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Molte persone con disabilità ed adolescenti, praticano il sesso online come principale forma di interazione e intrattenimento. In questo articolo proverò a fare una panoramica su che cos’è il sexting e cosa ci porta ad “averne bisogno”. Parlerò anche di diritti che dovrebbero essere uguali per ogni individuo. Senza trascurare il ruolo educativo e il contesto famigliare, poiché restano le fondamenta della sessualità, talvolta accolta e altre volte negata, rispetto ad un familiare con disabilità.

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Il sexting è l’attività di condivisione di contenuti di carattere sessuale tra utenti (dall’invio di messaggi sessualmente suggestivi o espliciti a fotografie e video di carattere esplicito), sfruttando l’uso di mezzi digitali, in particolare lo smartphone, le reti sociali e le piattaforme di messaggistica.

Sesso e rete, è sempre più un connubio frequente, ma non ci esime da rischi e dipendenze. Chi, per vari motivi passa molto tempo su internet, senza un'adeguata educazione, può confondere la vita reale con quella virtuale, dando più attenzione alla seconda. C’è anche da tener presente che l’avvento di internet, in alcuni casi ha modificato le relazioni. Talvolta le ha rese più semplici ed immediate, altre volte le ha fatte diventare dei veri e propri “surrogati affettivi”, relazionali e sessuali.

Spesso si cerca in rete un palliativo alla solitudine, ma purtroppo non è sempre detto che un’amicizia virtuale si trasformi in una relazione reale e sentimentale.

I giovani ed a volte le persone con disabilità, si approcciano alla rete senza grande controllo, spesso ignari dei rischi che messaggi troppo espliciti possono provocare. Talvolta si cercano informazioni sui siti pornografici, poiché non si trovano le risposte alle proprie esigenze.

Il sexting o sesso virtuale, praticato da molti adolescenti normodotati e da molte persone con disabilità può sfuggire di mano. Ciò che nasce come un passatempo ludico ed occasionale in alcuni casi si trasforma nell’unica forma di approccio all’altro e per sperimentare la sessualità. È possibile pensare che la sessualità sia solo un istinto mediato da un computer. L’amore e l’erotismo implicano il contatto con l’altro o l’altra, il rispetto, la fiducia, il contatto fisico, fino ad arrivare al piacere intenso e condiviso. Ridurre tutto ciò al virtuale, dove c’è innanzitutto la distanza, mi appare come un ossimoro.

A volte, il sesso virtuale, per persone disabili alle quali si nega l’educazione e la scoperta, può diventare una vera e propria ossessione, occupa tutti i pensieri dell’utilizzatore, e scandisce i tempi della giornata. Tra gli effetti collaterali, abbiamo le crisi d’astinenza, l’ansia l’insonnia e un eccessivo nervosismo che si placheranno solo quando si potrà ripristinare il “rituale masturbatorio online”.

In questo “gioco” non si tiene conto che spesso si scambiano foto e video con persone quasi totalmente sconosciute che non dovrebbero permettersi troppa confidenza… e che non dovrebbero avere subito la fiducia.

Spesso i contesti educativi non tengono conto che tutte le persone, inclusi noi disabili, hanno diritto a:

  • ottenere il più alto livello possibile di salute sessuale, compreso l’accesso ai servizi di cura della salute sessuale e riproduttiva;
  • cercare, ricevere e diffondere informazioni in relazione alla sessualità;
  • educazione sessuale;
  • il rispetto dell’integrità fisica;
  • la scelta del partner;
  • decidere se essere sessualmente attivi o no;
  • relazioni sessuali consensuali;
  • matrimonio consensuale;
  • decidere se e quando avere bambini;
  • perseguire una vita sessuale soddisfacente, sicura e piacevole.

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Poiché, tuttavia, la sessualità rappresenta una componente essenziale dello sviluppo di qualsiasi essere umano, in termini emozionali, etici, fisici, psicologici, sociali e spirituali dell’identità, a tale componente è riconosciuto anche un ruolo preponderante nella costruzione dell’autostima, della percezione di sé e del proprio ruolo sociale. Secondo alcuni autori, infatti, permangono una serie di pregiudizi sociali inerenti la sessualità del disabile, come ad esempio: non hanno le capacità di imparare la sessualità; sono esseri asessuati o ipersessuali; non hanno gli stessi bisogni dei normodotati; sono spesso abusatori; educarli alla sessualità potrebbe essere pericoloso (Sirigatti et al., 2008).

L’idea del “disabile asessuato” appartiene, il più delle volte, anche a genitori e operatori sanitari e di assistenza. In alcuni casi i genitori, a causa dell’iperprotezione, sono propensi a evitare che il figlio entri in contatto con i propri compagni per timore di discriminazione o di pericoli alla sua salute, contribuendo ad una maggiore inibizione della crescita sociale e sessuale (Venere, 2020).

L’ambiente familiare influenza lo sviluppo psicologico di qualsiasi essere umano, ma in modo particolare delle persone disabili, poiché favorisce l’autorealizzazione, le relazioni interpersonali e l’apertura verso l’esterno. La famiglia rappresenta per un disabile il nucleo sociale per eccellenza, con tutte le contraddizioni cui quest’ultima si trova a far fronte.

La difficoltà principale che la famiglia si trova spesso a dover fronteggiare si riferisce all’ambivalenza verso il proprio figlio disabile, perché da un lato si ha il desiderio dei genitori di volere una vita normale, dall’altro il desiderio e la necessità di iperproteggerlo (Sirigatti et al., 2008).

In questo alveo di atteggiamenti ambivalenti e contradditori spesso rientra anche la sessualità. La sessualità del disabile, infatti, può essere vissuta dai genitori come un lutto che può portare a forme di negazione, nonché ad atteggiamenti ansiosi e ambivalenti, perché percepita al contempo come un vero e proprio rischio per il figlio disabile: rischio di abusi, rischio di rimanere vittima di insoddisfazioni, rischi fisici. (Baldacci, 1996).

L’intesa emotiva tra due persone consente l’opportunità di riconoscersi come tali e questo ha un grande significato per la persona disabile, che viene identificata come soggetto unico e originale, anziché come deficitario; gli viene, quindi, offerta l’occasione di rappresentarsi come “essere umano” e non come “disabile”. Egli fa esperienza di sé, perché entra in relazione col mondo e sperimenta il proprio modo di essere con quello di un altro. (Venere, 2020)

Supportare la famiglia, garantire l’educazione e l’emancipazione di ogni individuo, promuovere l’inclusione e la vita indipendente, dovrebbero essere i pilastri di una società per tutti. La negazione e il non educare la persona ai pericoli della rete e al non gestire un rifiuto non fa altro che alimentare la rabia ed aumentano i tentativi di usare il web in modo inappropriato.

Zoe Rondini
Zoe Rondini è il nome d’arte dell’autrice. Il romanzo autobiografico “Nata Viva” è la sua opera prima. Nel saggio edito RaccontAbili ha voluto dare spazio ai vissuti e alle narrazioni sulle disabilità. Il blog Piccologenio.it è uno degli strumenti che utilizza per partecipare alla diffusione della conoscenza del mondo della disabilità e alla promozione dei diritti dei disabili.

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