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Premessa:
La Comunità Terapeutica è una struttura sanitaria di “dimensioni familiari” (in genere dai 10 a un massimo di 20 pl) per il trattamento volontario globale – psicoterapeutico, farmacologico, relazionale e sociale che – su richiesta dei Servizi territoriali – accoglie pazienti preferibilmente giovani e agli esordi psicopatologici, non trattabili a domicilio, né a livello ambulatoriale, che non necessitano di trattamenti in regime di ricovero ospedaliero e che hanno bisogno di effettuare un percorso terapeutico e riabilitativo attraverso una presa in carico residenziale ed un periodo di separazione dall’abituale contesto di vita.
È adatta per quei pazienti che necessitano di uno spazio e di un tempo necessari per riavviare processi evolutivi interrotti, per sperimentare nuove relazioni significative, per ricostruire, rinarrare e risignificare la propria storia personale con lo scopo di raggiungere un adeguato recupero funzionale. Per raggiungere le sue finalità si avvale di un trattamento complesso multifattoriale e multidisciplinare di tipo evolutivo/trasformativo.
È da considerarsi un tassello di un intervento, una struttura “intermedia” tra il polo ambulatoriale e l’Ospedale; un’esperienza temporanea che si realizza “in rete”: all’interno di un percorso – permeabile agli scambi sociali - che preveda risposte articolate, calate sui bisogni e sul progetto del paziente es in linea con l’evoluzione di un quadro che può spaziare tra interventi a valenza maggiormente sanitaria e/o sociale.
Sul territorio nazionale le Comunità terapeutiche che rispondono ai bisogni della popolazione adulta sono sufficientemente distribuite; per quanto concerne invece la fascia evolutiva adolescenziale se ne riscontra ancora un numero ridotto con una presenza a “macchia di leopardo”.
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Tale manifesto nasce dalla sintesi di un lavoro svolto dalla Consulta delle Società Scientifiche presso il CNOP che ha appositamente istituito un gruppo tecnico sul tema delle Comunità Terapeutiche Residenziali con le seguenti finalità:
- Ribadire il ruolo terapeutico della residenzialità delle Comunità terapeutiche, affrancandosi da un modello assistenziale e ospedaliero;
- Delineare il ruolo trasformativo delle residenzialità;
- Analizzare l’appropriatezza delle figure professionali nei ruoli dell’organizzazione;
- Svolgere un’opera di sensibilizzazione culturale e di approccio alla tutela della salute
mentale lontano da logiche meramente assistenziali;
- Incidere sulle scelte riguardo la programmazione dei Servizi a livello di politica sanitaria con proposte di modifica delle normative regionali vigenti;
- Per la cittadinanza/familiari/utenti: fornire delle risposte efficaci, luoghi di cura dinamici, flessibili, evolutivi “contro” il rischio di luoghi statici, non vitali, caratterizzati da routine ripetitive, non promotrici di processi evolutivi e di inclusione sociale;
- Non avallare, sulla tematica della salute mentale, soluzioni anacronistiche, fuori dai tempi, dove vengono riproposte, per gli interventi di una certa durata, soluzioni semplicistiche sostanzialmente allocative.
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Oggi la cultura delle comunità viene sottovalutata nel dibattito teorico scientifico predominante, ma resta viva e operante in molte strutture e istituzioni che continuano a far riferimento al bagaglio storico culturale e metodologico che essa ha trasmesso nel tempo, a conferma, da un lato della validità del metodo comunitario, e dall’altro della dicotomia esistente fra le esigenze di un corretto approccio biopsicosociale e visioni troppo riduzionistiche.
Si sta assistendo nel tempo a normative nelle varie regioni, che finiscono per semplificare e banalizzare la complessità dell’intervento e che stanno, di fatto, assimilando le Comunità sempre più, per caratteristiche e personale, a strutture assistenziali e simil/ospedaliere con un’indicazione del personale che vede una sperequazione di figure infermieristiche e parainfermierisiche rispetto a funzioni professionali maggiormente deputate a decodificare gli aspetti interni dei pazienti.
La direzione sembra propendere verso una sorta di aziendalizzazione fine a sé stessa, una assistenza burocratica, dove poco spazio rimane alla dimensione dell’incontro.
Da molte parti è stato lanciato negli ultimi anni l'allarme per il tentativo di riprodurre in una comunità terapeutica un modello assimilabile alla clinica psichiatrica. C’è il rischio concreto di concepire questo intervento o come fortemente sanitarizzato o con una valenza solo di tipo socio-assistenziale.
Bisogna avere il coraggio di dire esplicitamente che i pazienti ospiti nelle comunità terapeutiche (per lo più giovani adulti) hanno un quadro clinico che rientra nell’alveo della psicopatologia che una volta stabilizzata (fuori dall’acuzie, dall’intervento ospedaliero) deve essere riconosciuta e adeguatamente trattata con strumenti non solo educativi o rieducativi, ancor meno di tipo assistenziale, ma soprattutto con interventi a valenza clinica, terapeutica. Storie di sofferenza richiedono una particolare formazione sia per entrare in relazione che per sintonizzarsi con i bisogni profondi degli utenti. Competenze che si acquisiscono se si è seguito un particolare percorso di studio, se non anche un training di psicoterapia personale, attraverso cui gli operatori possano essere in grado di riconoscere “dentro di sé” ciò che sta accadendo al paziente, per entrarvi in risonanza e restituirlo in maniera pensata e bonificata
Nella maggior parte delle normative regionali vengono proposte figure para/infermieristiche in numero sproporzionato rispetto a funzioni professionali competenti e con una particolare attitudine alla riflessione e alla clinica e non solo ad una generica accoglienza.
Si rischia di scambiare il “contenimento psichico” - che vuol dire accoglienza, holding, reverie, ascolto, mentalizzazione, fiducia, relazione, dedizione, incontro - per il “contenimento fisico”, per assistenza solo materiale, biologica, di “tamponamento” del sintomo, senza attenzione e ascolto trasformativo alla realtà interna degli utenti, alle loro esperienze, alle loro vite, alle loro esistenze. Si arriva in questo modo a riproporre un modello custodialistico che vede i pazienti passivi e non soggetti attivi di un percorso.
Riteniamo che occorra un personale multidisciplinare che privilegi, tuttavia, figure a valenza
“psi” in grado di ricucire, rinarrare una storia, ritessere delle relazioni familiari cortocircuitate, “mettere in parola” e significare vissuti poco mentalizzabili, elaborare stati traumatici per favorire un riavvio di un’evoluzione che per molteplici fattori si è interrotta e dove il “vulnus” è l’elemento relazionale che possa favorire l’introiezione di nuovi schemi, copioni più adattivi e funzionali nel tentativo di attivare e sviluppare nei pazienti una “funzione riflessiva”. È inaccettabile quindi che nella quasi totalità delle normative regionali riguardanti le comunità terapeutiche per la salute mentale non sia prevista in organico la figura dello psicoterapeuta e sia presente solo in misura minima quella dello psicologo.
È a tutta la società che ci rivolgiamo dunque, a partire da chi ha responsabilità specifiche, perché non solo i principi che hanno animato l’origine delle comunità terapeutiche continuino ad essere affermati, ma venga fermata la tendenza alla ipersemplificazione, a marginalizzare il modello psicoterapeutico da parte di quanti - più o meno consapevolmente- finiscono per avallare un paradigma biologico/riduzionista dal sapore custodialistico/assistenziale.
Ed è in questo senso che chiediamo a quanti condividono i principi di questo Manifesto di sottoscriverne l'adesione, inviando una email a
I componenti del Gruppo tecnico di lavoro “Comunità terapeutiche residenziali:
Dott. Claudio Bencivenga, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali e Fenascop
Dott. Umberto Nizzoli, Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare (SISDCA)
Dott. Roberto Quintiliani, Mito & Realtà Associazione Comunità Terapeutiche Residenziali Dott.ssa Chiara Ronconi, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI)
Dott. Matteo Sozzi, Società degli Psicologi dell'Area Neuropsicologica (SPAN)
Dott.ssa Carlotta Zoncu, Società Italiana di Psicodramma Analitico (SIPsA)
(Clicca sull'immagine per leggere il documento)
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"Siamo rammaricati e preoccupati nell'apprendere che l’iter parlamentare della proposta di legge di Modifica al codice penale in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (Siani) si sia interrotto così bruscamente a causa di emendamenti che avrebbero stravolto completamente il senso.
Per il Cnca nessun bambino deve crescere in un Istituto di pena nel rispetto del suo superiore interesse cosi come previsto dalla CRC (ratificata dall'Italia nel 1991) e al fine di garantire l'esigibilità del diritto al pieno sviluppo di relazioni di genitorialità positiva tra genitori - figli anche per madri (o padri) in stato di detenzione.
La soluzione indicata nella suddetta proposta di legge tesa a valorizzare l’esperienza delle case famiglia come luogo in cui scontare la pena, quando altre soluzioni alternative alla custodia non fossero possibili, continua a essere un’ottima soluzione e la strada da perseguire così come, peraltro, raccomandato anche nel 12 report di monitoraggio dello stato di attuazione della CRC in Italia a firma di oltre 100 ONG e coordinamenti nazionali tra cui il CNCA.
Le forze di maggioranza sembrano piuttosto strabiche e contraddittorie su questi aspetti: da una parte dichiarano a gran voce di voler tutelare la famiglia, dall’altra impediscono nei fatti di sviluppare ed incoraggiare le migliori esperienze di tutela della stessa per le persone più fragili, quali sono i figli di madri detenute, e le detenute stesse nel momento in cui sono costrette a agire la propria genitorialità in carcere".
Dichiara Caterina Pozzi . Presidente del Cnca
"Il Cnca si batte da sempre per favorire al massimo l’applicazione di pene alternative alla detenzione, in tutti i casi nei quali sia possibile, e per valorizzare tutte le esperienze positive in questo senso. Quale caso più eclatante di quello di una madre con figli piccolissimi dovrebbe esistere per impedire la detenzione ? Sappiamo perfettamente tutti quanto la semplice detenzione non sia utile per il raggiungimento degli scopi rieducativi dettati dalla Costituzione, e qualcuno vuole applicarla anche ai bambini ! siamo molto preoccupati dai segnali di profonda regressione culturale sul tema delle pene e del carcere che questo governo e la maggioranza stanno esprimendo – continua Sonia Caronni – coordinatrice del gruppo nazionale di lavoro sul tema del Cnca.
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Bene l’aumento delle misure alternative, ma le comunità non si trasformino in carceri private
In merito al dibattito di questi giorni il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) ribadisce la necessità di facilitare percorsi alternativi per l’uscita dal carcere, in particolare per le persone con problemi di dipendenza. Ma le comunità non vanno pensate come surrogati degli istituti di pena né come carceri private.
“Da sempre crediamo all’inutilità della detenzione per le persone con dipendenze come dimostrano le numerose accoglienze nelle nostre strutture e nei progetti di misure alternative territoriali. E’ un lavoro che facciamo da anni. Ma le comunità non devono diventare delle carceri private, la detenzione non è lo strumento per facilitare la cura e il percorso di riabilitazione. A livello normativo sono già previsti dei percorsi alternativi, poco utilizzati e non sufficientemente sostenuti a livello economico e culturale. Il CNCA e una buona parte della società civile c’è ed è disponibile a ragionare su un’idea di superamento che sia inserita in una logica di sistema basta sulla scelta e la responsabilità della persona ” afferma Caterina Pozzi, presidente del Cnca.
“Non è pensabile tornare ad un modello di comunità di alcune esperienze degli anni ‘80, che oggi come allora non trovano assoluto riscontro nella realtà e nei bisogni delle persone che incontriamo
Accogliamo oltre 4000 ospiti nelle nostre comunità che sono aperte sul territorio, lavorano per l'inserimento sociale e accompagnano le persone nei propri percorsi di responsabilità, recupero e scelta consapevole. Queste realtà non possono trasformarsi in luoghi di puro contenimento.
Rivendichiamo con forza la professionalità e la motivazione etica e di impegno sociale degli operatori che lavorano nei nostri servizi; si tratta di professionisti che hanno scelto un lavoro di accompagnamento e cura e che non possono mai fare le veci della polizia penitenziaria”, aggiunge Pozzi.
Il CNCA è oggi la principale rete di cura delle dipendenze nel terzo settore con circa 300 realtà presenti in tutta Italia e 4000 persone prese in carico ogni anno; “La nostra storia quarantennale di lavoro sul campo parla di percorsi terapeutici, di scelta, di condivisione. Noi lavoriamo costruendo percorsi di autonomia con le persone, facciamo in modo che entrino, quando necessario, in rapporto con il reato commesso e con la pena ispirato ad una cultura di giustizia riparativa su cui le nostre comunità stanno già lavorando da anni. Per noi il carcere è sempre l’estrema ratio, soprattutto per chi ha un problema di dipendenza. Siamo convinti che i percorsi di accompagnamento e le misure alternative debbano essere implementati, ma rifiutiamo in maniera forte di trasformare le comunità in luoghi di puro contenimento. Educare, non punire è da sempre il nostro slogan”, aggiunge Riccardo De Facci, consigliere nazionale del CNCA con delega alle dipendenze.
Per informazioni:
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
cell. 347 8291853
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Roma, 28 dicembre 2022
Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime grave preoccupazione e dissenso circa il previsto anticipo al 28 febbraio 2023 dell’entrata in vigore della riforma del processo civile.
Condividiamo pienamente quanto già evidenziato in proposito sia dall’Avvocatura unita nelle sue componenti istituzionali, politiche e associative, sia dall’AIMMF (Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per le Famiglie).
Riteniamo infatti che l’anticipazione al 28/02/23 dell’entrata in vigore delle modifiche previste dalla legge 206/21 – i cui contenuti peraltro sono stati oggetto di inascoltato seppur motivato dissenso in sede di iter di approvazione – non risponda al requisito del superiore interesse della persona di minore età e della sua famiglia, perché non tiene conto dell’attuale reale, precaria situazione tecnico-organizzativa e di dotazione strumentale in cui sono costretti a operare i settori e gli organi dei Tribunali, con particolare riferimento ai Tribunali per i minorenni, e rappresenta di fatto un accelerato, pericoloso e insensato “salto nel vuoto” in un settore decisivo e importante per la vita di bambin*, ragazz* e delle loro famiglie.
Ci uniamo pertanto alla richiesta dell’AIMMF e dell’Avvocatura tutta nel chiedere con urgenza al Governo e, nello specifico, al ministro della Giustizia la rivalutazione dei tempi di entrata in vigore di detta riforma, la definizione di tempi e misure coerenti con la praticabilità dei processi di cambiamento, nel superiore interesse delle persone di minore età e delle loro famiglie, nonché l’avvio di un dialogo proficuo e costruttivo tra i preposti organi dello Stato e la società civile nella sue diverse composizioni (AIMMF, Avvocatura, Coordinamenti nazionali, Terzo settore) quale espressione di costruzione responsabile del bene comune.
Aderiscono al comunicato: ANFAA nazionale, CISMAI, CNCM, Agevolando.
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La vicenda della fuga dei sette ragazzi dall’Istituto Penale per Minorenni Beccaria di Milano ci propone diversi interrogativi e spunti di riflessione.
Vengono in considerazione in primo luogo, come ricordato già da altri, i problemi che affliggono l’IPM Beccaria ormai da molto tempo e che con ogni probabilità hanno contribuito a rendere pensabile e possibile l’“evasione di Natale”: carenza di personale, lavori di ristrutturazione che durano da troppo, mancanza di una Direzione stabile da quasi vent’anni. Questioni già evidenziate in passato anche dalla Camera Minorile di Milano e purtroppo ancora oggi in attesa di superamento.
Al di là del caso specifico (la fuga dall’IPM di Milano, sette ragazzi con sette storie, i relativi procedimenti, ecc.), cogliamo l’occasione per ricordare, ancora una volta, le gravi conseguenze che derivano dall’esiguità delle risorse destinate non solo per gli IPM ma più in generale per l’intero sistema – ché tale deve essere – della giustizia minorile. Nel nostro lavoro di avvocati minorili ci imbattiamo sempre più spesso in vere e proprie, per quanto non volute, violazioni dei diritti dei nostri giovani e a volte giovanissimi assistiti: violazioni derivanti dal trovarsi collocati in IPM fuori regione dato il sovraffollamento del Beccaria, dall’insufficienza dei posti in comunità in Lombardia per i ragazzi e le ragazze coinvolti in procedimenti penali, dalla carenza e comunque dall’elevato turn over di educatori o assistenti sociali, ciò che come ovvio ostacola lo sviluppo delle necessarie competenze, dalle difficoltà di accesso ai servizi specialistici del territorio, insufficienti e sempre in affanno, dalla scarsità di personale e di mezzi degli stessi uffici giudiziari minorili milanesi.
Abbiamo nel nostro Paese per i ragazzi e le ragazze autori di reato una normativa ancora oggi all’avanguardia che senza fare sconti di responsabilità propone una forte attenzione a che i percorsi penali siano occasioni anche di crescita, mai standard ma personalizzati. La stessa riforma recentemente approvata con l’introduzione della disciplina organica della giustizia riparativa (non solo per i minorenni) prosegue in quella direzione. Talvolta però le carenze sopra indicate ed evidenti anche nella nostra “ricca” Lombardia portano a tradire i principi e indebolire le norme e – ciò che più conta – a trascurare le persone, con conseguenze dannose per i singoli coinvolti ma anche per il benessere e la stessa sicurezza dell’intera società.
Vediamo da qualche tempo nel nostro territorio - che pur non è privo di opportunità - un mondo giovanile segnato da frustrazioni, rabbia, fragilità personali anche importanti, che a volte portano drammaticamente alla chiusura in se stessi e a volte esplodono in prove di forza nei confronti dell’autorità, familiare o istituzionale che sia, ovvero in veri e propri fatti di reato. E’ un mondo sempre più distante da noi adulti, singoli e istituzioni, che siamo spesso in difficoltà nel comprendere e nell’essere considerati interlocutori credibili e che molte volte, pressati dall’emergenza, siamo tentati di pensare che la soluzione realisticamente migliore sia una risposta forte o comunque in qualche misura innanzitutto contenitiva.
Come avvocati minorili sappiamo – lo vediamo quotidianamente nei processi - che gli interventi di rieducazione, riabilitazione o recupero che dir si voglia funzionano quando sono il risultato di un coinvolgimento attivo del ragazzo o della ragazza interessati e addirittura lo stesso giudizio di condanna ovvero i provvedimenti limitativi della libertà mantengono senso anche per i destinatari ed efficacia se accompagnati da una chiara volontà e capacità di tenere aperto il canale dell’ascolto e del riconoscimento.
I ragazzi fuggiti dal Beccaria ci propongono quindi come associazione e come avvocati un supplemento di impegno, nella formazione e nelle iniziative ai vari livelli oltre che nel quotidiano esercizio della professione, per contribuire al sempre miglior funzionamento della giustizia minorile e per accrescere le capacità di ascolto, di riconoscimento, di proposta e insomma di relazione con i ragazzi e le ragazze, anche quelli più “difficili”.
Milano, 27/12/2022
il Consiglio Direttivo della Camera Minorile di Milano
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E’ assai recente la notizia che nella legge di bilancio che deve essere a giorni discussa, il Governo abbia inserito l’anticipazione della entrata in vigore della riforma del processo civile.
A questo proposito AIMMF
SOTTOLINEA
come già in precedenza con numerose lettere al Ministero di Giustizia, appelli e comunicati, fossero state evidenziate serie perplessità circa la fattibilità di una riforma che sin dalla sua stesura non ha ritenuto di prendere in considerazione le effettive realtà degli uffici giudiziari e dei territori, prevedendo peraltro la sua complessa realizzazione ad invarianza finanziaria e senza aumento di organici.
EVIDENZIA
come la previsione approvata il 17 ottobre scorso con DL 149/22 dell’entrata in vigore al 30 giugno prossimo fosse già fonte di notevole preoccupazione dal momento che i tribunali per i minorenni
- continuano a non disporre del processo civile telematico e non sono in grado di dialogare con gli altri uffici giudiziari, con la necessità di costringere i difensori a muoversi dalle loro sedi a quella distrettuale per il rilascio di copie cartacee e la visione degli atti di controparte;
- dispongono di un numero di addetti amministrativi assolutamente carente, di talché gli adempimenti rapidi richiesti dalla riforma per garantire il rispetto del contraddittorio sconteranno certamente tempi non in linea con quelli previsti dalle norme approvate;
- hanno piante organiche di giudici togati del tutto inadeguate a fronteggiare una mole di lavoro sempre più esplosiva dopo la pandemia, specie nella impossibilità prevista dalla riforma di utilizzare appieno per le istruttorie la componente dei giudici onorari, senza la cui ampia collaborazione i tribunali per i minorenni non potranno più garantire tempi di trattazione delle procedure in linea con le stringenti esigenze di protezione dei minori, con conseguente importante aumento dei tempi di definizione dei processi, ottenendo quindi un risultato contrario alla finalità della riforma;
- sono stati esclusi dall’Ufficio del Processo (art.16 octies D.L. 179/2021) e non potranno quindi avvalersi del personale reclutato per la composizione dell’UPP.
RENDE NOTO
che per tali ragioni i ventinove presidenti di tutti i tribunali per i minorenni italiani hanno recentemente inviato una preoccupata missiva al signor Ministro della Giustizia, il cui contenuto si condivide integralmente
ESPRIME
intenso rammarico per la volontà espressa dal Governo di anticipare di quattro mesi l’entrata in vigore della riforma al prossimo 28 febbraio 2023, in assenza di qualsiasi riflessione sulla possibilità concreta di dare attuazione alle numerose modifiche legislative introdotte senza risorse adeguate.
SEGNALA
come ciò abbia provocato forte sconcerto, una sensazione di solitudine e seria preoccupazione per il caos in cui fra pochi giorni saremo catapultati, senza mezzi e strumenti necessari.
AGGIUNGE
peraltro il fatto che gli uffici minorili sono uffici promiscui che trattano sia la materia civile che quella penale e pertanto in questo tempo sono gravati dalla necessità di dare applicazione anche alla complessa riforma penale che non poche difficoltà attuative pure porta con sé.
ESPRIME
il convincimento che, oltre alla irrinunciabilità delle risorse, un adeguato tempo di studio dedicato a reperire soluzioni più confacenti per poter applicare la volontà del legislatore e dare agli uffici giudiziari, ma anche agli avvocati, la possibilità di organizzarsi al meglio, sarebbe stata una soluzione sensata e pertinente; mentre al contrario una accelerazione come quella proposta rischia di provocare malfunzionamenti, confusioni, prassi difformi e sostanzialmente denegata giustizia alla collettività che la attende e denegata tutela ai soggetti più fragili.
EVIDENZIA
come il settore minorile non abbia alcuna attinenza alla esecuzione del PNRR, né possa essere di interesse per l’Europa, che al contrario esige tempi maggiormente contenuti per i procedimenti civili più direttamente collegati al comparto economico.
AUSPICA
che, per evitare che la giurisdizione in questo settore importantissimo per la vita delle persone si trovi a compiere un vero e proprio “salto nel vuoto”, siano con urgenza rivalutati i tempi di entrata in vigore della riforma con un intervento immediato e una previsione trasparente circa tempi e misure che il Ministero dovrà necessariamente adottare per garantire la effettiva percorribilità delle normative approvate.
Roma, 22 dicembre 2022
Il Segretario Generale Il Presidente
Susanna Galli Cristina Maggia
Lo sconcerto di CNF e OCF
Con un comunicato stampa congiunto del 20 dicembre 2022, Consiglio nazionale Forense e Organismo Congressuale Forense hanno espresso sconcerto per l’emendamento del Governo sulla legge di bilancio in tema di anticipazione della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023, rispetto alla data prevista del 30 giugno 2023.
"Suscita sconcerto la decisione del Governo di anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni più rilevanti della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023. L’emendamento governativo alla legge di Bilancio, con l’anticipazione delle principali novità del rito civile, stride peraltro con la decisione di posticipare, invece, la riforma del processo penale e soprattutto appare del tutto irragionevole e disfunzionale visto il caos in cui getterà cancellerie, magistrati e avvocati”.
In questi termini esordisce la nota stampa, che riporta le dichiarazioni della presidente del Consiglio nazionale forense (Cnf), Maria Masi, nonché del coordinatore dell’Organismo congressuale forense (Ocf), Mario Scialla.
La necessità di entrare a regime
“Innovazioni di forte impatto – proseguono Masi e Scialla - come la nuova fase introduttiva del giudizio di cognizione, infatti, richiedono negli operatori il giusto livello di approfondimento e consolidamento che non sarà possibile con un’anticipazione di quattro mesi rispetto alla data originaria di entrata in vigore. Questo tipo di considerazioni, d’altronde, hanno indotto opportunamente il Governo ad operare la scelta opposta in riferimento al processo penale. Non si comprende in nessun modo, dunque, la scelta vista la consapevolezza mostrata circa il già grave affanno della giustizia civile, definita prima causa di sofferenza dello Stato, con i ritardi dei processi che costano il 2% di Pil”.
Le criticità a carico del diritto di difesa
La presidente Cnf Masi e il coordinatore di Ocf Scialla hanno infine concluso: “E neppure ignora il Governo le criticità della riforma, di cui si appresta ad accelerare l’entrata in vigore, sotto il profilo del diritto di difesa. Criticità che aveva annunciato di voler risolvere, rispondendo all’auspicio dell’avvocatura di un intervento normativo sugli aspetti più spinosi della riforma della giustizia civile che, così come è, non è in grado di contrarre i tempi medi dei processi, con un inutile sacrificio delle garanzie di difesa e del contraddittorio, e senza una vera incidenza sugli obiettivi individuati dal Pnrr”.
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Al termine dell’assemblea nazionale i rappresentanti delle organizzazioni di tutta Italia hanno scelto la vicepresidente della cooperativa sociale Open Group: “Oggi più che mai credo nell’importanza di questa realtà che riesce a coniugare, in direzione ostinata e contraria, pratica, cultura e politica partendo dai territori e dalle persone che li abitano, soprattutto da chi fa più fatica”.
Milano – Per la prima volta ci sarà una donna alla guida del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). Caterina Pozzi è stata eletta all’unanimità dai delegati e dalle delegate che il 15 e il 16 dicembre si sono dati appuntamento a Milano, presso la struttura del TeatroLaCucina all’interno dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, per l’assemblea nazionale “Comunità Accoglienti”.
Il CNCA è un’organizzazione presente in 19 regioni con oltre 240 enti del terzo settore associati: una rete che conta oltre 29mila soci, 14mila addetti e 5mila volontari che ogni anno si fa carico attraverso i servizi territoriali dei suoi associati di 4mila nuclei familiari e 45mila persone.
Caterina Pozzi, già amministratrice delegata e poi vicepresidente della Cooperativa sociale Open Group di Bologna, guiderà un Consiglio Nazionale del CNCA di cui fan parte 33 persone tra cui i 14 presidenti dei livelli regionali di coordinamento: Barbara Balbi (Veneto), Claudio Bassetti (Trentino Alto Adige), Lorenzo Camoletto (Piemonte e Liguria), Paolo Cattaneo (Lombardia), Domenico Di Palma (Puglia), Anna Paola Fabbri (Marche), Francesca Fiorentino (Calabria), Massimo Ippoliti (Abruzzo e Molise), Matteo Lami (Toscana), Piero Mangano (Sicilia), Stefano Nonino (Friuli Venezia Giulia), Stefano Regio (Lazio), Silvia Salucci (Emilia Romagna), Fedele Salvatore (Campania). Marina Galati rappresenta la rete di associazioni di volontariato del CNCA e sono 18 gli eletti in rappresentanza degli associati: Andrea Albino, Emiliano Bertoldi, Barbara Bussotti, Domenico Chionetti, Salvatore Costantino, Silvia Dalla Rosa, Mattia De Bei, Riccardo De Facci, Alessandra De Filippis, Jenny De Salvo, Michelangelo Marchesi, Liviana Marelli, Luigi Nardetto, Alessia Pesci, Massimo Ruggeri, Stefano Trovato (tesoriere) e Angelica Viola.
Il nuovo Consiglio segna una crescita della rappresentanza femminile e l’apertura alla partecipazione di 15 consiglieri al primo mandato. “Il mio essere donna e presidente”, spiega Caterina Pozzi, “vuole affermare un’idea di leadership diffusa e democratica, in cui le tante sensibilità, differenze e intelligenze delle persone del CNCA possano essere valorizzate e avere modo di esprimersi, all’interno di un’organizzazione che ha davanti sfide sempre più complesse”.
In un passaggio storico in cui il welfare può fare la differenza per migliaia di famiglie in scivolamento verso la povertà, il lavoro sociale attraversa una crisi causata da una delegittimazione che è urgente portare al centro dell’agenda politica, e il fare rete consente un confronto virtuoso e un rafforzamento della voce.
“Oggi più che mai credo nell’importanza di questa realtà che riesce a coniugare, in direzione ostinata e contraria, pratica, cultura e politica partendo dai territori e dalle persone che li abitano, soprattutto da chi fa più fatica”, ha dichiarato la neopresidente, che ha voluto ringraziare il suo predecessore Riccardo De Facci e la vicepresidente Marina Galati per l’impegno profuso e il sostegno ricevuto in questi anni.
Il 2022 è un anno particolare per il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza: “Son quarant’anni di CNCA”, prosegue Caterina Pozzi, “e il mondo va sempre peggio, verrebbe da dire parafrasando James Hillman; ma non ci perdiamo d’animo perché in questa mancanza e inadeguatezza ci abbiamo fatto casa, sognatori con i piedi nel fango assieme a tutte le persone che per amore o necessità abbiamo scelto di accogliere con le loro – e le nostre – vite complicate, fragili e vulnerabili”.
“In questo anno abbiamo anche cambiato nome”, prosegue, “da Comunità di Accoglienza a Comunità Accoglienti, perché ci riconosciamo in un cammino di prossimità con le persone e le organizzazioni, dentro le relazioni e i legami con i territori”.
Nella due giorni il CNCA ha confermato l’intenzione di supportare proposte generative e concrete di lavoro sociale e sociosanitario, come le cooperative di comunità, le comunità energetiche, il budget di salute, le case di comunità, l’educatore finanziario, le varie forme di housing sociale, la creazione di diversificati percorsi di inclusione sociale e i progetti di giustizia riparativa. Proposte che sono descritte nel volume Ostinatamente controcorrente, cercando giustizia sociale e ambientale.
Oltre a questo testo sono stati poi consegnati ai partecipanti il Taccuino sui grovigli e l’opuscolo Il tempo della consegna.
Conclude Caterina Pozzi: “Come CNCA assumiamo l’impegno affinché si eviti il rischio di una rigida contrapposizione tra pubblico e Terzo settore, superando la logica attuale che vede il Terzo settore mero esecutore di prestazioni. Il lavoro di cura, il lavoro sociale ed educativo richiedono pluralità di sguardi, competenza e un’esperienza diffusa e articolata: è un orientamento alla buona vita, alla gestione del bene comune e svolge una fondamentale “funzione pubblica” di responsabilità verso tutte le cittadine e tutti i cittadini”.
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E’ scomparso don Renato Rebuzzini
Tra i fondatori del CNCA, è stato uno dei primi a impegnarsi, a Milano,
in favore dei giovani che avevano problemi di dipendenza da sostanze
Roma, 23 novembre 2022
Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime il proprio cordoglio per la scomparsa di don Renato Rebuzzini.
Don Renato è stato uno dei fondatori della nostra federazione. Ci mancherà la sua capacità di stimolo, a volte molto diretta, sempre aperta al confronto e alla proposta. È stato uno dei parroci che più si è impegnato nelle periferie milanesi per aiutare le persone più deboli. L’esperienza nelle zone marginali della città è stata per lui l’occasione per ripensare, anche all’interno del CNCA, una proposta politica complessiva di miglioramento della società.
Don Renato è stato tra i primi a impegnarsi, negli anni Settanta, in favore dei giovani e delle persone che assumevano sostanze psicoattive, in un periodo in cui non esistevano servizi dedicati. Con un gruppo di giovani - volontari o obiettori di coscienza - ha creato le prime strutture rivolte alle persone che avevano problemi di dipendenza. Al Giambellino, mentre era parroco a San Vito, ha dato vita all’associazione Comunità del Giambellino. L’attenzione alle persone è sempre stata accompagnata da quella per il territorio, in particolare per questo quartiere milanese di periferia. Ma anche nelle altre zone della città in cui è stato parroco, ha continuato a creare strutture di aiuto per i più fragili.
Un saluto fraterno e un abbraccio a tutta la Comunità del Giambellino.
Caro Renato, la presidenza e tutto il CNCA ti è grato.
Info
Mariano Bottaccio – Responsabile Ufficio stampa e Comunicazione
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
tel. 06 44230395/44230403 – cell. 329 2928070 - email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
www.cnca.it
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In uscita il
PODCAST
FUORI FAMIGLIA
percorsi straordinari di persone ordinarie
a cura di Associazione Agevolando - Care Leaver Network Lombardia
in collaborazione con CNCA e con Melting Pod
Su tutte le altre principali piattaforme: Spotify, Amazon Music /Audible, Apple Podcast, Google Podcast,Castbox, Deezer, Podcast Addict, Podchaser, JioSaavn
Il Care Leaver Network Lombardia di Associazione Agevolando, nell'ambito del progetto Per EduCare ci vuole un network: il Care Leaver Network – Progetto finanziato da Presidenza Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche della Famiglia, ha prodotto il podcast “FUORI FAMIGLIA – percorsi straordinari di persone ordinarie.”
Questo Podcast è un viaggio corale di un gruppo di care leavers della Lombardia. I care leavers sono giovani che dopo un periodo di tempo trascorso “fuori famiglia” (in casa-famiglia, comunità o affido), a 18 anni e un giorno devono lasciare il sistema di accoglienza.
Nelle 5 puntate di questo podcast vengono raccontate in prima persona le loro esperienze, i vissuti, le difficoltà e le sfide quotidiane, in un’avventura attraverso la quale si diventa forti insieme grazie all’incontro, allo scontro e alla contaminazione delle reciproche storie.
È stato scelto il podcast come prodotto mediale per cercare di fare una corretta informazione sui temi dell’accoglienza e del leaving care in Italia. Il desiderio è di intercettare il maggior numero di persone, tra comuni cittadini e coloro che sono coinvolti professionalmente nel sistema di tutela, come gli operatori del lavoro sociale e i decisori politici. Il podcast vuole anche parlare ai ragazzi ancora all’interno dei percorsi “fuori famiglia” i quali, ascoltandolo, potrebbero forse sentirsi meno soli e scoprire che, là fuori, c’è qualcuno che li capisce e che sta lottando anche per loro.
Le cinque puntate di questo podcast sono il risultato di un laboratorio di storytelling nato all'interno del Care Leaver Network, un progetto di Associazione Agevolando che riunisce sul territorio nazionale una rete di ragazzi tra i 16 e i 26 anni che vivono o hanno vissuto un periodo della vita “fuori famiglia”, coinvolgendoli in un percorso di partecipazione e cittadinanza attiva.
Elenco puntate:
- Puntata 1: Aspettative vs. Realtà
- Puntata 2: La valigia, prima e dopo
- Puntata 3: Relazioni
- Puntata 4: Strategie di sopravvivenza
- Puntata 5: Vita da adulti
Link al video di presentazione del podcast (video realizzato da Francesco Facchinetti)
Sinossi puntate:
- Puntata 1: Aspettative vs. Realtà
Come ognuno dei care leavers è arrivato a fare esperienza del sistema di accoglienza? Quali erano le aspettative che ciascuno nutriva prima di essere inserito in comunità? Quelle aspettative sono state confermate oppure disattese?
- Puntata 2: La valigia, prima e dopo
Che cosa contenevano le loro valigie, materiali e metaforiche, sia al momento dell’entrata che dell’uscita dalla comunità o dalla casa della propria famiglia affidataria? Quale valore ha avuto per loro il percorso all’interno del sistema di accoglienza?
- Puntata 3: Relazioni
Qual è per i care leavers il valore delle relazioni, cosa hanno lasciato quelle con i genitori e parenti e cosa hanno imparato attraverso i rapporti instaurati con gli educatori, gli assistenti sociali, i volontari (ecc.) che hanno incontrato durante il cammino “fuori famiglia”? Come vivono oggi questo aspetto delle loro vite?
- Puntata 4: Strategie di sopravvivenza
Quali erano le “strategie di sopravvivenza”, ovvero le trovate, gli espedienti e i trucchetti, anche ironici e divertenti, che hanno escogitato durante la permanenza in accoglienza per raggirare certe regole e imposizioni, quando troppo rigide, poco sensate o fonte di disagio perché li facevano sentire “diversi” rispetto ai coetanei?
- Puntata 5: Vita da adulti
Come sono diventati adulti? Cosa ha significato per loro diventare autonomi a diciotto anni e un giorno? Come sono oggi e qual è il rapporto con la loro storia? Quali sono i loro pensieri, le idee e le preoccupazioni attuali? Come vivono il loro passato e quali sono le sfide che ancora devono affrontare?
AGEVOLANDO
Agevolando è un’organizzazione di volontariato che lavora con e per i ragazzi in uscita dai percorsi di accoglienza “fuori famiglia” per promuoverne l’autonomia, il benessere psicofisico e la partecipazione attiva. Quando, al compimento della maggiore età, si interrompono i percorsi di tutela si è chiamati troppo presto a diventare adulti: accade frequentemente, quando si ha una storia personale complessa, di perdere di vista le proprie risorse, così come può maturare forte il senso di non riuscire a farcela da soli. L’associazione affianca i care leavers nella costruzione del loro futuro. www.agevolando.org
CONTATTI: FRANCESCA CASADEI - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – tel. 347/5427449
- Scritto da Ubiminor
- Categoria: Comunicati
Venerdì 7 ottobre si è tenuta l’assemblea di modifica dello Statuto e di rinnovo cariche del CNCA Lombardia. Abbiamo attraversato tanti eventi dall’ultimo rinnovo, fuori e dentro il nostro mondo… non ultimi la riforma del Terzo Settore e la pandemia da Coronavirus….Così eccoci ad adeguare il nostro Statuto alla nuova riforma e a raccogliere i nostri vissuti sulla pandemia con il libro “Luce nelle ferite” da cui è stato tratto anche lo spettacolo teatrale che Giovanna Mori ha messo in scena proprio venerdì a Nembro.
Volevamo che fosse proprio qui dove le ferite sono ancora aperte e le assenze ancora vive che vedesse la luce il nuovo esecutivo che guiderà il CNCA Lombardia per i prossimi 4 anni.
La squadra vede la presenza di vecchie e nuovi membri capitanati ancora una volta dal Presidente Paolo Cattaneo (Diapason di Milano) :
Tiziana Bianchini (Cooperativa Lotta Contro L’Emarginazione di Sesto San Giovanni)
Andrea Colciago (Pavoniani Artigianelli di Monza)
Paola Merlini (Cosper di Cremona)
Paolo Tartaglione (Arimo di Milano)
Eleonora Del Fabbro (Padri Somaschi di Milano)
Nicola Danesi (Bessimo di Brescia)
Debora Zanchi (AEPER di Bergamo)
Paolo Dell’Oca (Archè di Milano)
Rita Ceraolo (La Grande Casa di Sesto San Giovanni)
Riccardo Farina (Comunità del Giambellino di Milano)
Elza Daga (Comin di Milano)
Durante l’assemblea è stato presentato il Dossier 2021, frutto del lavoro del gruppo comunicazione avviato durante l’ultimo mandato. Puoi scaricarlo nella versione interattiva dal nostro sito.
L’assemblea ha augurato a tutti un buon lavoro e dopo una breve pausa ristorativa ha atteso l’inizio della messa in scena dello spettacolo di Giovanna Mori.
La ringraziamo molto per come ha saputo rendere vivi i ricordi di quei giorni e rendere lo smarrimento e lo spaesamento che ancora oggi ci attraversa. E’ stata capace di dire con la sua vibrante presenza scenica che…. non abbiamo parole per descrivere cosa è accaduto! Grazie Giovanna