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Quando ero bambina poteva capitare che la scuola aggiungesse un giorno di vacanza per favorire la settimana bianca delle famiglie che se la potevano permettere. Nessuno si scandalizzava per questo. Tuttora la chiusura per il santo patrono, uno diverso in ogni città, non sconvolge gli animi. Neanche da mettere con la chiusura nell’ultimo giorno del Ramadan decisa dall’istituto comprensivo di Pioltello, nella periferia milanese.

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Perfino il calendario scolastico diventa una questione succulenta per certa politica se può alimentare l’idea di uno scontro di civiltà. È un tema che piace. Ma i conflitti basati sui valori, ricordiamolo, sono gli unici senza soluzione – tranne la negazione dell’altro, che però soluzione non è.

Per la verità, nella vicenda di Pioltello, di valoriale c’è davvero poco. La decisione è stata presa dagli insegnanti all’unanimità e all’unanimità confermata per ragioni didattiche, nell’ambito dell’autonomia scolastica che permette a ogni istituto, entro le indicazioni nazionali e regionali, di portare degli aggiustamenti al calendario scolastico, garantendo in ogni caso almeno 200 giorni di lezione. Tutto il resto è un blablabla dissennato. Hanno avuto ragione gli insegnanti e il dirigente scolastico a sentirsi accusati ingiustamente, a diffidare dei giornalisti e a cercare – trovandolo, per fortuna, e non sono i soli – un conforto nelle posizioni del Presidente Mattarella.

Ho visitato il sito della scuola. È intitolata a Iqbal Masih, il ragazzino pakistano divenuto operaio in una fornace a quattro anni, venduto poi a una fabbrica di tappeti per pagare un debito familiare e ormai simbolo della lotta contro il lavoro minorile, dopo la sua uccisione a soli 12 anni.

Scorro il calendario della scuola. Le chiusure previste – oltre alle feste nazionali, civili e religiose – comprendono il carnevale ambrosiano, l’ultimo giorno di Ramadan e il 26 aprile che, essendo un venerdì, risulta incastrato tra Liberazione e fine settimana.

L’istituto comprensivo comprende due scuole dell’infanzia, tre primarie e una secondaria di primo grado. In tutto 63 classi e 1.294 alunni. Tra loro, ha chiarito il preside in questi giorni, oltre il 43% è di cittadinanza straniera. Va aggiunto un altro centinaio di studenti che ha acquisito la cittadinanza italiana ma è di altra origine. Non si tratta di imporre ai cristiani la festa degli infedeli ma di non fare lezione a classi dimezzate. Cosa che del resto è accaduta anche nel 2023 senza nessun clamore.

Sul punto si sono affacciati ulteriori interventi. Si vuol porre un limite massimo al numero di ragazzi stranieri per classe. Peccato che ci sia già, del 30% (con possibilità di deroga), stabilito dalla Ministra Mariastella Gelmini nel 2010 per evitare classi troppo frammentate a partire dalle competenze linguistiche in italiano. Se immagino l’applicazione della legge sono piena di dubbi. I ragazzi di cittadinanza straniera nati in Italia, o arrivati in tenera età, perfettamente in grado di parlare la lingua italiana, devono rientrare nel conteggio?

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E poi, e poi. Data la distribuzione diseguale di stranieri sul territorio, va da sé che ci siano regioni e città dove il limite si raggiunge più facilmente. Così come è ovvio che tra i bambini della prima fascia – fino agli 11 anni – gli stranieri siano più rappresentati, stante l’inverno demografico delle famiglie italiane. Infine, per una distribuzione dei ragazzi stranieri entro certe quote, ci vorrebbe che le famiglie italiane iscrivessero i figli a scuola senza interrogarsi sulla cultura di provenienza dei futuri compagni. Un’apertura, questa, non sempre riscontrata e che, quando manca, contribuisce non poco a creare classi e scuole ghetto.

Torniamo al sito della scuola di Pioltello. Intervistato da un gruppo di alunni per “L’Iqbal nero su bianco. Il miglior giornalino per ragazzi” (30 giugno 2023), il professor Alessandro Fanfoni “sostiene che la multiculturalità degli alunni che la frequentano rappresenti un’opportunità di arricchimento culturale per tutti, purtroppo però molta gente ha dei pregiudizi e vede questo come un limite”.

Che la scuola ne faccia un’opportunità e punti alla formazione completa degli allievi è, invece, piuttosto chiaro. I documenti essenziali per la vita scolastica sono tradotti in arabo, urdu, albanese, francese e rumeno così da favorire il dialogo con i nuovi arrivati. Tra i progetti, oltre al giornalino, troviamo il teatro, l’attenzione per l’ambiente, il telegiornale dei ragazzi, un buon curriculum di educazione alla cittadinanza… E il fatto che la sindaca e i parroci della zona abbiano difeso la decisione dell’istituto, vista come ponte per un dialogo interreligioso paritario e non come subalternità alla componente straniera, dà conto di una quotidianità nella quale lo scambio con l’altro è parte della normalità.

Due riferimenti a me cari affiorano alla memoria. Il primo è la scuola di Neve Shalom – Wahat al-Salam, in Israele, dove ragazzi ebrei e musulmani studiano insieme. Troviamo sul sito italiano, a proposito dell’organizzazione scolastica, i fondamenti: partecipazione paritetica di ebrei e palestinesi nell’insegnamento e nella gestione; predisposizione di un ordinamento che, in modo naturale, consenta un incontro costante e quotidiano fra i bambini dei due popoli; uso delle lingue ebraica e araba come veicoli di comunicazione educativa per tutti i bambini; sviluppo dell’identità di ciascun fanciullo attraverso l’apprendimento della sua cultura e delle sue tradizioni specifiche e, contestualmente, attraverso la conoscenza e il rispetto della cultura e delle tradizioni dell’altro popolo. La presenza, tra gli studenti israeliani, di obiettori di coscienza al servizio militare è un frutto di questa educazione, che non identifica nell’altro il nemico.

Il secondo, fondamentale riferimento è il Tentativo di decalogo per una convivenza interetnica di Alexander Langer dove al punto 6 si legge: “Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa”. Nell’intervento alla Cittadella di Assisi che ne ha preceduto la stesura Alex scandisce: “Ogni nostro luogo, a noi familiare, non diventa meno familiare, non diventa meno amico a noi, se oltre a noi c’è anche qualcun altro”. E, tra gli esempi, parla di lingue, iscrizioni, feste tradizionali, celebrazioni religiose che possono convivere negli stessi luoghi, benché ispirate a matrici diverse, senza che questo faccia traballare le singole culture. Nella scuola di Pioltello, a me pare, sono sulla buona


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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