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Milano - Una ragazzina disabile di 13 anni viene derisa da alcuni ragazzi, in poco tempo la situazione degenera e inizia un lancio di sassi. La tredicenne impaurita chiama la mamma che la porta al pronto soccorso, la prognosi è di alcuni giorni. Viene sporta denuncia e gli autori del gesto vengono identificati, sono tutti minorenni.

Pisa - Una quattordicenne di origine senegalese che frequenta un istituto tecnico, in concomitanza con lo scrutinio, inizia a ricevere messaggi denigratori a sfondo razzista. Tra i tanti spiccano “Non si è mai vista una negra che prende 10 a diritto” e ancora “Non esiste che una negra possa diventare avvocato”. Lei spiega che studiare diritto le piace molto e che vorrebbe intraprendere, in futuro, la carriera forense.

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Due episodi differenti, ma forse neanche tanto. Hanno sicuramente in comune alcuni elementi: la minore età degli autori e delle vittime, una base di intolleranza e di incomprensione, lo sgomento che lasciano in chi ne viene a conoscenza e sicuramente una forte, importante, responsabilità a livello sociale.


È ormai indubbio che si possa descrivere l’adolescenza come una fase di transizione e di cambiamento, per l’individuo che l’attraversa, di dimensioni straordinariamente grandi. La formazione dell’identità e del sé individuale, affrontare tutta una serie di compiti di sviluppo attraverso la predisposizione di una personale modalità di “coping with developmental task”, districarsi tra innumerevoli situazioni e entità significative per il soggetto, riuscire nell’arduo compito di guadagnare l’autonomia dal nucleo familiare attraverso complicate dinamiche di negoziazione e riconoscimento. Se leggere e comprendere appieno questa breve lista, certamente incompleta, di eventi che l’adolescente deve affrontare può apparire complicato, viverlo concretamente è sicuramente caratterizzato da un margine di incertezza e difficoltà ancora maggiore. Se parlare dell’adolescenza dall’esterno è in molti casi fonte di disorientamento, attraversare quello che molti autori hanno giustamente definito come un mare agitato e tempestoso su una piccola zattera un po’ insicura è certamente ancora più preoccupante.

Possiamo senza dubbio definire questa fase come un periodo di crisi che deve necessariamente coinvolgere tutti coloro che sono a contatto con gli adolescenti. Quando questa crisi però interseca i temi dell’intolleranza e dell’aggressione ai più deboli, sia sul piano fisico, psicologico che sociale, la sfida educativa che ci si trova ad affrontare è ancora più ardua e proprio per questo motivo l’impegno, a tutti i livelli, dovrebbe essere maggiore e più compatto. Quella che si dovrebbe alimentare è la cultura del rispetto reciproco e della conoscenza di varie realtà, anche differenti da quelle abituali. Il conoscere qualcosa e l’entrarci in contatto presuppongono un investimento emotivo e cognitivo che può essere, sicuramente, alla base del rispetto. Non bisognerebbe mai dimenticare poi che le parole, tutte le parole, hanno un significato preciso e che usarle in maniera strumentale, nella maggior parte dei casi, ha effetti devastanti e distruttivi. È facile infatti trasformare un discorso politico, costruito per accumulare qualche centinaia di voti elettorali in più, in un messaggio d’odio intessuto di discriminazione e teso ad alimentare la paura del diverso. Consapevoli di ciò, se si ripete continuamente che viviamo in un periodo di crisi, dovremmo avere l’onestà intellettuale di evidenziare come una delle più grandi crisi alle quali si assiste ogni giorno è proprio la crisi di valori.

E così, autori e vittime dei fatti raccontati, potrebbero essere forse più simili di quanto sembri. Se non altro per avere entrambi subito gli effetti devastanti di una modalità comunicativa sbagliata, di fallimenti sul piano educativo e dell’eclissi di alcuni valori essenziali in qualunque società che si voglia definire civile. In questi termini, pertanto, si potrebbe certamente prendere a prestito quanto scritto da Mauro Grimoldi nel momento in cui dedica un suo libro “alle vittime innocenti e a quelle colpevoli senza mai scordare la necessità di distinguere” [1].

 

 

[1] M. Grimoldi, Adolescenze estreme. I perché dei ragazzi che uccidono, Feltrinelli, Milano, 2008