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Per gentile concessione dell'autrice e dell'editore, pubblichiamo un brano del libro di Marisa Marraffino: "Il bullismo spiegato a genitori e insegnanti" (Laurana editore).

Il libro verrà presentato questa sera alle 18 allo Spazio Melampo, Via Tenca 7, Milano. L'autrice dialogherà sul tema con Lamberto Bertolè.

"Intanto, partiamo da una definizione.
Quello che comunemente chiamiamo "bullismo" in realtà è una somma di reati contro la persona, spesso veicolati dal web, ecco perché si parla di cyberbullismo, che sfrutta la situazione di dominio creata dall'autore per generare una sottomissione duratura che può aggravare le conseguenze dei singoli reati commessi.

20181115 Il bullismo spiegato a genitori e insegnanti

 

Non esiste una forma sola di bullismo, ma c’è una casistica che sempre più spesso finisce nelle aule dei tribunali ed è da qui che occorre iniziare. Il bullismo è quell’insieme di condotte reiterate che generano una situazione di dominio che paralizza la vittima, la qua­le tende a non chiedere aiuto, a chiudersi in se stessa, a somatizzare la sofferenza.

C’è quindi un’asimmetria di poteri tra autore e vit­tima che si manifesta attraverso vari segnali che è im­portante cogliere sin dagli esordi. L’isolamento di so­lito è il primo elemento sintomatico che manifesta un episodio di bullismo in corso. Possono presentarsi poi ansia, attacchi di panico, depressione, sensi di colpa e tagli vistosi come forma di autolesionismo (cosiddetto cutting). La vittima può addirittura arrivare a modifica­re le proprie abitudini di vita, smettendo di andare a scuola o cambiando istituto. L’autostima diminuisce, possono insorgere disturbi del sonno, dell’alimentazio­ne e di solito aumenta la distrazione. La mancanza di interesse agli eventi sociali e le chiamate frequenti da scuola per essere riportati a casa possono essere altri elementi rivelatori di un disagio in corso. In genera­le, a far aumentare l’attenzione dei genitori sono tutti quei comportamenti diversi dal solito e quei disturbi psicosomatici, come mal di testa e mal di pancia, che non dovrebbero essere sottovalutati. Dal punto di vista legale il bullismo è un'escalation criminosa, ovvero un insieme di reati che iniziano con singole offese, epiteti ingiuriosi, risate che accompagnano la vittima, fino a spintoni, percosse, piccoli furti e addirittura estorsioni, lesioni, porto d’armi. Nel nostro ordinamento non esi­ste un singolo reato di cyberbullismo, ma si tratta di più reati diversi e già individuati singolarmente dal nostro codice penale e da alcune leggi speciali. La nuova nor­mativa ha però introdotto una definizione di cyberbul­lismo che ci consente di definirlo come un insieme di reati, di aggressioni fisiche e verbali, ripetuti nel tempo, che hanno come scopo quello di isolare la vittima, di farla sentire colpevole, insicura, indifesa. (1)

L’obiettivo dell’adulto di riferimento è allora quel­lo di interrompere questa escalation criminosa prima che gli episodi degenerino in aggressioni virtuali po­tenzialmente virali. Occorre far sentire al sicuro la vittima, rafforzandone l’autostima e accompagnan­dola nell’eventuale iter legale.

L’evento dannoso più grave oggi è proprio l’offe­sa alla reputazione realizzata tramite social network e Internet in generale. Da questo reato possono poi derivarne altri, con conseguenze addirittura impreve­dibili per il minore. Quindi è proprio tale evento che occorre scongiurare, bloccando le condotte antece­denti, prima che possano svilupparsi ulteriormente in rete, diventando difficilmente controllabili.

Che col bullismo ormai non si scherzi più è sot­to gli occhi di tutti, ma ancora troppo spesso se ne sottovalutano i segnali di esordio. Di recente lo ha ribadito a chiare lettere la Corte di Cassazione in una sentenza che ha ritenuto configurabile il reato di stalking a carico di due minori che avevano molestato e perseguitato un compagno per l’intero anno sco­lastico. I giudici non hanno concesso le attenuanti generiche agli autori, non solo per la gravità dei fatti, ma anche per l'“assenza di un processo di maturazione dei minori imputati”, poiché, per tutto il processo, aveva­no continuato ad affermare che la persona offesa era stata vittima di scherzi. (2) Spesso i genitori degli auto­ri dei reati, quando vengono convocati in Procura, parlano di “ragazzate”, “giochi”, “piccoli dispetti”, minimizzando l’accaduto e rendendo di fatto più dif­ficile la difesa dei minori coinvolti. I figli si sentono legittimati a continuare e, spesso, a colpevolizzare la stessa vittima che “se l’è andata a cercare” o che “non ha mai detto niente”, “non ha reagito”.

La prima mossa per affrontare il bullismo, in ma­niera seria ed efficace, è infatti prendere atto sin da subito della sua gravità ed avviare un processo di ri­visitazione critica che conduca il minore autore dei fatti a percepire l’offesa che ha arrecato alla vittima. Mettersi nei panni della persona offesa, invertendo i ruoli, è il primo modo utile per prendere coscienza delle conseguenze delle proprie azioni. In questa fase determinante sarà il contributo e l’atteggiamento de­gli adulti di riferimento, genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, in grado di spostare da soli gli esiti dei pro­cessi penali e civili derivanti dai fatti".

 

(1) L’art. 1 della legge 71/2017, entrata in vigore il 18 giugno 2017, definisce così il cyberbullìsmo:
Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigratone, diffamatone, furto d’identità, alteratone, acquisitone ille¬cita, manipolatone, trattamento illecito di dati personali in danno di mi¬norenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intentonale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
(2) Così espressamente Corte di Cassazione, sentenza 28 febbra­io 2018 - 11 giugno 2018, n. 26595.

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