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Il pianeta Dagobaa, nei film L’Impero colpisce ancora  e Il ritorno dello Jedi del ciclo Guerre stellari è il setting di una vicenda educativa di grande fascino, che potrebbe essere interessante indagare.  Come è noto si tratta della formazione del giovane Luke Skywalker da parte di Yoda: il ragazzo deve diventare un guerriero Jedi per potersi finalmente schierare contro l’Impero e affrontare Darth Vader (che scoprirà essere suo padre) e l’Imperatore.

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{xtypo_quote_right}Notiamo anzitutto l’interesse dell’idea dell’educatore che dice di no. Se anche fosse vero che tutti sono educabili, occorre capire che  non tutti sono educabili a tutto, e non tutti sono educabili da quel determinato educatore. {/xtypo_quote_right}


La prima cosa che possiamo notare, analizzando le strategie educative di Yoda, è quella che potremmo definire l’inappariscenza dell’educatore o meglio il suo nascondimento strategico. Quando Luke atterra (o meglio ammara) sul pianeta incontra il piccolo alieno che non sembra proprio avere le caratteristiche del formatore che il ragazzo sta cercando. Per un po’ Yoda sembra prendere in giro il ragazzo, poi svela la sua identità in un colloquio con lo spirito di Ben Kenobi, udito anche da Luke. Ci sembra molto interessante questa strategia educativa: l’educatore non si presenta subito, ma analizza il comportamento del suo futuro allievo stando al di fuori dal contratto educativo. In questo modo evita l’effetto  che tutti gli educatori conoscono, ovvero il rischio che  il comportamento dell’educando sia in qualche modo indotto dall’educatore, che cioè l’allievo si comporti esattamente come pensa che il maestro si aspetti da lui. Luke è autentico nel rapporto con Yoda proprio perché non sa che si tratta del suo mentore, e questo permette al simpatico alieno di raccogliere preziose impressioni.

Impressioni decisamente non molto positive, dal momento che la prima reazione di Yoda è di rifiuto. “Non voglio educarti” dice l’alieno; e solo un ulteriore intervento di Ben (figura che è quasi quella di un supervisore) lo convincerà  a impegnarsi nella formazione del ragazzo. Notiamo anzitutto l’interesse dell’idea dell’educatore che dice di no. Se anche fosse vero che tutti sono educabili, occorre capire che  non tutti sono educabili a tutto, e non tutti sono educabili da quel determinato educatore. Quanti accanimenti pedagogici sarebbero  risparmiati se capissimo che non tutti possono diventare cavalieri Jedi e che non tutti possono apprenderlo da noi. Se la relazione educativa, come amiamo ripetere, è una relazione complessa, delicata ed esclusiva, perché mai essa dovrebbe accendersi automaticamente tra due persone quasi per decreto? Forse dobbiamo cominciare a pensare che il vero educatore è anche colui che sa dire di no: non puoi imparare questa cosa (e allora troviamo un’alternativa) oppure non la puoi imparare da me (e allora ti accompagno verso un’altra figura educativa (anche se ciò mi provocherà una profonda ferita narcisistica).

Alla fine Yoda accetta il compito, e lo fa perché Ben tocca una corda molto profonda, dicendo “ero anch’io come lui eppure tu mi hai educato”. Lo sblocco dell’educatore avviene a partire dalla riattivazione della memoria di un successo passato, che viene presentato in analogia con la situazione presente. Quanto sarebbe utile per ogni educatore di fronte a un impasse avere un Obi-Wan che lo faccia riflettere sulla sua storia di educatore cercando di fargli trovare le risorse per  continuare ad educare. Anche perché l’invecchiamento dell’educatore rischia di fargli vedere come ostacoli o vincoli le caratteristiche che, all’inizio della sua carriera, vedeva come possibilità.

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{xtypo_quote_left}E’ molto interessante simbolicamente che la morte dell’educatore coincida con l’assegnazione di un  compito di realtà, come se la formazione proiettasse il soggetto necessariamente al di fuori dei confini (tutto sommato rassicuranti) che gli costruisce intorno{/xtypo_quote_left}


Le prove fisiche alle quali Yoda sottopone Luke così come la  prova spirituale dell’ingresso nella grotta nella quale incontra l’ologramma di Vader sono abbastanza scontate nella loro simbologia; l’episodio pedagogicamente interessante però  è quello  della navicella spaziale. Quando si accorge che la sua nave sta affondando nello stagno, Luke perde la concentrazione sull’esercizio che sta compiendo e cerca di recuperare la nave  attraverso l’uso della Forza, facendola levitare a distanza. Scoraggiato dall’insuccesso, lascia perdere tutto ed allora è l’educatore ad alzare la navicella con la forza del pensiero. Una strategia pericolosa, perché rischia di scoraggiare ancora di più il ragazzo, ma che ha invece effetto perché in realtà Yoda spiega subito che non è stato lui ad alzare la nave ma  il merito è della Forza che scorre dentro lui. Sentire la forza, essere passivo, lasciar scorrere, lasciar accadere, mettere da parte la propria  soggettività: questo è il senso (molto simile a certi principi delle filosofie orientali o della formazione monastica ed esicastica della prima chiesa) dell’insegnamento di Yoda, e in questo senso l’aver sollevato la navicella può essere visto non come una esibizione narcisistica ma come dimostrazione di una passività che anche Luke può imitare.

Non manca, come nella migliore tradizione del rapporti educativi, il momento di crisi. Preoccupato  per la sorte dei suoi amici Leila e Han Solo (e ovviamente degli immancabili androidi C1P8 e C3PO, oltre che del gigantesco  Chewbecca) l’allievo se ne va, anche se l’educatore (e Ben con lui) non lo considera pronto. E’ un errore, e Luke se ne accorgerà, ma Yoda non lo trattiene, anche se tutto fa capire che potrebbe anche farlo. Il rispetto per la libertà dell’educando è soprattutto rispetto per la sua libertà di sbagliare, anche se questo mette a repentaglio la stessa  relazione educativa.

Lo spettatore dovrà aspettare il sesto film della serie per vedere Luke che cerca di mantenere fede alla promessa di ritornare e completare la sua formazione, anche se il grande carisma che egli dimostra alla corte del malvagio Jabaa fa intuire che gli manca poco per essere un cavaliere Jedi. Ma quel “poco” è importante: Yoda, orai morente, gli dirà che il compito  non è ancora finito e che sarà una prova di realtà esterna alla relazione educativa a sancire il successo del tirocinio.  E’ molto interessante simbolicamente che la morte dell’educatore coincida con l’assegnazione di un  compito di realtà, come se la formazione proiettasse il soggetto necessariamente al di fuori dei confini (tutto sommato rassicuranti) che gli costruisce intorno. Dagobaa sarà anche un posto nebbioso e inospitale ma come tutti i setting educativi è anche protettivo: la vita è altra cosa, è lei a dare il colpo di scalpello definitivo al processo educativo.

Per questo motivo l’educatore può eclissarsi. Dopo avere cercato di non rispondere alla domanda “Dart Vader è mio padre?” e  poi avere commentato “E’ male che tu lo sappia”, dopo lo svelamento solo parziale dell’ultimo segreto  (“C’è un altro Skywalker”), Yoda se ne può andare. Luke ha finito il suo addestramento e deve tornare alla vita, alla lotta e alla prova di realtà.

Per gli amanti della fantascienza in attesa di vedere finalmente il settimo episodio della serie, rivedere la iniziale trilogia e concentrarsi su questa interessante relazione educativa potrebbe essere utile per scovare la “pedagogia del non pedagogico” che da un po’ di anni ci divertiamo –occorre ammetterlo- a cercare anche nei film giustamente di culto come Guerre stellari. 

Raffaele Mantegazza
Dal 1999 insegna presso l'Universita' di Milano Bicocca, facolta' di Scienze della Formazione. Ha pubblicato oltre 40 libri e circa 200 articoli su riviste specializzate. Attualmente la sua cattedra universitaria e' Pedagogia Interculturale.

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