare una salute mentale comunitaria, in grado di dare risposte integrate ai diversi aspetti biologici, psicologici e sociali”, e presentano un piano molto concreto: “destinare, al massimo in un triennio, oltre 2 miliardi al fine di raggiungere l’obbiettivo minimo del 5% del fondo sanitario per la salute mentale, come da impegno dei Presidenti delle Regioni nel 2001, richiamato anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2022”.

La lettera si chiude con le parole “Certi di un vostro riscontro”. Sarebbe interessante sapere se un riscontro c’è stato. Intanto però le risposte di comunità non vanno pensate esclusivamente sul versante sanitario, soprattutto per quell’ampia quota di disagio che non è vera e propria patologia ma risiede nella interruzione dei legami sociali.

A Bergamo, capitale della cultura insieme a Brescia in questo 2023, si è concluso il 15 aprile scorso un progetto coraggioso dal titolo “Pioverà bellezza” che in due anni scolastici (2021/22 e 2022/23) ha coinvolto 14 scuole secondarie di primo grado, per un totale di oltre 70 classi e 1570 studenti.

Lo strumento è stato quello del laboratorio teatrale, grazie al coinvolgimento di sei realtà locali (Erbamil, La Pulce, Pandemonium Teatro, Teatro Caverna, Teatro del Vento e Teatro Prova) coordinate dal Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena (Bologna) e da Maria Grazia Panigada.

Come sempre nei progetti di comunità curati dal Teatro dell’Argine, il punto non è correggere la dizione e neppure affinare l’uso della voce, ma proporre il teatro come strumento per esprimere pienamente se stessi. Scrive nelle sue note il regista Andrea Paolucci: “La consegna appariva semplice. Ogni arte vale quando vogliamo raccontare chi siamo e cosa sogniamo.

Appariva semplice, dicevamo, la consegna… ma chiunque abbia a che fare con un dodicenne sa bene che non è così semplice chiedergli di fare un passo avanti, uscire dal branco, abbassare il cappuccio della felpa e metterci la faccia. A quell’età il giudizio degli altri è un cannone puntato sulla propria autostima. E chi ha il coraggio di aprirsi, di alzarsi dalla sedia e di fronte ai propri compagni dire qualcosa di personale? Chi? Nessuno ovviamente”.

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Per abbattere le resistenze occorrono gli artisti, spiega Paolucci. “Una ventina di teatranti si è messa al servizio di questi ragazzi e di queste ragazze. E con gli strumenti dell’arte, della poesia, della musica e del racconto hanno iniziato a scardinare paure e imbarazzi e a creare quel luogo sicuro e protetto dove piano piano molti si sono infine aperti e confidati”.

Il progetto si è concluso in due giornate molto speciali: venerdì 14 aprile con un evento mattutino riservato alle scuole e ai loro quartieri, e il pomeriggio seguente nella piazza Matteotti che 1570 ragazzi e ragazze hanno invaso pacificamente insieme ai loro ombrelli bianchi, ognuno con una storia da raccontare, sotto al suo ombrello, agli adulti, ai passanti interessati ad ascoltarlo. Quegli ombrelli che infine sono stati capovolti, come si capovolgono i brutti pensieri, per raccogliere la pioggia anziché schivarla, perché pioverà bellezza.

Nel corso dei laboratori i partecipanti avevano composto i loro Abbecedari della Felicità e della Paura, elenchi di 26 parole ciascuno (una per ogni lettera dell’alfabeto) che rispondevano alle domande: “cosa mi dà serenità?” e “cosa mi crea disagio e ansia”.

Ne è venuta fuori una mappa dei desideri e dei timori di questa generazione”, scrive ancora Paolucci, “che ci fa capire come, al di là delle singole esperienze, ci siano dei minimi comuni denominatori che disegnano delle traiettorie comuni. E se tra le cose che regalano emozioni la A di Amici se la gioca con la A di Atalanta, più interessante per lo sguardo adulto è vedere che trova consensi, tra le parole che fanno male, la V di Vuoto o la F di Famiglia”.

A partire da centinaia di elenchi è stato composto un testo letto da due adolescenti dal balcone del palazzo comunale, un testo fresco e commovente che vale la pena rievocare almeno in alcuni passaggi.

“Lungo il percorso abbiamo smarrito la F di Fiducia, la I di Incontri, la R di risate e la D di divertimento. Ci siamo svegliati una mattina senza la A di Amici, la S di Scuola, la E di Estate. Abbiamo scoperto la P di Pietà, la D di Distanza, la V di Vuoto e la M di Malattia. E allora abbiamo buttato tutte le parole che conoscevamo giù dai balconi e siamo rimasti in silenzio. Ma ora abbiamo sete e voglia di ripartire. Abbiamo ripreso il cammino e ora vogliamo ricominciare a parlare”.

È sempre un momento prezioso quello in cui i ragazzi e le ragazze incominciano, o ricominciano, a parlare trovando negli adulti l’ascolto che è necessario, necessario ai giovani e anche agli adulti. Nella piazza di Bergamo hanno parlato con la A di Abbracci, la B di Batticuori, la C di Comprensione… la G di gioia… la N di nonni, che in tanti avranno perso… fino alla “U di Unici tutti, ma tutti Uguali, mentre si va lungo la V di Via portandoci dietro la W di Wesołość che è allegria in polacco, la X di Xingfu che è felicità in cinese e la Y di Ylberi che è arcobaleno in albanese. Perché per noi la W la X e l’Y non sono lettere di serie B ma un passaporto per conoscere il mondo”.

Così procedono “con la Z di Zaino in spalla, pieno di queste e di mille altre parole”, senza proteggersi dalla pioggia proprio perché… pioverà bellezza.


(Immagine tratta dalla cartella stampa del Teatro dell’Argine)


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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