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Pensiamo a un adolescente che vive in Italia, maschio o femmina non importa. Di cosa dovrebbe essere fatta la sua giornata? Andare a scuola, fare sport, stare con i coetanei, ascoltare musica, leggere, divertirsi, partecipare alla vita della propria città. Se non parla italiano, è nell’età giusta per impararlo.

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E se è straniero e non ha i genitori accanto? Allora cambia tutto.

Per qualche anno il nostro paese è stato all’avanguardia. La Legge Zampa (l.n. 47/17), esemplare a livello europeo, guardava a quei giovani prima di tutto come minorenni e solo in secondo luogo come stranieri. Cercava perciò di assicurare loro una protezione e un trattamento il più possibile vicini a quelli riconosciuti ai coetanei italiani, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

Lo status di questi giovani si è trasformato radicalmente nell’ultimo anno. Posto che i minorenni non possono essere espulsi, il “Decreto Cutro” ha limitato le possibilità di conversione del permesso di soggiorno per minore età alla soglia del 18° compleanno, ovvero ha reso più facile procedere all’espulsione di questi ragazzi una volta adulti, e in chiusura d’anno una nuova normativa, la legge n.176 del 1° dicembre 2023, ha dettato un ulteriore cambio di passo. Le maggiori criticità sono due.

La determinazione dell’età

La Legge Zampa prevedeva che, per i ragazzi sprovvisti di documenti d’identità, l’età venisse accertata con una procedura molto attenta ai diritti della persona. Una procedura complessa, perciò non sempre applicata in tutti i suoi aspetti, da svolgersi alla presenza del tutore legale (data l’assenza dei genitori), con un mediatore culturale e avendo cura di rendere comprensibile all’interessato ogni passaggio (art. 5). Ancora, un accertamento “in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare (…) utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona. Non devono essere eseguiti esami socio-sanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona”. Infine, nei casi dubbi, la persona doveva essere considerata minorenne.

Si aggiunga il fatto che la radiografia alla mano e al polso, solitamente utilizzata per valutare lo sviluppo scheletrico, ha un margine di dubbio di circa due anni in più o in meno, pertanto la Legge 47/17 prescriveva ai medici di inserire nel referto non l’età presunta ma il range, minimo e massimo, e alla commissione di valutare questo esito insieme ad altri fattori relativi alla maturità del giovane.

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Che cosa è cambiato? Con la nuova norma, “In caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati, […], l’autorità di pubblica sicurezza” può procedere con “i rilievi antropometrici o altri accertamenti sanitari, anche radiografici”, comunicandolo all’autorità giudiziaria e procedendo anche sulla base di autorizzazione orale. In parole povere, le forze di polizia possono autonomamente condurre il migrante in ospedale per la radiografia al polso e attenersi a quella.

Non si dice in quali circostanze gli arrivi siano così “consistenti” da dover procedere per le vie brevi, dunque l’eccezione potrà divenire la norma. Il giovane migrante potrà essere sottoposto a radiografia senza che qualcuno gli spieghi cosa sta succedendo in una lingua per lui comprensibile, senza un giudice che valuti l’opportunità dell’esame e ancor prima di avere un tutore legale. Se il risultato è 18 anni e lui si è dichiarato minorenne, potrà essere perseguito per falso.

Certo, la legge lascia la possibilità di fare ricorso, ci sono ben 5 giorni di tempo! Peccato non preveda chi debba spiegarlo al ragazzo, né chi possa aiutarlo in concreto a far valere i propri diritti.

Torniamo al caso in cui la radiografia porti a stabilire un’età di 18 anni. Se si ammette il margine di errore, il ragazzo ha tra i 16 e i 20 anni dunque (uno) non ha mentito e (due) dev’essere accolto come minorenne. Se invece si guarda al risultato in quanto tale, è un maggiorenne in malafede. Il modo di accoglierlo sarà completamente diverso quanto a possibilità di studiare, imparare l’italiano, ricevere un sostegno psicologico… O almeno, dovrebbe essere diverso. Anche questo non è più così sicuro.

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Le forme dell’accoglienza

I ragazzi stranieri senza adulti accanto sono stati accolti, fin qui, in strutture a loro riservate, dove potevano imparare l’italiano, studiare, integrarsi. Anche ricevere sostegno psicologico e attivare la ricerca di familiari a cui eventualmente ricongiungersi. Tutte prerogative non riconosciute dai 18 in su.

Negli ultimi mesi l’alto numero di ingressi ha saturato il sistema di accoglienza dei Comuni destinato ai MSNA e, progressivamente, anche quello gestito dalle Prefetture ma, anziché ampliare e potenziare questi due canali, si è badato al risparmio. Da un lato è stata aumentata la capienza degli stessi centri, che potranno contenere fino al 50% di persone in più. Dall’altro, per un tempo di 3-5 mesi, si potranno accogliere i minorenni di 16-17 anni nei centri per adulti. Luoghi dove saranno poco più che parcheggiati.

Tra i MSNA, oltre 7 su 10 hanno almeno 16 anni. Annetterli ai centri per adulti significa disperdere progressivamente le peculiarità della loro accoglienza, magari insieme al riconoscimento della minore età. È una fase in cui sprecare tempo è allontanare ulteriormente la possibilità, per questi giovani, di imparare l’italiano, acquisire un titolo di studio, farsi trovare pronti per rimanere in Italia anche dopo i 18 anni, e non è detto che a questo si arrivi senza volere.

Infine…

Daniele Lugli, scrivendo di MSNA, ci ricorda che “I cittadini sono persone con fondamentali diritti e doveri (inviolabili gli uni e inderogabili gli altri, dice la Costituzione). Sono sovrani responsabili”. Sovrani responsabili sono i giovani, italiani e no. “L’estensione e l’approfondimento dei diritti e dei doveri non è un ostacolo al progresso individuale e collettivo”, prosegue, e indica i MSNA come “testimoni di resilienza e portatori di speranza”. Peccato che chi decide il loro futuro non la pensi allo stesso modo.


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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