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E’ assai recente la notizia che nella legge di bilancio che deve essere a giorni discussa, il Governo abbia inserito l’anticipazione della entrata in vigore della riforma del processo civile.
A questo proposito AIMMF
SOTTOLINEA
come già in precedenza con numerose lettere al Ministero di Giustizia, appelli e comunicati, fossero state evidenziate serie perplessità circa la fattibilità di una riforma che sin dalla sua stesura non ha ritenuto di prendere in considerazione le effettive realtà degli uffici giudiziari e dei territori, prevedendo peraltro la sua complessa realizzazione ad invarianza finanziaria e senza aumento di organici.
EVIDENZIA
come la previsione approvata il 17 ottobre scorso con DL 149/22 dell’entrata in vigore al 30 giugno prossimo fosse già fonte di notevole preoccupazione dal momento che i tribunali per i minorenni
- continuano a non disporre del processo civile telematico e non sono in grado di dialogare con gli altri uffici giudiziari, con la necessità di costringere i difensori a muoversi dalle loro sedi a quella distrettuale per il rilascio di copie cartacee e la visione degli atti di controparte;
- dispongono di un numero di addetti amministrativi assolutamente carente, di talché gli adempimenti rapidi richiesti dalla riforma per garantire il rispetto del contraddittorio sconteranno certamente tempi non in linea con quelli previsti dalle norme approvate;
- hanno piante organiche di giudici togati del tutto inadeguate a fronteggiare una mole di lavoro sempre più esplosiva dopo la pandemia, specie nella impossibilità prevista dalla riforma di utilizzare appieno per le istruttorie la componente dei giudici onorari, senza la cui ampia collaborazione i tribunali per i minorenni non potranno più garantire tempi di trattazione delle procedure in linea con le stringenti esigenze di protezione dei minori, con conseguente importante aumento dei tempi di definizione dei processi, ottenendo quindi un risultato contrario alla finalità della riforma;
- sono stati esclusi dall’Ufficio del Processo (art.16 octies D.L. 179/2021) e non potranno quindi avvalersi del personale reclutato per la composizione dell’UPP.
RENDE NOTO
che per tali ragioni i ventinove presidenti di tutti i tribunali per i minorenni italiani hanno recentemente inviato una preoccupata missiva al signor Ministro della Giustizia, il cui contenuto si condivide integralmente
ESPRIME
intenso rammarico per la volontà espressa dal Governo di anticipare di quattro mesi l’entrata in vigore della riforma al prossimo 28 febbraio 2023, in assenza di qualsiasi riflessione sulla possibilità concreta di dare attuazione alle numerose modifiche legislative introdotte senza risorse adeguate.
SEGNALA
come ciò abbia provocato forte sconcerto, una sensazione di solitudine e seria preoccupazione per il caos in cui fra pochi giorni saremo catapultati, senza mezzi e strumenti necessari.
AGGIUNGE
peraltro il fatto che gli uffici minorili sono uffici promiscui che trattano sia la materia civile che quella penale e pertanto in questo tempo sono gravati dalla necessità di dare applicazione anche alla complessa riforma penale che non poche difficoltà attuative pure porta con sé.
ESPRIME
il convincimento che, oltre alla irrinunciabilità delle risorse, un adeguato tempo di studio dedicato a reperire soluzioni più confacenti per poter applicare la volontà del legislatore e dare agli uffici giudiziari, ma anche agli avvocati, la possibilità di organizzarsi al meglio, sarebbe stata una soluzione sensata e pertinente; mentre al contrario una accelerazione come quella proposta rischia di provocare malfunzionamenti, confusioni, prassi difformi e sostanzialmente denegata giustizia alla collettività che la attende e denegata tutela ai soggetti più fragili.
EVIDENZIA
come il settore minorile non abbia alcuna attinenza alla esecuzione del PNRR, né possa essere di interesse per l’Europa, che al contrario esige tempi maggiormente contenuti per i procedimenti civili più direttamente collegati al comparto economico.
AUSPICA
che, per evitare che la giurisdizione in questo settore importantissimo per la vita delle persone si trovi a compiere un vero e proprio “salto nel vuoto”, siano con urgenza rivalutati i tempi di entrata in vigore della riforma con un intervento immediato e una previsione trasparente circa tempi e misure che il Ministero dovrà necessariamente adottare per garantire la effettiva percorribilità delle normative approvate.
Roma, 22 dicembre 2022
Il Segretario Generale Il Presidente
Susanna Galli Cristina Maggia
Lo sconcerto di CNF e OCF
Con un comunicato stampa congiunto del 20 dicembre 2022, Consiglio nazionale Forense e Organismo Congressuale Forense hanno espresso sconcerto per l’emendamento del Governo sulla legge di bilancio in tema di anticipazione della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023, rispetto alla data prevista del 30 giugno 2023.
"Suscita sconcerto la decisione del Governo di anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni più rilevanti della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023. L’emendamento governativo alla legge di Bilancio, con l’anticipazione delle principali novità del rito civile, stride peraltro con la decisione di posticipare, invece, la riforma del processo penale e soprattutto appare del tutto irragionevole e disfunzionale visto il caos in cui getterà cancellerie, magistrati e avvocati”.
In questi termini esordisce la nota stampa, che riporta le dichiarazioni della presidente del Consiglio nazionale forense (Cnf), Maria Masi, nonché del coordinatore dell’Organismo congressuale forense (Ocf), Mario Scialla.
La necessità di entrare a regime
“Innovazioni di forte impatto – proseguono Masi e Scialla - come la nuova fase introduttiva del giudizio di cognizione, infatti, richiedono negli operatori il giusto livello di approfondimento e consolidamento che non sarà possibile con un’anticipazione di quattro mesi rispetto alla data originaria di entrata in vigore. Questo tipo di considerazioni, d’altronde, hanno indotto opportunamente il Governo ad operare la scelta opposta in riferimento al processo penale. Non si comprende in nessun modo, dunque, la scelta vista la consapevolezza mostrata circa il già grave affanno della giustizia civile, definita prima causa di sofferenza dello Stato, con i ritardi dei processi che costano il 2% di Pil”.
Le criticità a carico del diritto di difesa
La presidente Cnf Masi e il coordinatore di Ocf Scialla hanno infine concluso: “E neppure ignora il Governo le criticità della riforma, di cui si appresta ad accelerare l’entrata in vigore, sotto il profilo del diritto di difesa. Criticità che aveva annunciato di voler risolvere, rispondendo all’auspicio dell’avvocatura di un intervento normativo sugli aspetti più spinosi della riforma della giustizia civile che, così come è, non è in grado di contrarre i tempi medi dei processi, con un inutile sacrificio delle garanzie di difesa e del contraddittorio, e senza una vera incidenza sugli obiettivi individuati dal Pnrr”.
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Al termine dell’assemblea nazionale i rappresentanti delle organizzazioni di tutta Italia hanno scelto la vicepresidente della cooperativa sociale Open Group: “Oggi più che mai credo nell’importanza di questa realtà che riesce a coniugare, in direzione ostinata e contraria, pratica, cultura e politica partendo dai territori e dalle persone che li abitano, soprattutto da chi fa più fatica”.
Milano – Per la prima volta ci sarà una donna alla guida del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). Caterina Pozzi è stata eletta all’unanimità dai delegati e dalle delegate che il 15 e il 16 dicembre si sono dati appuntamento a Milano, presso la struttura del TeatroLaCucina all’interno dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, per l’assemblea nazionale “Comunità Accoglienti”.
Il CNCA è un’organizzazione presente in 19 regioni con oltre 240 enti del terzo settore associati: una rete che conta oltre 29mila soci, 14mila addetti e 5mila volontari che ogni anno si fa carico attraverso i servizi territoriali dei suoi associati di 4mila nuclei familiari e 45mila persone.
Caterina Pozzi, già amministratrice delegata e poi vicepresidente della Cooperativa sociale Open Group di Bologna, guiderà un Consiglio Nazionale del CNCA di cui fan parte 33 persone tra cui i 14 presidenti dei livelli regionali di coordinamento: Barbara Balbi (Veneto), Claudio Bassetti (Trentino Alto Adige), Lorenzo Camoletto (Piemonte e Liguria), Paolo Cattaneo (Lombardia), Domenico Di Palma (Puglia), Anna Paola Fabbri (Marche), Francesca Fiorentino (Calabria), Massimo Ippoliti (Abruzzo e Molise), Matteo Lami (Toscana), Piero Mangano (Sicilia), Stefano Nonino (Friuli Venezia Giulia), Stefano Regio (Lazio), Silvia Salucci (Emilia Romagna), Fedele Salvatore (Campania). Marina Galati rappresenta la rete di associazioni di volontariato del CNCA e sono 18 gli eletti in rappresentanza degli associati: Andrea Albino, Emiliano Bertoldi, Barbara Bussotti, Domenico Chionetti, Salvatore Costantino, Silvia Dalla Rosa, Mattia De Bei, Riccardo De Facci, Alessandra De Filippis, Jenny De Salvo, Michelangelo Marchesi, Liviana Marelli, Luigi Nardetto, Alessia Pesci, Massimo Ruggeri, Stefano Trovato (tesoriere) e Angelica Viola.
Il nuovo Consiglio segna una crescita della rappresentanza femminile e l’apertura alla partecipazione di 15 consiglieri al primo mandato. “Il mio essere donna e presidente”, spiega Caterina Pozzi, “vuole affermare un’idea di leadership diffusa e democratica, in cui le tante sensibilità, differenze e intelligenze delle persone del CNCA possano essere valorizzate e avere modo di esprimersi, all’interno di un’organizzazione che ha davanti sfide sempre più complesse”.
In un passaggio storico in cui il welfare può fare la differenza per migliaia di famiglie in scivolamento verso la povertà, il lavoro sociale attraversa una crisi causata da una delegittimazione che è urgente portare al centro dell’agenda politica, e il fare rete consente un confronto virtuoso e un rafforzamento della voce.
“Oggi più che mai credo nell’importanza di questa realtà che riesce a coniugare, in direzione ostinata e contraria, pratica, cultura e politica partendo dai territori e dalle persone che li abitano, soprattutto da chi fa più fatica”, ha dichiarato la neopresidente, che ha voluto ringraziare il suo predecessore Riccardo De Facci e la vicepresidente Marina Galati per l’impegno profuso e il sostegno ricevuto in questi anni.
Il 2022 è un anno particolare per il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza: “Son quarant’anni di CNCA”, prosegue Caterina Pozzi, “e il mondo va sempre peggio, verrebbe da dire parafrasando James Hillman; ma non ci perdiamo d’animo perché in questa mancanza e inadeguatezza ci abbiamo fatto casa, sognatori con i piedi nel fango assieme a tutte le persone che per amore o necessità abbiamo scelto di accogliere con le loro – e le nostre – vite complicate, fragili e vulnerabili”.
“In questo anno abbiamo anche cambiato nome”, prosegue, “da Comunità di Accoglienza a Comunità Accoglienti, perché ci riconosciamo in un cammino di prossimità con le persone e le organizzazioni, dentro le relazioni e i legami con i territori”.
Nella due giorni il CNCA ha confermato l’intenzione di supportare proposte generative e concrete di lavoro sociale e sociosanitario, come le cooperative di comunità, le comunità energetiche, il budget di salute, le case di comunità, l’educatore finanziario, le varie forme di housing sociale, la creazione di diversificati percorsi di inclusione sociale e i progetti di giustizia riparativa. Proposte che sono descritte nel volume Ostinatamente controcorrente, cercando giustizia sociale e ambientale.
Oltre a questo testo sono stati poi consegnati ai partecipanti il Taccuino sui grovigli e l’opuscolo Il tempo della consegna.
Conclude Caterina Pozzi: “Come CNCA assumiamo l’impegno affinché si eviti il rischio di una rigida contrapposizione tra pubblico e Terzo settore, superando la logica attuale che vede il Terzo settore mero esecutore di prestazioni. Il lavoro di cura, il lavoro sociale ed educativo richiedono pluralità di sguardi, competenza e un’esperienza diffusa e articolata: è un orientamento alla buona vita, alla gestione del bene comune e svolge una fondamentale “funzione pubblica” di responsabilità verso tutte le cittadine e tutti i cittadini”.
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E’ scomparso don Renato Rebuzzini
Tra i fondatori del CNCA, è stato uno dei primi a impegnarsi, a Milano,
in favore dei giovani che avevano problemi di dipendenza da sostanze
Roma, 23 novembre 2022
Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) esprime il proprio cordoglio per la scomparsa di don Renato Rebuzzini.
Don Renato è stato uno dei fondatori della nostra federazione. Ci mancherà la sua capacità di stimolo, a volte molto diretta, sempre aperta al confronto e alla proposta. È stato uno dei parroci che più si è impegnato nelle periferie milanesi per aiutare le persone più deboli. L’esperienza nelle zone marginali della città è stata per lui l’occasione per ripensare, anche all’interno del CNCA, una proposta politica complessiva di miglioramento della società.
Don Renato è stato tra i primi a impegnarsi, negli anni Settanta, in favore dei giovani e delle persone che assumevano sostanze psicoattive, in un periodo in cui non esistevano servizi dedicati. Con un gruppo di giovani - volontari o obiettori di coscienza - ha creato le prime strutture rivolte alle persone che avevano problemi di dipendenza. Al Giambellino, mentre era parroco a San Vito, ha dato vita all’associazione Comunità del Giambellino. L’attenzione alle persone è sempre stata accompagnata da quella per il territorio, in particolare per questo quartiere milanese di periferia. Ma anche nelle altre zone della città in cui è stato parroco, ha continuato a creare strutture di aiuto per i più fragili.
Un saluto fraterno e un abbraccio a tutta la Comunità del Giambellino.
Caro Renato, la presidenza e tutto il CNCA ti è grato.
Info
Mariano Bottaccio – Responsabile Ufficio stampa e Comunicazione
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
tel. 06 44230395/44230403 – cell. 329 2928070 - email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
www.cnca.it
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In uscita il
PODCAST
FUORI FAMIGLIA
percorsi straordinari di persone ordinarie
a cura di Associazione Agevolando - Care Leaver Network Lombardia
in collaborazione con CNCA e con Melting Pod
Su tutte le altre principali piattaforme: Spotify, Amazon Music /Audible, Apple Podcast, Google Podcast,Castbox, Deezer, Podcast Addict, Podchaser, JioSaavn
Il Care Leaver Network Lombardia di Associazione Agevolando, nell'ambito del progetto Per EduCare ci vuole un network: il Care Leaver Network – Progetto finanziato da Presidenza Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche della Famiglia, ha prodotto il podcast “FUORI FAMIGLIA – percorsi straordinari di persone ordinarie.”
Questo Podcast è un viaggio corale di un gruppo di care leavers della Lombardia. I care leavers sono giovani che dopo un periodo di tempo trascorso “fuori famiglia” (in casa-famiglia, comunità o affido), a 18 anni e un giorno devono lasciare il sistema di accoglienza.
Nelle 5 puntate di questo podcast vengono raccontate in prima persona le loro esperienze, i vissuti, le difficoltà e le sfide quotidiane, in un’avventura attraverso la quale si diventa forti insieme grazie all’incontro, allo scontro e alla contaminazione delle reciproche storie.
È stato scelto il podcast come prodotto mediale per cercare di fare una corretta informazione sui temi dell’accoglienza e del leaving care in Italia. Il desiderio è di intercettare il maggior numero di persone, tra comuni cittadini e coloro che sono coinvolti professionalmente nel sistema di tutela, come gli operatori del lavoro sociale e i decisori politici. Il podcast vuole anche parlare ai ragazzi ancora all’interno dei percorsi “fuori famiglia” i quali, ascoltandolo, potrebbero forse sentirsi meno soli e scoprire che, là fuori, c’è qualcuno che li capisce e che sta lottando anche per loro.
Le cinque puntate di questo podcast sono il risultato di un laboratorio di storytelling nato all'interno del Care Leaver Network, un progetto di Associazione Agevolando che riunisce sul territorio nazionale una rete di ragazzi tra i 16 e i 26 anni che vivono o hanno vissuto un periodo della vita “fuori famiglia”, coinvolgendoli in un percorso di partecipazione e cittadinanza attiva.
Elenco puntate:
- Puntata 1: Aspettative vs. Realtà
- Puntata 2: La valigia, prima e dopo
- Puntata 3: Relazioni
- Puntata 4: Strategie di sopravvivenza
- Puntata 5: Vita da adulti
Link al video di presentazione del podcast (video realizzato da Francesco Facchinetti)
Sinossi puntate:
- Puntata 1: Aspettative vs. Realtà
Come ognuno dei care leavers è arrivato a fare esperienza del sistema di accoglienza? Quali erano le aspettative che ciascuno nutriva prima di essere inserito in comunità? Quelle aspettative sono state confermate oppure disattese?
- Puntata 2: La valigia, prima e dopo
Che cosa contenevano le loro valigie, materiali e metaforiche, sia al momento dell’entrata che dell’uscita dalla comunità o dalla casa della propria famiglia affidataria? Quale valore ha avuto per loro il percorso all’interno del sistema di accoglienza?
- Puntata 3: Relazioni
Qual è per i care leavers il valore delle relazioni, cosa hanno lasciato quelle con i genitori e parenti e cosa hanno imparato attraverso i rapporti instaurati con gli educatori, gli assistenti sociali, i volontari (ecc.) che hanno incontrato durante il cammino “fuori famiglia”? Come vivono oggi questo aspetto delle loro vite?
- Puntata 4: Strategie di sopravvivenza
Quali erano le “strategie di sopravvivenza”, ovvero le trovate, gli espedienti e i trucchetti, anche ironici e divertenti, che hanno escogitato durante la permanenza in accoglienza per raggirare certe regole e imposizioni, quando troppo rigide, poco sensate o fonte di disagio perché li facevano sentire “diversi” rispetto ai coetanei?
- Puntata 5: Vita da adulti
Come sono diventati adulti? Cosa ha significato per loro diventare autonomi a diciotto anni e un giorno? Come sono oggi e qual è il rapporto con la loro storia? Quali sono i loro pensieri, le idee e le preoccupazioni attuali? Come vivono il loro passato e quali sono le sfide che ancora devono affrontare?
AGEVOLANDO
Agevolando è un’organizzazione di volontariato che lavora con e per i ragazzi in uscita dai percorsi di accoglienza “fuori famiglia” per promuoverne l’autonomia, il benessere psicofisico e la partecipazione attiva. Quando, al compimento della maggiore età, si interrompono i percorsi di tutela si è chiamati troppo presto a diventare adulti: accade frequentemente, quando si ha una storia personale complessa, di perdere di vista le proprie risorse, così come può maturare forte il senso di non riuscire a farcela da soli. L’associazione affianca i care leavers nella costruzione del loro futuro. www.agevolando.org
CONTATTI: FRANCESCA CASADEI - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – tel. 347/5427449
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Venerdì 7 ottobre si è tenuta l’assemblea di modifica dello Statuto e di rinnovo cariche del CNCA Lombardia. Abbiamo attraversato tanti eventi dall’ultimo rinnovo, fuori e dentro il nostro mondo… non ultimi la riforma del Terzo Settore e la pandemia da Coronavirus….Così eccoci ad adeguare il nostro Statuto alla nuova riforma e a raccogliere i nostri vissuti sulla pandemia con il libro “Luce nelle ferite” da cui è stato tratto anche lo spettacolo teatrale che Giovanna Mori ha messo in scena proprio venerdì a Nembro.
Volevamo che fosse proprio qui dove le ferite sono ancora aperte e le assenze ancora vive che vedesse la luce il nuovo esecutivo che guiderà il CNCA Lombardia per i prossimi 4 anni.
La squadra vede la presenza di vecchie e nuovi membri capitanati ancora una volta dal Presidente Paolo Cattaneo (Diapason di Milano) :
Tiziana Bianchini (Cooperativa Lotta Contro L’Emarginazione di Sesto San Giovanni)
Andrea Colciago (Pavoniani Artigianelli di Monza)
Paola Merlini (Cosper di Cremona)
Paolo Tartaglione (Arimo di Milano)
Eleonora Del Fabbro (Padri Somaschi di Milano)
Nicola Danesi (Bessimo di Brescia)
Debora Zanchi (AEPER di Bergamo)
Paolo Dell’Oca (Archè di Milano)
Rita Ceraolo (La Grande Casa di Sesto San Giovanni)
Riccardo Farina (Comunità del Giambellino di Milano)
Elza Daga (Comin di Milano)
Durante l’assemblea è stato presentato il Dossier 2021, frutto del lavoro del gruppo comunicazione avviato durante l’ultimo mandato. Puoi scaricarlo nella versione interattiva dal nostro sito.
L’assemblea ha augurato a tutti un buon lavoro e dopo una breve pausa ristorativa ha atteso l’inizio della messa in scena dello spettacolo di Giovanna Mori.
La ringraziamo molto per come ha saputo rendere vivi i ricordi di quei giorni e rendere lo smarrimento e lo spaesamento che ancora oggi ci attraversa. E’ stata capace di dire con la sua vibrante presenza scenica che…. non abbiamo parole per descrivere cosa è accaduto! Grazie Giovanna
- Scritto da Ubiminor
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A.I.M.M.F.
Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia Aderente alla "Association Internationale des Magistrats de la Jeunesse et de la Famille" www.minoriefamiglia.org
Facendo seguito al proprio accorato APPELLO alla RESPONSABILITA’ diramato lo scorso 2 maggio, ai numerosissimi documenti e contributi licenziati sin dalla pubblicazione dei lavori della Commissione Luiso e fatti pervenire al Ministero di Giustizia e alle Camere , alla dichiarazione resa dalla Ministra il 20 ottobre 2021 di fronte a tutti i capi degli uffici minorili italiani circa le gravi criticità contenute nel testo della legge delega sulla riforma del processo civile, nonostante ciò approvata dal Parlamento il 26 novembre 2021, preso atto del contenuto dei decreti attuativi predisposti dalla Commissione Ministeriale all’uopo istituita e dei pareri favorevoli nei giorni scorsi espressi dalle Commissioni Giustizia di Senato e Camera, quanto alla istituzione del “Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie”,
RILEVA
come il deliberato snaturamento dell’attuale sistema della Giustizia Minorile, in nome di ragioni che nulla hanno a che vedere con la tutela effettiva dei soggetti più deboli, e l’istituzione di un organismo, dal nome evocativo, ma del tutto irrealizzabile nella sua concretezza senza un intervento imponente quanto alla destinazione di risorse umane e materiali, porterà a risultati radicalmente contrari a quanto auspicato, sin dalla imminente entrata in vigore delle norme sul rito prevista per il giugno 2023.
SOTTOLINEA
come la ricognizione dei carichi di lavoro dei principali uffici minorili italiani, compiuta da AIMMF anche grazie al prezioso contributo dei Capi degli uffici medesimi, e portata tempestivamente all’attenzione del legislatore, peraltro del tutto ignorata, abbia esplicitato la ingestibilità della applicazione delle nuove norme processuali. E’ di tutta evidenza infatti che la prevista radicale emarginazione dalle istruttorie dei giudici onorari, grazie ai quali la gran parte dei Tribunali per i Minorenni più oberati riesce a garantire un funzionamento qualitativamente e quantitativamente adeguato, porterà all’impossibilità di garantire solleciti interventi in situazioni prevalentemente emergenziali e a gravi ritardi nella trattazione delle procedure, alla luce delle attuali modestissime piante organiche degli uffici giudiziari minorili che non verranno implementate.
DENUNZIA
che nell’imminenza della entrata in vigore delle norme processuali, e in ogni caso della riforma ordinamentale, la perdurante assenza del processo telematico e l’assenza di un sistema informatico adeguato e dialogante con gli altri sistemi del mondo giustizia, nel silenzio sul punto degli organismi preposti alla digitalizzazione nonostante gli impegni assunti con l’Europa e le costanti e preoccupate sollecitazioni di AIMMF e di tutti gli uffici, renderanno la riforma del tutto inattuabile e ingestibile, anche alla luce delle notevoli e mai risolte carenze del personale amministrativo che continuano a caratterizzare il comparto minorile.
RILEVA
come nella fase antecedente siamo stati da più parti rassicurati sulla possibile introduzione di correttivi in sede di predisposizione dei decreti attuativi, ma risulti ora evidente che il testo dei suddetti decreti non si sia discostato affatto dall’ impianto originario, come la propaganda mediatica circa la bontà della riforma non si sia basata su una seria riflessione, né risulti alcuno studio di fattibilità sulla concreta possibile realizzazione di quanto approvato, specie in assenza di imponenti risorse in termini di mezzi e di persone necessarie al funzionamento minimo di una costruzione che appare non tenere conto della realtà degli uffici giudiziari e ,come già più volte rappresentato, in netta controtendenza rispetto alle più recenti direttive europee, risalenti al 5 aprile 2022.
RAPPRESENTA
ancora una volta la natura reazionaria di una riforma che, concentrando la propria attenzione solo sulle situazioni di violenza di genere, ha trascurato la centralità della tutela del minore inserito in famiglie fortemente disfunzionali e in ragione di ciò gravemente traumatizzato , eliminando i presidi esistenti in luogo di provvedere alla correzione delle possibili imperfezioni, a favore di una struttura ordinamentale e processuale che privilegia coloro che potranno sostenerne le spese.
In ragione di tutto ciò AIMMF, pur consapevole che le proprie argomentazioni resteranno come accaduto finora probabilmente inascoltate,
RIBADISCE
a futura memoria la gravità delle scelte effettuate e la loro sostanziale violazione dei principi costituzionali e di ragionevolezza più volte in varie sedi ricordati
Roma, 16 settembre 2022
Il Presidente
Cristina Maggia
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Le comunità educative per minori stanno vivendo un periodo di grande difficoltà: la carenza di personale educativo; la difficoltà di garantire servizi di qualità capaci di rispondere ai bisogni dei ragazzi e delle ragazze accolti, entro le tariffe di convenzionamento definite dagli Enti Locali; la campagna di screditamento complessivo portata avanti dai media nei confronti delle strutture di accoglienza; il senso di solitudine con cui le comunità si trovano spesso ad operare rispetto alla rete dei servizi, sono tutti fattori che stanno mettendo in crisi un modello di servizio e di intervento che tuttavia risulta essenziale per il sistema della tutela. Quali strade si possono percorrere per ripensarlo? Come garantire allo stesso tempo sostenibilità e qualità dell’accoglienza? Ne abbiamo parlato con tre esponenti del CNCA Lombardia, per avviare così un dibattito sul futuro di questi servizi.
Cosa succede alle comunità residenziali per minori, a livello nazionale e in Lombardia? Quante sono le strutture e quanti ragazzi e ragazze vi sono ospitati e di quali bisogni sono portatori?
Marelli – i dati che abbiamo a disposizione sono ricavati dal Quaderno di ricerca sociale 49 [1] e sono purtroppo poco aggiornati: a livello nazionale sono aggiornati al 31.12.2019 e per la Lombardia al 31.12.2020, e questo è un primo aspetto particolarmente critico in questo periodo perché non abbiamo a disposizione nessun dato rispetto a quanto accaduto durante la pandemia. Guardando ai dati disponibili, ci collochiamo sempre in un quadro che vede l’Italia avere un tasso di allontanamento pari al 2,9 per mille, inferiore agli stati comparabili dell’Europa occidentale che hanno percentuali molto maggiori (10,4 per mille la Francia; 10,5 per mille la Germania; 6,1 per mille l’Inghilterra, il 4,4 per mille la Spagna). Quindi l’Italia resta la nazione che presenta la percentuale più bassa di allontanamenti, che corrisponde a 27.608 minorenni fuori famiglia, al 31.1.2.2019. Rispetto a questi dati si evidenzia un’inversione di trend nella distribuzione dei minori fuori famiglia tra affido e comunità: 14.053 minori si trovano in comunità, e superano così, seppure ancora di poco, quelli in affido. Quindi il dato registra un aumento di presenza nelle comunità. Si tratta di una prevalenza ancora minima, ma è importante tenere sotto osservazione questo indicatore, per vedere se il trend si confermerà o meno nei prossimi anni.
Guardando alle caratteristiche dei ragazzi e delle ragazze che sono inseriti in comunità educative, si tratta prevalentemente di adolescenti e preadolescenti: il 47,8% sono in una fascia maggiore di 15 anni, e il 18,8% tra gli 11 e i 14 anni, quindi questo significa che le comunità accolgono per il 66,6% preadolescenti e adolescenti. Un altro dato importante è che il 34,8% è di cittadinanza straniera, e si tratta non soltanto di minori non accompagnati, che pure spesso trovano posto nelle comunità educative, oltre che nei circuiti di accoglienza dedicati. Un altro dato importante che sfata la narrazione pessima che è stata fatta delle comunità da parte dei media, riguarda il tempo di permanenza dei bambini e dei ragazzi in comunità: il 43% dei ragazzi ha una permanenza inferiore all’anno, il 29,7% da uno a due anni, il 14,2% da due a quattro anni, e solo il 7% oltre i 4 anni. Questo significa che nel quadro che viene narrato dai media c’è un grande errore: non è vero che i minori, una volta inseriti in comunità, ci restano per sempre, perché in realtà le comunità lavorano per riconsegnare ai ragazzi accolti una possibile relazione di familiarità, ed è anche grazie a questo lavoro se circa un quarto di loro (24,3%) rientra nella famiglia di origine, l’8,5% va in affido famigliare e quasi il 4% va verso l’affido preadottivo. Oltre a quelli appena richiamati, altri approfondimenti rispetto ai dati nazionali saranno a breve disponibili nel 12esimo rapporto del Gruppo CRC.
Per quanto riguarda la Lombardia, nel 2020 erano presenti 70 comunità famigliari, 366 comunità educative e 353 alloggi ad alta autonomia, per un totale di 789 servizi residenziali. I minori inseriti sono 2.493, di cui il 53% sono maschi e il 47% femmine, la metà sono di origine straniera (1.368) e di questi 117 sono minori non accompagnati. Rispetto alla distribuzione tra le diverse strutture, 1.913 (quindi pari al 76,7% del totale) sono collocati nelle comunità educative, 228 nelle comunità famigliari e 352 negli alloggi ad alta autonomia. Dunque in Lombardia la quota dei minori inseriti nelle comunità educative è fortemente maggioritaria e si confermano i trend nazionali rispetto alla prevalenza della comunità sull’affido e alla prevalenza della fascia adolescenziale. In questo quadro, dunque, il venir meno delle comunità educative risulta molto problematico perché costituisce la tipologia di servizio che accoglie la quota maggioritaria di minori allontanati dalla famiglia di origine.
Tartaglione – Per quel che riguarda il numero delle comunità educative presenti in Lombardia e quanto si stia riducendo a causa della chiusura di alcune strutture, non abbiamo a disposizione dati sufficientemente aggiornati, per quanto invece la regione dovrebbe essere in grado di fornirli. Sicuramente sappiamo di varie comunità che hanno chiuso i battenti. Per provare a ricostruire le dinamiche in corso, può essere utile guardare a quanto accade nell’area del penale minorile, che è spesso una lente di ingrandimento che anticipa quello che accade negli altri settori. Alcune strutture hanno chiuso (dai dati forniti dal Centro di Giustizia Minorile competente per la Lombardia hanno chiuso 3 strutture lo scorso anno e 4 quest’anno) e diverse strutture, pur non avendo sospeso le attività, hanno deciso di non accogliere più minori autori di reato, e si stanno convertendo in strutture di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Questo è un fenomeno che si rileva anche in altre regioni, quindi non è specifico lombardo. L’area della giustizia minorile rappresenta la punta di un iceberg che coinvolge anche altre tipologie di strutture, e in questo momento il CGM si trova non poter dare seguito alle misure cautelari per diversi ragazzi per i quali dovrebbero essere attivate, a causa della mancanza di posti. E questa mancanza di posti deriva in parte da altri fattori, ma in parte anche dal fatto che le comunità non vogliono e non possono accogliere minori autori di reato perché lo ritengono rischioso in relazione alla difficoltà di avere a disposizione uno staff o un’équipe capace di lavorare con questi ragazzi, di cui tanti sono anche portatori di psicopatologie importanti.
Oggi ci troviamo proprio in queste condizioni: è talmente improbabile riuscire a trovare personale educativo motivato per il lavoro nelle comunità residenziali, da portare molte strutture alla chiusura.
Marelli – Il dato riportato riguardo al penale, è trasferibile anche al resto delle comunità: i ragazzi che arrivano nelle comunità sono spesso segnati non solo da devianza ma anche da forti condizioni di patologia, rispetto a cui però non si trova supporto nei servizi, per una totale assenza di integrazione socio-sanitaria. Diventa difficile riuscire a ottenere una psicodiagnosi o ad avere accesso ai trattamenti necessari. Le comunità si trovano spesso sole nel cercare risposte ai bisogni dei ragazzi, mentre dovrebbero costituire lo snodo di una rete, che invece non funziona.
Pensiamo che il fatto che sia venuta meno la gestione pubblica delle comunità non possa corrispondere a una delega del 100% al privato sociale. È necessario ricomporre sistemi di corresponsabilità, che non può essere trasferita sulle comunità. Oggi le comunità chiudono perché non riescono a sostenere un’accoglienza di qualità per diverse ragioni, stante le condizioni e i bisogni delle persone accolte: carenza di operatori, che non vengono a lavorare in comunità, turnover costante, demotivazione, incapacità di stare in quei contesti.
Proprio pochi giorni fa Regione Lombardia ha emesso la DGR 6443 con la quale rivede i requisiti necessari per il personale socio educativo in relazione ad alcune unità di offerta, tra cui le comunità educative, aprendo alla possibilità di assumere anche personale con altri titoli. Dal vostro punto di vista questa è una risposta utile ai problemi di mancanza di personale che state rilevando?
Marelli – Abbiamo lavorato molto con la regione per arrivare a questo risultato. Se l’obiettivo è tenere aperte le comunità, bisogna trovare delle strategie per riuscirci, e questo è uno strumento transitorio per provare a uscire da questa situazione, sia rispetto al tema delle responsabilità di sistema e di governo, sia rispetto alla formazione professionale. Rispetto a questa delibera molti si dicono preoccupati per la perdita di competenze o di specializzazione del personale, e anche alcune associazioni di educatori si sono dette contrarie, evidenziando un rischio di squalifica del ruolo data dall’apertura a personale con titoli di studio diversi. Ma per noi è importante sottolineare che senza questo passaggio della regione oggi molte comunità andrebbero incontro alla chiusura. Poi questo non significa che gli educatori non debbano più lavorare nei servizi, né si tratta di un abuso di titolo, ma la Delibera dice che l’équipe può essere composta da diverse figure professionali, che devono essere formate. Dunque a nostro parere non si tratta di una dequalificazione, ma di ampliare le opportunità di lavorare in comunità ad altre figure professionali.
Tartaglione – Nel sistema della tutela minori le comunità costituiscono un tassello indispensabile per la protezione dei minorenni: cosa succede se chiudono? Noi ci stiamo muovendo per garantire la loro sopravvivenza. L’accellerazione della crisi, dal punto di vista del reperimento del personale, è stata sicuramente dettata dallo spostamento di moltissimi educatori al sistema scolastico, nel momento in cui la scuola, non avendo più personale da assumere, ha aperto all’insegnamento attraverso la “messa a disposizione” a cui moltissimi educatori hanno aderito. Quindi la possibilità di poter acquisire anche altre figure professionali costituisce un’opportunità importante. Rispetto alle critiche alla DGR, bisogna dire che rispetto al personale, anche noi saremmo probabilmente più contenti di incaricare solo educatori, e se le associazioni di educatori hanno a disposizione personale per le comunità noi non vediamo l’ora di assumerlo, ma al momento la situazione è un’altra. Però è importante che si discuta anche del perché gli educatori non vogliono lavorare in questi servizi.
Ci sono però anche altri fattori che contano e che è importante richiamare:
- Il deperimento della reputazione delle comunità: se una volta essere educatore in comunità significava lavorare in un servizio complesso e difficile ma formativo e pieno di senso, oggi gli educatori crescono avendo una visione delle comunità che è quella dettata dalle rappresentazioni dei media, in cui sono diventate se va bene un luogo come un altro e se va male un luogo che è in combutta con i Tribunali per far arricchire le cooperative. Questo porta a un’enorme difficoltà a trovare personale educativo disponibile e motivato al lavoro nelle comunità. Le comunità stesse devono trovare un modo di comunicarsi, e allo stesso tempo creare delle occasioni di conoscenza diretta.
- Il paradigma che c’è alla base dell’accordo tra lo Stato e le comunità risale agli anni ’80 -90’, in un momento del tutto diverso da tanti punti di vista. Le comunità sono nate in modo del tutto spontaneo, dunque senza che si ponesse il tema della retribuzione, e in seguito si è fondato un accordo di funzionamento delle strutture, in un periodo in cui per gli operatori era plausibile sacrificare una parte della propria vita privata al proprio lavoro educativo. Oggi non è più così, ma noi chiediamo ancora ai nostri operatori di sacrificare parte della loro vita privata lavorando la notte e nei weekend. Quindi la brutta notizia per lo Stato è che il tema non è battagliare su uno o due euro ma che se si vuole mantenere e sviluppare un servizio di qualità, le comunità vanno pagate infinitamente più di ora, oppure la chiusura delle strutture è un processo che difficilmente si potrà arrestare.
Marelli – È necessario invertire il circolo del gioco al ribasso sul numero di ore, sui costi orari, sul numero di operatori necessari, che rimanda anche sulle cooperative una responsabilità sui contratti e sulle tariffe, che di fatto non dipende da loro. O si capisce che il lavoro sociale, che è un lavoro di cura, comporta una ridefinizione del costi e un investimento, oppure il destino è quello di un lavoro dequalificato e deprezzato che porta a un sistema di welfare sempre più impoverito. È necessario il riconoscimento della funzione pubblica che le cooperative ricoprono assumendosi l’impegno di tenere aperte le comunità, e dei costi che per questa funzione sono necessari. Lo Stato non li assume direttamente su di sé, delegando tutto all’esterno, ma questo non significa che i costi siano continuamente negoziabili.
Rispetto a tutte queste questioni riteniamo importante riaprire un dibattito pubblico, per richiamare una responsabilità pubblica che definisca un investimento di risorse, e al contempo richiami le Università a riflettere su queste problematiche e a ripensare i percorsi formativi.
Il tema del riconoscimento dei costi è stato recentemente al centro del mancato convenzionamento di 20 cooperative con il Comune di Milano per la gestione di comunità per minori e comunità mamma-bambino, dettato proprio dal rifiuto delle tariffe previste e ritenute inadeguate per sostenere gli standard e la qualità dei servizi. Questo significa per l’Amministrazione perdere la disponibilità di oltre 500 posti di accoglienza, e per le cooperative rinunciare a una parte dei loro servizi.
Cattaneo – In questo caso si è trattato di un percorso di mancato riconoscimento della dignità del nostro lavoro da parte del Comune di Milano. Abbiamo realizzato un percorso insieme da luglio a novembre sul tema della residenzialità per provare a condividere i contenuti e il senso del nostro lavoro e per ridisegnare le comunità e porre il tema delle risorse economiche. Il percorso si è concluso a novembre quando il Comune ha dichiarato che per poter aumentare la retta a 93 euro (consideriamo che la media delle rette giornaliere per l’accoglienza di un minore è di 77 euro e ci sono comunità che fino al 30 giugno accolgono minori a 42 euro, mentre la retta massima attuale è di 83 euro) avrebbe dovuto ridurre la retta per gli alloggi per l’autonomia a 48 euro, riducendola quindi a 17 euro, tentando un bilanciamento tra strutture diverse. Le cooperative non hanno accettato questa proposta e hanno fornito tutta la documentazione e i dati necessari per dimostrare che queste tariffe sono inapplicabili. Consideriamo che già diverso tempo fa in un lavoro comune con l’Amministrazione, si era calcolato per una comunità che accoglie 10 minori un costo di 104 euro al giorno, mentre la cifra definita è di 93 euro a Milano e 87 fuori Milano, che seppure maggiore di prima, resta ancora del tutto inadeguata.
Anche questa presa di posizione, così come quella relativa alla DGR, è stato un impegno non da poco e non ha trovato consenso da parte di tutti i soggetti gestori che operano in convenzione con il Comune di Milano. Quello che dobbiamo riavviare con il Comune è un tavolo di confronto, che probabilmente non porterà modifiche a breve termine, ma che speriamo ci possa portare a una revisione entro il prossimo anno di tutte le tariffe del sistema residenziale.
Pensate ci sia da parte dei Comuni la disponibilità a sedersi intorno al tavolo non solo per rivedere le tariffe ma per ripensare un ruolo per questi servizi e per capire quali possono essere le strade che tengono insieme le diverse esigenze rispetto ai costi, alle tariffe ma anche alla qualità dei servizi?
Tartaglione – Una parte di questo ragionamento non si può giocare esclusivamente con l’assessorato, perché è irrealistico che possa spendere molto di più di quanto spende ora. Sarebbe importante invece fare una riflessione insieme alle istituzioni rispetto a come le risorse possano essere spese meglio, perché dispersioni di spesa ce ne sono molte, ma la strategia per contenere i costi non può essere quella di rimandare sulle comunità la ricerca di altre risorse tramite sponsor e benefattori. Più che ridurre le rette, sarebbe più ragionevole capire quali sono le strade per ridurre i tempi di permanenza dei ragazzi in comunità. Il vero punto però è che bisogna uscire dalla relazione solo tra enti e comuni, perché è una questione di investimento complessivo.
Marelli – Andrebbe rivisto il sistema, per esempio attraverso una rivalutazione delle risorse a livello di Ambito per i piccoli comuni, per ripensare le modalità di utilizzo delle risorse. Ma spesso provare a immaginare percorsi diversi che potrebbero alleggerire i costi incontra una grande fatica nelle dimissioni perché richiede la costruzione di accordi anche con i Tribunali per la definizione di percorsi diversi. C’è un tema di responsabilità collettiva, quindi ragionamenti che devono coinvolgere gli Ambiti in una ridistribuzione di risorse e di processi, una razionalizzazione nella destinazione dei fondi ma anche un governo politico di modifiche dei bilanci dei Comuni in senso lato, in un sistema di governo dell’Ente Locale che va oltre l’assessorato, perché la responsabilità del benessere dei cittadini è in capo al sindaco e non al singolo assessore.
Quali prospettive vedete per un ripensamento della strategia complessiva di funzionamento delle Comunità?
Cattaneo – Noi dovremmo fare un’alleanza con i Comuni e con ANCI stesso per farci portatori di un’istanza verso il Ministero, laddove viene definita la distribuzione delle risorse, perché anche questo settore del welfare sia destinatario dei fondi necessari per essere rivisto, rilanciato e sostenuto.
Tartaglione – Il tema non è solo rivendicare una retta più alta, ma riguarda la necessità di ripensare le comunità in una logica di appropriatezza e di costruzione di un sistema plurale e flessibile, in grado di:
- collocare le comunità educative in un percorso che prevede un “prima”, con interventi diurni e di sostegno alle famiglie, e un “dopo”, tramite percorsi di uscita e di sostegno all’autonomia;
- rafforzare il ruolo della rete dei servizi a sostegno dei percorsi dei bambini e ragazzi inseriti in comunità, in particolare in ambito socio-sanitario, mettendo a disposizione diagnosi e terapie in tempi utili e con attribuzione di priorità;
- spostare i ragazzi maggiorenni che si trovano in comunità per minori in altre forme di accoglienza, anche incentivando le cooperative ad aprire appartamenti per l’autonomia;
- sostenere e diffondere il lavoro con le famiglie, sia da parte dei Servizi Sociali, sia da parte delle comunità educative;
- rafforzare i centri e i servizi diurni così da ridurre la richiesta di interventi residenziali.
Marelli – Tutto questo deve certamente passare da un confronto attraverso tavoli di lavoro, per i quali siamo assolutamente disponibili, ma anche attraverso un cambio di mentalità e di paradigma, riconoscendo che così non può funzionare. Non è soltanto il rivendicare la retta, questo discorso è collocato dentro una pluralità di pensieri, che vanno dal tema della responsabilità e della funzione pubblica, alla qualità del lavoro sociale, alla sostenibilità economica e alla necessità di rivedere le modalità di allocazione delle risorse in base alla diversificazione delle risposte.
Oltre a questo, è necessario tematizzare e confrontarsi in merito a come tutelare e rilanciare le professioni di cura, che svolgono una fondamentale “funzione pubblica” di tutela dei diritti dei cittadini, in particolar modo delle fasce più fragili della popolazione. A questo proposito abbiamo organizzato per il 5 di luglio, un convegno proprio su questi temi, che speriamo sia solo l’inizio di un dibattito aperto.
[1]Quaderni di ricerca sociale 49 “Bambini e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni – Anno 2019” a cura del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e Istituto degli Innocenti
Fonte: Lombardia sociale
- Scritto da Ubiminor
- Categoria: Comunicati
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IL VALORE DELLA CURA
Carenza di educatori e di altre figure professionali:
proposte per affrontare un’emergenza nazionale
che incide su persone, famiglie, servizi e comunità locali
Convegno martedì 5 luglio 2022, ore 9.30-13
Salone “Bicchierai” di Caritas Ambrosiana – via San Bernardino 4, Milano
Diretta streaming su www.youtube.com/watch?v=3j54QqSgHlA
Sette comunità per minori chiuse in Lombardia negli ultimi mesi. Oltre 500 posti in casefamiglia per mamme e bambino, a Milano, che rischiano di rimanere senza gestore. Servizi delicati che faticano a essere assicurati, per esempio sul fronte del disagio psichico. “Buchi” ricorrenti nell’Aes, l’assistenza educativa scolastica che deve essere garantita dai Comuni ad alunni con disabilità, con sindrome autistica, con bisogni educativi speciali. Centri di accoglienza con pochi operatori professionali, nella primavera dell’ondata dei rifugiati dall’Ucraina. E una generalizzata difficoltà, per amministrazioni pubbliche e realtà del terzo settore, a individuare figure formate, motivate e stabili (inclusi gli assistenti sociali).
Nel nostro paese si registra, acuta ormai da mesi, nei casi citati e in molti altri analoghi, una preoccupante carenza di educatori e di altri “professionisti” della cura. La rete di agenzie per il lavoro Mestieri Lombardia negli ultimi sei mesi ha fatto almeno 30 ricerche per educatori professionali, ma nessuna è andata a buon fine. Carenza ormai strutturale, e generalmente sottovalutata: lo testimonia il fatto che non esistono quantificazioni o anche solo stime ufficiali del fenomeno, peraltro ormai largamente diffuso. E caratterizzato da molteplici motivazioni: contratti precari, stipendi inadeguati, percorsi formativi non sempre efficaci, maggior appetibilità di settori paralleli dell’impiego pubblico, scarsa legittimazione sociale del lavoro di cura.
A partire da questo scenario, che incide pesantemente sulla quotidianità di persone, famiglie, servizi e comunità locali, ma con la volontà di elaborare proposte concrete di miglioramento, cinque soggetti del terzo settore milanese e lombardo (Forum del Terzo settore, Caritas Ambrosiana, Cnca, Alleanza delle Cooperative Italiane Welfare Lombardia, Uneba) hanno programmato per la mattinata di martedì 5 luglio il convegno Il valore della cura, che si svolgerà in presenza nella sede di Caritas Ambrosiana, ma si potrà seguire anche in streaming su YouTube.
Ad aprire la mattinata di approfondimento e confronto, un intervento del ministro Andrea Orlando (Lavoro e Politiche sociali). Seguiranno contributi di esponenti del mondo istituzionale, accademico e del privato sociale.
Motivazioni, contenuti e programma del convegno sono illustrati nei file allegati, che riportano anche le indicazioni per partecipare (in presenza o da remoto).
Al termine del convegno, sarà stilato un agile documento con le proposte salienti che i soggetti organizzatori affideranno a istituzioni, mondo accademico e opinione pubblica. Per approfondire: ampio dossier dedicato al tema sul numero di maggio del mensile Vita.
Milano, 30 giugno 2022
Ufficio stampa: Cooperativa Oltre, tel. 02.67.47.90.17
Marta Zanella, cell. 349.3227526 /
Il programma
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20 organizzazioni non si convenzioneranno più con il Comune di Milano.
Lo hanno deciso dopo l’ultimo “bando residenzialità minori” del Comune.
Ecco perché: la denuncia di CNCA Lombardia: “Le tariffe non permettono di rispondere in maniera adeguata ai bisogni di minorenni e famiglie accolti. In questo modo si sottraggono 590 posti di accoglienza (in 147 strutture), ad un sistema già insufficiente”.
Milano, 24 maggio 2022. – “Fuga in massa dalle residenze per minori”. Non sono però i ragazzi a scappare: in questi giorni è invece un numero importante di organizzazioni del sociale – tra cui alcune importanti cooperative – che ha scelto di non rinnovare/sottoscrivere le convenzioni per gestire le residenze per minori e per genitori-figli. È infatti appena scaduto il termine per presentare una manifestazione di interesse al “bando residenzialità minori” del Comune di Milano e molte realtà interne ed esterne al CNCA che gestiscono Unità d’Offerta genitori-figli, Lombardia, sul territorio di Milano Città Metropolitana e province limitrofe, hanno dichiarato forfait.
Ma perché succede questo proprio in un campo, quello di minori e famiglie, in cui i bisogni sono urgenti e indifferibili?
La risposta è nei numeri: le tariffe proposte infatti non permettono di sostenere gli standard previsti dalle normative di Regione Lombardia per la gestione di tali strutture e, quindi, di rispondere in maniera adeguata ai bisogni materiali e di crescita dei minorenni e delle famiglie accolte, che hanno bisogno di un percorso educativo e di creazione di autonomia, molto più che di mere prestazioni assistenziali.
“Si tratta di tariffe inferiori di almeno il 20% rispetto a quelle degli altri Comuni della Città Metropolitana e delle altre provincie lombarde – denuncia per bocca del presidente Paolo Cattaneo, il CNCA Lombardia, membro del Forum del Terzo Settore di Milano-. In alcuni casi sono addirittura ribassate rispetto a quelle proposte nel bando del 2018, esponendo in questo modo i dipendenti ad una sempre crescente precarietà e a una fuga dalla professione”.
Il Comune di Milano è chiamato a dare una risposta. “In una stagione in cui sta via via emergendo la necessità di dare dignità alle professioni sociali e socio sanitarie ed è sempre più difficile trovare educatori, infermieri, medici disposti a lavorare nelle nostre strutture, e in cui il costo della vita parametrato agli stipendi di tali professioni risulta insostenibile generando la fuga dal sociale di decine di colleghi, il colpo di grazia viene dal Comune di Milano che continua a proporre convenzionamenti a tariffe insostenibili”.
“Pur riconoscendo lo sforzo fatto nell’ultimo anno dal Comune, che ha consentito di rivedere – anche sensibilmente- le tariffe di alcune unità di offerta, prosegue Cattaneo, oggi si corre il rischio che l’esito immediato di questo nuovo accreditamento sia il mancato convenzionamento di circa 20 storiche realtà, sottraendo così di fatto più di 590 posti di accoglienza, in 147 strutture, ad un sistema già insufficiente. L’esito a lungo termine è che tutto ciò ricadrà sulla qualità del lavoro rivolto a famiglie e minorenni in situazione di vulnerabilità e tutela, proprio quelli che avrebbero più bisogno di cura, attenzione, protezione e professionalità per realizzare il proprio progetto di vita”.
È possibile aprire un dialogo? Così conclude Cattaneo: “Da anni proviamo ad orientare il Comune di Milano verso un approccio diverso al tema. È secondo noi necessario uscire dal recinto delle politiche sociali ed abbracciare un panorama più ampio: quello delle politiche di una Milano capace di fare diventare l’attenzione ai più fragili il motore della propria crescita e del proprio sviluppo. Crediamo nella disponibilità del Sindaco – come rappresentante di tutta la città – ad andare in questa direzione e attendiamo un suo riscontro”.
Lista organizzazioni firmatarie: Fondazione Archè, Cooperativa Arimo, Asilo Mariuccia, Casa dell’Accoglienza, Ceas, Centro Accoglienza Ambrosiano Sarepta, Centro Mamma Rita, Cooperativa Comin, Consorzio Solidarietà e Futuro (Centro Ambrosiano di Aiuto alla Vita e Pio istituto di Maternità), Cooperativa Diapason, Cooperativa Farsi Prossimo, Cooperativa il Portico, Cooperativa La Grande Casa.
CDO, Federsolidarietà, LegaCoop Sociali, Uneba, CNCA Lombardia, membri del direttivo del Forum Terzo Settore di Milano
Per interviste, dati, materiali:
Altreconomia, 329 1376380