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Rabyatou: "Sì. È un film."
Guy-Yanis: "Ma un film su cosa? È un film, è un film. Ci sono film, non lo so, ci sono film di tutto."
Rabyatou: "Ma qui, tutto ciò che è girato, qui, non è un documentario. Non c'è una voce che parla e dice "Ecco, è ..."
Guy-Yanis: "È un film di cosa, allora?"

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Rabyatou: "Beh, è un film."
Guy-Yanis: "Di viaggio?"
Rabyatou: "Ma allora, è un documentario su cosa?"
Guy-Yanis: "Beh, è un documentario sulla vita degli allievi."
Rabyatou: "Anche, può essere un film sulla vita degli allievi."
Guy-Yanis: "È un film drammatico, è un film divertente?"
David: "Abbiamo parlato di noi?"
Anida: "Un film, può essere per esprimere qualcosa."
David: "Possiamo dire, vai avanti, è un film drammatico ..."
Guy-Yanis: "Se è un film, ovviamente, c'è un tema."
Rabyatou: "Ma qui, abbiamo fatto degli effetti sonori."
Guy-Yanis: "Ma aspetta, mi dirai, il film è una commedia, è un dramma ..."
David: "Possiamo dire che è un film drammatico, poiché è drammatico che abbiamo dimenticato il suono a St-Denis e abbiamo bisogno del suono. È drammatico. Se in un film c'è una persona che muore, è drammatico. Ma qui, il suono è rimasto a St-Ouen, è drammatico."
[Silenzio]
David: "È drammatico, sì o no?"
Guy-Yanis: "No."
Rabyatou: "Ma qui, non abbiamo spiegato, tipo, la vita degli allievi, non abbiamo detto: "Ogni mattina, ci alziamo ..." Non è un documentario."
David: "Stiamo raccontando come noi abbiamo subito lo choc del suono."
Anida, Rabyatou: "Ma non è un documentario."

Con questi dialoghi e questi interrogativi, inizia il documentario di Éric Baudelaire, girato dagli stessi 20 allievi del gruppo “cinema” delle medie del collegio “Dora Maar” di Saint-Denis nella periferia di Parigi, assistiti periodicamente per quattro anni.

Le scene girate con videocamera a mano, ripercorrono la vita degli allievi in classe e fuori, per strada e a casa.

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Vengono intervistati vicini (la signora della porta accanto che si lamenta delle pallonate tirate da uno degli allievi), ripresi familiari (la sorellina che balla davanti alla TV), ascoltati sui temi di attualità come l’immigrazione (“Non hanno abbastanza lavoro e cibo per la gente di questo Paese, per questo rispediscono a casa gli immigrati”), gli attentati (“la gente mi guarda di traverso, guarda di traverso mio padre che ha la barba”, “La gente non sa fare la differenza tra quelli matti e quelli normali”) e il razzismo (“Marine Le Pen è razzista perché non ama le persone di colore e di religione diversa”, “Sono persone che non sanno collaborare con gli altri”), interrogati sull’identità e sulle proprie origini (“origine è da dove vieni, io ho i genitori della Costa d’Avorio e quindi sono ivoriano, anche se sono nato in Francia”).

La classe è composta da ragazze e ragazzi nati in Francia, ma i cui genitori sono quasi tutti provenienti da altri Stati: Algeria, Costa d’Avorio, Nigeria, Romania, ecc.

Eric Baudelaire è un regista franco-statunitense che, dopo aver studiato scienze politiche, ha sviluppato una pratica artistica radicata in un lavoro di ricerca. I suoi precedenti documentari, tra cui si ricorda “The Ugly One” (2013), “Letters to Max” (2014) e “Also Known As Jihadi” (2017), sono stati presentati e premiati a vari Festival come Locarno, New York, FID Marsiglia, Rotterdam e Toronto.

Altri documentari riprendono la vita e la crescita degli studenti. Basti citare a “Tableau noir” (2013) di Yves Yersin e ad “Educazione affettiva” (2015) di Federico Bondi e Clemente Bicocchi.

A differenza di questi ultimi, l’opera di Eric Baudelaire è girata dagli stessi studenti che, crescendo, acquisiscono anche più consapevolezza e sicurezza davanti e dietro la videocamera.

Recentemente, la regista yemenita Khadija Al-Salami con “Child War Reporters” (2018) ha realizzato un documentario mettendo in mano la videocamera ai ragazzi per raccontare, dalla voce di tre fratelli di 8, 9 e 11 anni, una delle peggiori crisi umanitarie dei nostri tempi: la guerra in Yemen, Paese in cui nessuna telecamera può entrare.

Gli allievi del gruppo “cinema del collegio “Dora Maar” affrontano con curiosità e con grande disponibilità ed apertura, a volte molto carente negli adulti, temi fondamentali come quelli sopra citati, temi di carattere culturale, sociale e politico, con grande coerenza e rispetto del gruppo di appartenenza.

Si tratta di un film drammatico forse, in cui viene svelato il lavoro del tempo sui corpi e sui discorsi, ma anche la possibilità per ciascuno di parlare in nome proprio filmando per gli altri, e di diventare con il regista, coautori del film, ossia già soggetti della propria vita.

Recensione pubblicata dal sito del Tribunale per i Minorenni di Milano
che ospita le recensioni di Joseph Moyersoen


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