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Provate ad immaginare la storia di un conflitto armato raccontato dalla voce dei bambini e di come una così drammatica e traumatizzante esperienza viene da loro vissuta. Ci pensano tre fratelli: Rima di 8 anni, che da grande vorrebbe fare la pediatra, Youssef di 9 anni, che da grande vorrebbe fare il pilota, ed Ahmed di 11 anni, che imbraccia e si esercita con un fucile giocattolo.

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Li conosciamo mentre girano per la capitale Sana’a dello Yemen, questa volta armati di smartphone, con il compito di documentare la vita quotidiana del popolo yemenita sotto i raid aerei sauditi, attraverso il loro sguardo, le loro impressioni e le loro interviste.

La pellicola di Khadija Al-Salami è dedicata ad una delle peggiori crisi umanitarie dei nostri tempi, in un Paese in cui nessuna telecamera può entrare, raccontata con un'immagine limpida e profondamente inquietante di una guerra brutale esplosa nel marzo 2015, che ha già mietuto 31.000 vittime civili negli ultimi due anni, le bombe lanciate da una coalizione di stati arabi capitanata dagli Emirati Arabi Uniti hanno colpito e distrutto 751 scuole e università, 269 ospedali, 267 fabbriche, oltre a moschee, ponti e strade. Ma anche se diverse scuole non sono state abbattute, l’80% di esse sono state chiuse a causa dei raid aerei.

Un conflitto totalmente oscurato da quanto accade in Siria e in Libia.

Già nelle prime riprese, quando conosciamo i tre bambini che danno voce e immagini al documentario, viene rivelato l’abnorme paradosso: coloro che firmano gli appelli alla pace, in primis gli stati dell’Unione Europea (UE), sono contestualmente coinvolti nella guerra attraverso la fornitura di armi, bombe e loro componenti, inclusa l’Italia, come denunciato e documentato da organizzazioni come Amnesty International.

Rima, Youssef e Ahmed ci accompagnano nei loro incontri con sopravvissuti ai bombardamenti: la nonna con l’orecchio danneggiato, una madre, una modella che è diventata "Miss War" sui social media, un artista, un cantante rapper, un padre, una pittrice, alcuni bambini feriti in un ospedale e altri bambini che hanno perso i loro genitori negli attacchi aerei e che ora vivono segregati in un campo profughi allestito ai margini della capitale, tutti gli intervistati hanno perso qualcuno e qualcosa, e a tutti viene fatta la stessa domanda: “sai cos’è l’Unione Europea?”, e tutti al termine dell’intervista lanciano un accorato appello all’Unione Europea.

Ma mentre gli adulti reagiscono frequentemente con l’odio e il rancore, i bambini reagiscono con la speranza, che ripongono nell’Unione Europea affinché faccia cessare questo crudele conflitto.

Questo documentario racconta il conflitto dalla voce dei bambini che ne sono le prime vittime civili indifese.

La regista, che di situazioni di conflitto e di violenza ne ha vissuti diversi, è nata durante una delle guerre civili dello Yemen nel 1966, in una famiglia non certo ideale: un padre violento e una madre che viveva con il suo secondo marito. Khadija Al-Salami rimase con sua nonna in uno dei quartieri poveri della vecchia Sana'a e il suo futuro non sembrava radioso, ma all’epoca la scuola era la sua ancora di salvezza.

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Ma questo durò poco, perché all'età di 11 anni venne data in sposa ad un uomo anziano e fu costretta a trasferirsi col marito a Damasco. Lì venne violentata e tentò il suicidio, ma riuscì a farsi rimandare in Yemen. Testarda e ancora desiderosa di un'educazione, si è liberata dalla sua famiglia conservatrice, temendo la vergogna, ha ripreso la scuola e contemporaneamente si è aggiudicata un lavoro come presentatrice di uno spettacolo per bambini in una stazione televisiva, che aveva ancora solo 11 anni.

La regista si è poi trasferita a studiare nel Regno Unito, negli Stati Uniti e a Parigi, dove dal 1986 vive e lavora, come addetta culturale per l'ambasciata yemenita.

Khadija Al-Salami è la prima regista e produttrice donna di film dello Yemen. Ha lavorato come addetta stampa e cultura per l'ambasciata dello Yemen a Parigi, e ha ricevuto la Legione d'Onore per il suo lavoro contribuendo a costruire relazioni tra la Francia e lo Yemen.

Ha scritto con il marito Charles Hoots “La Rosee du Matin” e “Le lacrime di Saba”, nel quale racconta dei suoi primi giorni di scuola da bambina: “Mi sentivo forte - anche a quell'età - che con un'istruzione potevo diventare chiunque e fare qualsiasi cosa volessi”.

Ha realizzato più di 26 documentari per varie stazioni televisive in Francia e Yemen, e ha ricevuto numerosi premi in vari festival cinematografici in tutto il mondo. Il suo primo lungometraggio di fiction interamente girato in Yemen, “La sposa bambina” - titolo originale: “I am Nojoom, Age 10 and Divorced” - ha vinto oltre 25 premi ed è stato proiettato in centinaia di festival in tutto il mondo. È la vera storia di Nojoom Ali, la sposa più famosa dello Yemen, che è stato sposata all’età di dieci anni ed è riuscita a portare il marito stupratore in tribunale chiedendone il divorzio. Ma questa pellicola non narra solo la storia di Nojoom, perché narra anche la storia della regista e di molte altre spose bambine yemenite.

Il divario di genere ancora molto presente in Yemen, è il tema ricorrente nel lavoro di Khadija Al-Salami. Si ricordano cortometraggi TV come “The Scream”, sul ruolo delle donne durante la rivolta dello Yemen nel 2011 e “Un estraneo nella sua città”, in cui la regista segue una ragazza di 13 anni che sfida tutte le convenzioni sociali.

Il lavoro di Khadija, anche se ancora poco conosciuta in Yemen, non è passato inosservato nella regione araba, perché nel 2013 è entrata nella lista Arabian Business Magazine con sede negli Emirati Arabi Uniti dei 500 arabi più potenti del mondo. Oltre a lei, solo altri due yemeniti ne fanno parte: Tawakkul Karman, vincitore del Nobel per la pace 2011, e Wafa al-Rime, il 16enne CEO di una società di energia solare.

Tra i premi ricevuti dalla regista si ricordano: il “Cavaliere dell'Ordine delle Arti e delle Lettere”, ricevuto dal Ministro della Cultura francese Frederic Mitterrand, “Inspiring Woman”, selezionato dalla Mosaic Foundation di Washington DC, la “Medal of Honor Rank of Knight” (Chevalier) assegnata dal Presidente francese Jacques Chirac e l’olandese “Prince Claus Foundation”.

“Child War Reporters” è stato presentato in vari festival internazionali, dal Festival dei Diritti Umani 2019 di Milano al Dubai International Film Festival, in cui ha ricevuto anche un premio.
La regista avrebbe voluto far conoscere la sua opera proprio in Yemen, soprattutto perché ritiene che l’istruzione può essere la chiave per risolvere molti problemi come quelli legati alla discriminazione di genere.

Per questo motivo ha affermato: “Mi piacerebbe proiettare il film in tutti i villaggi del mio Paese”; e rispetto ai protagonisti di questa pellicola ha dichiarato: “I bambini esprimono pienamente i loro sentimenti personali e reagiscono con complicità ai racconti commoventi che raccolgono dai loro intervistati. L'incomprensione di questa guerra prevale sull'odio. I testimoni gridano la loro speranza per il futuro del loro Paese”.

 

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen