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Di fronte alle posizioni dell’attuale Ministro per la Famiglia Fontana che afferma che l’unica famiglia è quella con mamma e papà, diventa fondamentale comprendere che cos’è la famiglia per gli italiani. Nel 1948 la Costituzione riconosceva la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art 29). La definizione, tuttora presente nella Costituzione, sembra dare ragione al Ministro Fontana, anche se nasconde una contraddizione formale: definisce la famiglia come società naturale e poi ne appoggia il suo fondamento ad un istituzione giuridica, come il matrimonio e non ad un processo naturale.

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Questa contraddizione, riconosciuta da molti giuristi, ci è utile per comprendere quanto fosse difficile già nel 1948, fornire una definizione univoca e chiara di famiglia.

Ancora di più oggi non esiste una definizione di famiglia universalmente riconosciuta: giuridicamente, esiste un “modello” di famiglia che è quello della famiglia prima delle grandi riforme sociali, prima della legge su divorzio (padre madre, uniti in matrimonio e i figli da loro generati) e poi esistono molti “casi particolari” ed “eccezioni” che vengono giuridicamente e socialmente assimilati nel funzionamento alla famiglia ma non sono pienamente riconosciuti come famiglie; dai coniugi separati alle unioni civili, alle madri single e avanti attraverso l’affido sine-die fino alla stepchild adoption.

Il riconoscimento giuridico di ognuna di queste “eccezioni” è stato il frutto di lotte sociali importanti e ciononostante ancora la costituzione riconosce la famiglia come fondata sul matrimonio. 

Ma come intendiamo la famiglia, noi italiani? Che tipo di rappresentazione ne abbiamo? Esiste ancora in ognuno di noi l’idea di una famiglia “con mamma e papà” e di una serie di eccezioni, di modelli divergenti, di “semi-famiglie” o consideriamo che esistano diversi modi di fare famiglia a cui diamo pari dignità e valore? Ha ancora senso parlare di famiglia: esiste ancora qualcosa di peculiare che contraddistingue questo concetto nella mente delle persone?

Al fine di comprendere in modo più chiaro come si organizza oggi il concetto di famiglia nella mente degli italiani, il Centro Studi Famiglia ha organizzato una ricerca intervistando diverse decine di persone e chiedendo loro di fornire una definizione di famiglia.

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L’analisi delle risposte ha confermato l’ipotesi: ognuno di noi ha una rappresentazione dell’organizzazione della famiglia estremamente diversa. Alcuni considerano che esista una famiglia solo laddove sono presenti dei figli, altri danno valore di famiglia anche alla relazione di coppia. Alcuni pensano che per parlare di famiglia sia necessaria la convivenza tra un uomo e una donna, altri no. Alcuni considerano la famiglia allargata, la dinastia e altri includono nella famiglia gli animali domestici o addirittura le piante.

Quindi, con buona pace delle idee del ministro Fontana, possiamo tranquillamente affermare che nella mente degli Italiani, la famiglia naturale, quella con mamma e papà non è più il modello prevalente: esistono moltissimi e diversissimi modi di intendere la famiglia, tutti con pari dignità. 

Ciò che è apparso in modo chiaro ed inaspettato dall’analisi delle nostre interviste è, invece, la presenza di un grandissimo consenso rispetto alle funzioni della famiglia, alla sua rappresentazione affettiva: tutti gli intervistati descrivono la famiglia come un luogo positivo, fondamentale per gli affetti che lì si sviluppano, per l’intensità delle relazioni presenti, per i legami profondi e per la sua funzione di protezione reciproca.

Alcuni esempi di verbalizzazioni possono aiutare a capire cosa intendo: “La famiglia…è un luogo in cui ci si sente protetti… è casa… è il posto dove puoi trovare il calore di un abbraccio… un posto dove le persone si vogliono bene, anche se a volte litigano… è il luogo dell’amore incondizionato nei confronti di persone che hai scelto...è la forza del gruppo che ti permette di andare avanti e superare le difficoltà”.

Quindi, se nella mente delle persone l’organizzazione concreta della famiglia si declina in modo molto diverso a seconda dei modelli culturali e religiosi, la funzione affettiva della famiglia sembra essere riconosciuta in modo simile, universalmente: tutti pensiamo che la famiglia ci protegga, ci accolga e sia il luogo in cui si sviluppano legami fondamentali per la nostra vita.

La famiglia, in sostanza, non è necessariamente formata da un padre e una madre ma resta comunque il luogo della protezione, dove si formano legami profondi e continuativi.

Come ha teorizzato Bowlby nel 1969, legame e protezione sono le caratteristiche più importanti della funzione di attaccamento: ogni mammifero, per predisposizione biologica tende, fin dai primi mesi, a stabilire dei legami rassicuranti con chi si prende cura di lui e a ricercare in questa figura, protezione. Dal punto di vista etologico, questi legami favoriscono la sopravvivenza della specie in quanto permettono a noi mammiferi di essere protetti e di apprendere da chi ci sta vicino, il nostro stile relazionale e sociale, il nostro modo di stare insieme. 

Sembra quindi che la famiglia mantenga ancora oggi questo ruolo importantissimo per l’uomo: è il luogo privilegiato di esercizio del legame di attaccamento, sia per i bambini che per gli adulti.

Alla luce di queste osservazioni l’idea che un simile legame possa svilupparsi soltanto all’interno di un nucleo creato da un uomo e da una donna appare, sinceramente, bizzarra: basta rievocare gli esperimenti di Konrad Lorenz sull’imprinting, quando lui stesso si trovava a venire riconosciuto come oggetto di attaccamento dai piccoli di Germano Reale dopo essersi preso cura di loro alla nascita, per comprendere che ciò che qualifica la famiglia non è la rappresentazione iconica del padre e della madre ma l’esercizio della cura reciproca e il conseguente naturale instaurarsi del legame di attaccamento. 

Quindi, qualora ci trovassimo costretti a giudicare se una coppia o un gruppo di individui possa o meno essere definito “famiglia”, non possiamo più in alcun modo riferirci alla sua organizzazione, al sesso dei suoi membri o al modo in cui si è stabilito il vincolo, possiamo forse meglio rispondere al quesito valutando se sono presenti dei legami di protezione e di cura reciproca, ovvero cercando di capire se i membri di quella coppia, di quel gruppo di persone si proteggono reciprocamente e, nella sostanza, si vogliono bene.

 

Carlo Trionfi
Psicologo e psicoterapeuta. Specializzato in psicoterapia dell’età evolutiva. Docente di Psicologia Forense presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescente e del Giovane Adulto.