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Le linee attraverso le quali si sviluppa il tema della contenzione nell’assistenza sanitaria sono molteplici, andando a intersecare differenti aspetti: dall’organizzazione dei servizi psichiatrici ospedalieri e territoriali alla deontologia medica, dal rispetto dai diritti fondamentali e della dignità della persona malata di mente al quadro dei doveri di protezione del paziente facenti capo agli operatori sanitari.

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Sono le principali questioni toccate giovedì 23 aprile, presso la Casa dei Diritti di Milano, nel corso della presentazione del libro di Giovanna Del Giudice, “e tu slegalo subito. Sulla contenzione in psichiatria”, promossa da U.r.a.sa.m – Lombardia, in collaborazione con “Campagna per la Salute Mentale”.

Il dibattito, cui hanno partecipato psichiatri, giuristi e familiari dei pazienti, ha permesso di sviluppare ampiamente l’anima del tema, attraverso un confronto, a tratti, aspro ma certamente produttivo.

L’esperienza narrata da Giovanna Del Giudice è apparsa immediatamente come una testimonianza piena di valore, anche dal punto di vista della partecipazione emotiva, e sempre caratterizzata da una visione obiettiva, mai aprioristicamente critica, sempre intessuta di un forte realismo.

Come raccontato dall’Autrice, nel 2006, da poco giunta presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Cagliari, veniva a conoscenza, quasi per caso, della morte di un paziente, Giuseppe Casu, sopravvenuta mentre quest’ultimo si trovava in stato di contenzione meccanica, legato mani e piedi al letto da sette giorni. Da quel momento prese avvio la sua battaglia per l’abolizione (e non per la sola diminuzione), di questa pratica. Il successo dell’esperienza di Giovanna Del Giudice rende il libro, come affermato dal Dott. Erlicher (già Direttore del DSM AO Niguarda Ca’ Granda di Milano), “la testimonianza concreta di una pratica possibile”. E’ la stessa Autrice a sottolineare però, fin da subito, che non è possibile affrontare questa problematica in maniera chiusa e settoriale, senza analizzare e modificare l’intero sistema dei servizi e senza allargare la discussione all’intera società che deve, necessariamente, esserne resa partecipe. Si può infatti affermare che la contenzione non riguarda semplicemente il singolo operatore “che lega” ma il sistema intero, assieme al paradigma e alla concezione che si ha della malattia mentale.  Solo agendo a questo livello è possibile concepire, e mettere in pratica, quello che il Dott. Canzian (Presidente dell’ U.r.a.sa.m – Lombardia) ha definito come il “pensiero etico di non contenere”. L’analisi dell’Autrice si spinge poi a isolare quelli che sono gli elementi prodromici della contenzione meccanica, che la stessa individua in strutture ospedaliere e di assistenza prive dell’agilità necessaria per operare correttamente, nell’assenza di una rete di servizi territoriali idonea a supportare l’enorme carico di lavoro e nella mancanza di comunicazione e organizzazione all’interno del medesimo Dipartimento di salute mentale.

La contenzione meccanica, equiparabile secondo la Scrittrice ad un trattamento inumano e degradante, va combattuta e sradicata dalle pratiche dei servizi, perché, priva di qualsiasi valenza medica, ferisce profondamente lo stesso rapporto di cura e si pone come lesiva non soltanto della dignità del paziente ma anche di quella dell’operatore stesso nei confronti del suo saper essere umano e professionale.

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Nel senso del doveroso contenimento di pratiche restraint nei servizi psichiatrici orienta anche il ragionamento dei giuristi (Dott. Maisto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna e Prof. Dodaro, Docente di Diritto Penale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca): nessun dubbio sussiste sul fatto che “legare” il paziente sia un fatto previsto dalla legge penale come reato (fatta eccezione per le situazioni straordinarie in cui il contenimento meccanico sia giustificato dalla necessità cogente di impedire che il paziente faccia del male a sé o ad altre persone). L’inequivoco riconoscimento del carattere illecito, dal punto di vista giuridico e bioetico, dell’atto del legare il paziente, costituisce un punto chiave della riflessione sulla contenzione e sulle strategie per il suo superamento; una necessità imprescindibile per chi non voglia affrontare questo problema in maniera asettica, senza contribuire ad alimentare quelle zone d’ombra che hanno solo favorito il sotterraneo e micidiale proliferare di questa pratica.

L’aspetto da evidenziare, inoltre, è che il rispetto delle linee guida non può giustificare mai l’atto in sé e pertanto legare bene non significa che legare è lecito.

Come l’esperienza di Giovanna Del Giudice insegna (unitamente ai percorsi di deistituzionalizzazione degli altri Spdc no restraint esistenti in Italia), quello che si ha di fronte, è l’amara considerazione che la realtà è fortemente resistente al cambiamento e che l’unica strada percorribile è un radicale mutamento di approccio, perché queste pratiche non possono essere cambiate dal nulla ma solo attraverso azioni concrete che trasformino la visione della malattia mentale propria di tutto il gruppo di lavoro e della società nel suo complesso.

In conclusione, “e tu slegalo subito” diventa un atto fondante ma soprattutto un comando da dare, consapevoli di poter fare proprie le parole pronunciate da Franco Basaglia: “Non credo che essere riusciti a condurre un’azione come la nostra sia una vittoria definitiva. L'importante è un'altra cosa, è sapere ciò che si può fare”.

Il libro si può acquistare qui


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