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“D’ora in avanti i capelli devono essere corti e ben pettinati, le unghie devono rimanere pulite e le dita non devono diventare gialle per la nicotina. Il lavoro impegnerà molto sia mentalmente che fisicamente, il consiglio che viene dato è quello di venire il meno possibile influenzati dall’atmosfera festaiola che regna attorno”.

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Sono alcune delle regole ferree impartite dal responsabile dell’I.P.P.S.E.O.A. Mellerio Rosmini di Domodossola, ai nuovi studenti tra cui c’è Luca (Luca Tufano), un ragazzo di 14 anni introverso e dall’animo selvaggio, che proviene da un villaggio di montagna.

Il lungometraggio scandisce il tempo nell’istituto, tempo che non passa mai per Luca. Abituato agli spazi aperti e al contatto con la natura e gli animali, prima trascorreva la giornata occupandosi del bestiame di famiglia, mungendo capre e mucche e facendo il formaggio. La prima inquadratura infatti mostra un’alba nella zona boschiva del Sacro Monte Calvario, al solo suono dei campanacci del bestiame.

Eleganza e portamento”, oppure “cortesia e gentilezza sono l’abito del cameriere”, sono fra i primi insegnamenti dei docenti dell’istituto alberghiero, diretto con rigore e disciplina.

Lezioni teoriche di diritto, economia, lingue, lezioni pratiche su come apparecchiare e sparecchiare un tavolo, piegare un tovagliolo, portare i bicchieri su un vassoio con una sola mano, cucinare e tagliare un pollo arrosto o preparare un cocktail o un caffè, sembrano per Luca più un passatempo che informazioni da acquisire ed interiorizzare per il futuro mestiere della sua vita. Forse perché è la famiglia che lo ha spinto ad iscriversi all’istituto alberghiero, affinché potesse imparare il più rapidamente possibile il mestiere e il suo carattere potesse essere forgiato al compito.

All’inizio irrequieto e con lo sguardo distratto, fino a sembrare quasi strafottente se non fosse per la sua disarmante timidezza, Luca si vede pian piano costretto a suon di richiami, a cambiare atteggiamento nei confronti degli insegnanti e delle lezioni impartitegli.

Come in altre pellicole - basti ricordare tra gli altri “Manuel” (2017) di Dario Albertini, “A testa alta (2015) di Emmanuel Bercot, “Noi siamo infinito (The Perks of Being a Wallflower, 2012) di Stephen Chbosky, “La classe” (Entre les murs, 2008) di Laurent Cantet, fino al cult “Stand by me - Ricordo di un’estate” (1986) di Rob Reiner - il tema centrale è quello dell’adolescenza intesa come fase di cambiamento e soprattutto rito di passaggio verso l’età adulta, osservata in modo diretto e non giudicante.

Il giovane regista, Davide Maldi, ha lavorato come produttore di film, documentari e lavori di ricerca sociale, e ha collaborato con varie compagnie di teatro sperimentale e progetti di arti visive. Nel 2008 ha vinto un premio per il suo primo lungometraggio di fiction “Frastuono” al New York Film Academy, che è anche stato presentato in concorso al Torino Film Festival. Nel 2017 ha fondato “L’Antauro”, associazione culturale finalizzata a sviluppare e produrre opere cinematografiche e progetti artistici. “L’apprendistato” è stato presentato nella sezione Cineasti del presente del Locarno Film Festival 2019.

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In un’intervista sull’opera, che alcuni critici collocano tra l’eleganza formale di Luchino Visconti e il misticismo proletario di Pier Paolo Pasolini, entrambi neorealisti, il regista racconta: “Volevo trovare un contesto reale nel quale un ragazzo era portato ad accelerare il suo processo di crescita imparando da subito un lavoro. L’Istituto alberghiero mi è sembrato il luogo adatto dove muovermi perché la professione del cameriere è fatta di regole e disciplina col fine di servire il cliente.

Imparare a quattordici anni le regole del mondo del lavoro mi è sembrato inusuale. Luca proviene da un piccolo borgo di montagna, ha un animo selvaggio e libero e ho scelto lui come protagonista perché attraverso la sua esperienza potevo raccontare meglio le difficoltà nell’apprendere la professione a quell’età

Nel film il maître/insegnante della scuola esige disciplina e rigore perché sono elementi alla base del mestiere ed è diretto e onesto con i suoi alunni. Non prende in giro l’adolescente, bensì lo tratta da adulto e lo mette di fronte alle proprie responsabilità, con possibilità di riuscita o fallimento, perché la vita che lo aspetta sarà faticosa…

Volevo realizzare un film che trasmettesse nella regia e nell’estetica un rigore vicino a quello della scuola e del mestiere. Lo spettatore vive questa storia attraverso l’esperienza di Luca. Mi sono sempre posto dalla parte degli alunni, instaurando col loro un rapporto di fiducia e complicità che ha permesso poi di lavorare in piena sintonia. Ho cercato di fargli capire che non ero né un docente e né li volevo giudicare idonei o meno alla scuola o alla vita…

L’apprendistato è inteso come secondo capitolo di una trilogia sull’adolescenza, iniziata con il film precedente, “Frastuono”, e che proseguirà con un altro lavoro, più strutturato, legato a un fallimento familiare, il tutto visto sempre attraverso gli occhi e l’esperienza di un ragazzo. Ho incominciato a fare ricerca per capire dove e come sviluppare il lavoro ma sono ancora agli inizi.

Abituato a pensare solo al presente, l’apprendistato mette Luca alle prese coi dilemmi del “diventare grande” e lo costringe a fare i conti con sé stesso e con ciò che dovrà fare nella vita. Ma quale sarà il prezzo da pagare e cosa dovrà sacrificare il ragazzo della propria libertà e adolescenza, per proiettarsi nel mondo del lavoro al servizio dei clienti?

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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