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La parola “dipendenza” può essere molto carica di significato, come viene spiegato da alcuni studiosi che ne hanno ricostruito la storia. In origine, nel XVI secolo, indicava un attaccamento anomalo, di solito all’alcol, e derivava dal latino, dove significava essere in obbligo verso qualcuno, anche vincolati da un debito.

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Il suo uso come vera e propria diagnosi medica è ancora oggetto di dibattito. Per molti anni, l’Associazione Psichiatrica Americana ha preferito parlare di “disturbo da uso di sostanze” per indicare la dipendenza da droghe. Solo con la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) è stata introdotta una sezione specifica chiamata “Disturbi correlati a sostanze e comportamenti di dipendenza”.

Nel linguaggio comune, però, “dipendenza” ha un significato più ampio: si parla di una spinta irrefrenabile o di un bisogno compulsivo che prende il sopravvento sull’autocontrollo e peggiora la qualità della vita.

Con questa definizione, il termine è stato usato per descrivere tantissimi comportamenti: dal mangiare zucchero al digiuno estremo, dai videogiochi allo shopping, dagli sport estremi all’esercizio fisico, fino all’amore, al sesso e alla pornografia.

Alcuni studiosi parlano persino di essere “dipendenti dalla dopamina”, una specie di etichetta per descrivere quanto la vita moderna, soprattutto quella online, possa creare dipendenza. Visto che la dopamina è coinvolta nel funzionamento del sistema di ricompensa nel cervello, dire che si è “dipendenti dalla dopamina” equivale, in fondo, a dire che si è dipendenti dalla dipendenza stessa.

Una delle ragioni per cui il termine “dipendenza” è discusso in ambito medico, spiegano i ricercatori, è che spesso viene definito solo dai sintomi, e non dai meccanismi biologici che lo causano.

La dipendenza si manifesta con desideri insaziabili, comportamenti compulsivi, pensieri ossessivi, impulsività e sofferenza psicologica quando si prova a smettere. Chi ne soffre tende anche ad avere comportamenti tipici: trascurare i propri doveri, mentire, nascondere ciò che fa, e mettere la dipendenza al centro della propria vita.

Dal punto di vista della psichiatria, però, è difficile distinguere questi sintomi da quelli di altri disturbi, secondo gli esperti. Pensieri ossessivi, comportamenti compulsivi e difficoltà nel controllare gli impulsi compaiono in molte condizioni psicologiche. Inoltre, è impossibile fare una diagnosi medica solo sulla base di un comportamento vago come “essere riservati o segreti”.

Invece, sostanze come cocaina, eroina o alcol hanno effetti ben visibili sul cervello, come provato dalle ricerche della neuroscienza. Alterano il sistema di ricompensa e portano a cambiamenti duraturi nel funzionamento cerebrale: rilasciano più dopamina e oppioidi interni in risposta a stimoli legati alla dipendenza, riducono la risposta ad altri piaceri e indeboliscono il controllo razionale esercitato dalla corteccia prefrontale.

In più, questi cambiamenti si possono vedere persino a livello genetico, con alterazioni nella trascrizione dei geni e nella regolazione epigenetica.

Questi cambiamenti neurobiologici mostrano che la dipendenza, almeno quella da sostanze, è una condizione concreta e misurabile nel cervello – non solo un insieme di sintomi. Ma allora, come si spiegano tutte quelle dipendenze comportamentali di cui si sente parlare oggi?

L’idea alla base delle cosiddette “dipendenze comportamentali” (o “dipendenze da processo”) sottolineano i ricercatori, è che certe esperienze naturali possano attivare il sistema di ricompensa in modo simile a quanto fanno le droghe, portandolo a uno stato di squilibrio.

C’è un comportamento in particolare per cui esistono prove scientifiche dirette di questo effetto: il gioco d’azzardo compulsivo. Anche in questo caso si è osservato un aumento del rilascio di dopamina in risposta alla ricompensa, una minore sensibilità ad altri piaceri, e modifiche genetiche associate. Per questo, il gioco d’azzardo patologico è oggi considerato una vera e propria dipendenza nel DSM-5.

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Per altri comportamenti – come il cibo, il sesso o l’attività fisica – le ricerche sono in crescita, ma le prove scientifiche sono ancora più deboli.

Uno dei limiti principali, spiegano gli studiosi del campo delle dipendenze, è che non è facile misurare in modo preciso quei cambiamenti nel cervello nelle persone. Per il gioco d’azzardo, l’alimentazione compulsiva, il sesso o l’esercizio fisico esistono modelli animali che permettono di studiarli. Ma per altre esperienze non è così semplice.

Un esempio interessante è il fenomeno detto dell’”ultra-attaccamento”: un’ossessione affettiva, una forte infatuazione verso un’altra persona.

I sintomi dell’ultra- attaccamento, come euforia, desiderio continuo, pensieri intrusivi, bisogno incontrollabile dell’altro, sembrano proprio quelli di una dipendenza. Ma come si può costruire un modello animale per studiare la dipendenza da un’altra persona? È la domanda che si fanno i ricercatori.

L’ultra-attaccamento mostra chiaramente una zona grigia nella pratica clinica, spiegano: alcuni comportamenti causano sofferenza vera e propria, peggiorano la salute mentale e richiedono aiuto, ma non rientrano in nessuna categoria psichiatrica ufficiale.

Chi fa terapia, quindi, deve comunque trovare il modo di aiutare chi ne soffre.

L’ultra-attaccamento è un disturbo dell’attaccamento? Un problema di controllo degli impulsi? Un disturbo dell’umore? Una dipendenza comportamentale? Oppure va ignorato solo perché non è presente nel DSM?

È anche per questo che nel linguaggio di tutti i giorni si continua a usare la parola “dipendenza” per descrivere comportamenti che, pur non essendo legati all’uso di sostanze, presentano sintomi simili.

Molte delle cosiddette “nuove dipendenze” che riguardano in particolare i più giovani, sembrano avere lo stesso schema di cause e effetti. Ma solo il tempo, e la ricerca scientifica, concludono i ricercatori, potrà dire quante di esse hanno davvero basi neurobiologiche paragonabili a quelle delle dipendenze da sostanze.


Riferimento bibliografico:

Rosenthal, RJ & Faris, SB.
The etymology and early history of ‘addiction.
Addiction Research & Theory.

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