Info: info@ubiminor.org  |  Segnalazioni: notizie@ubiminor.org  |  Proposte: redazione@ubiminor.org

 facebook iconinstagram iconyoutube icon

Uno studio innovativo di recente pubblicazione ha messo in luce qualcosa di inquietante e allo stesso tempo di prevedibile: se da un lato gli strumenti linguistici di intelligenza artificiale, come Chatgpt, aiutano a svolgere compiti più velocemente, dall’altro possono compromettere comprensione, memoria e motivazione nel lungo periodo. Un rischio particolarmente alto per le nuove generazioni, che stanno crescendo all’interno di questa dimensione ipertecnologica, senza avere una solida base di esperienze di formazione più tradizionali e “lente”.

20250710 rpmmd 1

Nel contesto della scrittura di saggi, per esempio, sostengono gli autori dello studio, i partecipanti che si sono affidati a un assistente di intelligenza artificiale hanno mostrato di ricordare meno e di impegnarsi meno rispetto a chi ha affrontato il compito da solo, senza avvalersi della tecnologia.

E, fatto ancora più preoccupante, questo disimpegno si è trascinato anche nei compiti successivi, persino quando l’intelligenza artificiale non era più presente. I ricercatori hanno chiamato questo fenomeno “debito cognitivo”: una lenta erosione della nostra resilienza mentale causata da un’eccessiva dipendenza dalle macchine.

Non è questione solo di tecnologia ma anche di umanità

È il percorso stesso — mentale, emotivo, creativo — a dare significato all’esperienza, spiegano gli studiosi. Se cediamo troppo facilmente quel processo all’intelligenza artificiale, potremmo sì guadagnare in efficienza, ma rischiamo di perdere qualcosa di essenziale: la nostra capacità di scoprire, di tollerare l’incertezza, di crescere.

Internet e i nuovi dispositivi tecnologici hanno creato un’epoca ossessionata dalle risposte quanto mai nel passato.

Basta sfiorare uno schermo o esprimere un comando vocale per ottenere non solo informazioni e “dati grezzi”, ma anche opinioni argomentate, argomentazioni già pronte e perfino conferme emotive. L’intelligenza artificiale rischia di diventare l’esperto sempre disponibile, il terapeuta digitale e un “collega” che collabora alle creazioni di qualunque cosa, senza lasciare spazio a dubbi o incertezze.

Ma questa certezza ha un prezzo, affermano i ricercatori, in quanto la corsa alla risposta immediata rende meno curiosi, meno creativi, meno capaci di reggere la complessità emotiva e cognitiva del produrre cose nuove.

Chi ha vissuto o costruito qualcosa in condizioni di incertezza lo sa: la chiarezza non arriva mai tutta in una volta. Si conquista restando nel dubbio abbastanza a lungo da lasciar emergere un’intuizione.

Pigrizia al posto della creatività

Lo studio in queto è chiaro: la facilità offerta dall’intelligenza artificiale può ritorcersi contro chi la utilizza in modo eccessivo, per trovare scorciatoie ai suoi impegni. I partecipanti che si sono affidati ad essa per scrivere un saggio pensavano di aver fatto un buon lavoro. Ma i dati presentavano un’altra situazione: minor assimilazione di contenuti, minore originalità, comprensione più superficiale delle questioni.

In altre parole, si va più veloci ma si perde profondità.

Questo riflette una tendenza culturale più ampia. La curiosità viene sostituita dalla fruizione passiva di contenuti già elaborati. La scoperta viene rimpiazzata dal riassunto. Lo stupore, dalla sintesi.

E per i più giovani, nati nell’epoca dell’informazione istantanea, questo cambio culturale rappresenta un rischio concreto. La loro capacità di costruire pensiero critico, immaginazione, attenzione profonda potrebbe essere compromessa ancora prima di potersi formare pienamente.

Quando l’ intelligenza artificiale accelera senza prendersi tutto lo spazio

Ma non tutto è negativo, affermano gli studiosi. Per chi ha già sviluppato conoscenze profonde—ricercatori, insegnanti, medici, imprenditori—l’ intelligenza artificiale può diventare un potente acceleratore, non un bastone cui sorreggersi.

Usata con intenzione, l’intelligenza artificiale amplifica l’intuizione, accelera le sperimentazioni, traduce l’esperienza in azione. Non sostituisce il viaggio, migliora la mappa grazie al quale lo si compie.

Questa differenza d’uso emerge in modo chiaro dallo stesso studio. I ricercatori di Harvard e del MIT hanno rilevato che i partecipanti con una solida base sul tema trattato, quando supportati dall’intelligenza artificiale, mostravano un aumento significativo nella connettività cerebrale.

20250710 rpmmd 2

Senza comprensione profonda, l’intelligenza artificiale incoraggia scorciatoie. Ma con competenza, può collegare punti più velocemente, far emergere schemi nascosti, illuminare zone d’ombra.

L’intelligenza artificiale non è dunque nemica della profondità di chi la utilizza, ma ne è una prova. Chi ha già fatto il lavoro interiore e intellettuale andrà più lontano. Chi no, rischia di sentirsi più sicuro, ma in realtà sarà meno capace.

La scomparsa dello stupore

C’è però un’altra minaccia, soprattutto per i giovani, più sottile ma altrettanto reale: la perdita del senso di meraviglia.

Anche gli esperti, se fanno affidamento costante sull’ intelligenza artificiale, rischiano di allontanarsi da quella forma preziosa di intelligenza umana che è la capacità di stupirsi, sottolineano gli autori.

Chi ha figli lo sa: i bambini fanno domande non per trovare risposte rapide, ma per esplorare. La loro curiosità è aperta, priva di fretta. Crescendo, però, si inizia a vedere ogni domanda come un problema da risolvere, non come un invito a immaginare.

Il controllo prende il posto della curiosità. La riflessione lascia il campo alla reazione immediata.

Nello sviluppo della personalità e dell’intelligenza tradizionali, il “non sapere” non è debolezza. È uno spazio prezioso, pieno di potenziale.

Oggi l’intelligenza artificiale non lascia sostare nell’incertezza. Riempie subito il silenzio con le risposte e lo fa dimostrando in genere convinzione. Il problema non è solo cognitivo, spiegano gli studiosi. È anche emotivo.

Le macchine non sanno cosa fare con il dolore. Non sanno vivere la paura o la meraviglia. Solo gli esseri umani possono farlo.

Quando si evitano questi processi — che sia con l’intelligenza artificiale o con qualsiasi altra distrazione — si rischia di perdere la propria capacità di crescere, di trasformarsi.

Come usare l’intelligenza artificiale per accelerare senza perdere profondità, presenza, spirito? Passando dal sapere all’osservare.

Facendo anzitutto attenzione al proprio impulso a cercare risposte immediate, a quando si ricorre all’intelligenza artificiale per pigrizia, invece che per crescere. Osservando come ci si pone di fronte all’incertezza, se la si evita o la si affronta.

Un giovane oggi, utilizzando l’intelligenza artificiale, deve essere aiutato anzitutto a saper proteggere lo spazio tra domanda e risposta, fermandosi a chiedere cosa davvero voglia capire, e cosa potrebbe scoprire da solo, senza l’ausilio delle macchine.

Uno studente dovrebbe essere sostenuto a scegliere la sua originalità, anche se imperfetta, perché  il pensiero originale affina la consapevolezza. E poi, spinto a svolgere compiti regolarmente affrontandoli senza l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, poiché è dalla fatica che nascono le intuizioni.

L’intelligenza artificiale deve essere usata per stimolare la ricerca, non per evitarla.

L’intelligenza artificiale è ormai parte del presente e del futuro, e deve essere usata con saggezza, concludono gli studiosi. E la saggezza richiede la capacità di prendersi una pausa, che significa, in altre parole, avere il coraggio, almeno per un po’, di non sapere.

Il non sapere, come dimostra a storia del pensiero umano, non è un difetto ma una via d’accesso alla conoscenza, che non è soggetta al “download” ma alla conquista.


Riferimento bibliografico

N Kosmyna, E Hauptmann, YT Yuan, J Situ et alii.
Your brain on chatgpt: Accumulation of cognitive debt when using an ai assistant for essay writing task.
arXiv preprint (2025).

Accetto i Termini e condizioni