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È uscita la nuova edizione de “Il miele e l’aceto” di Lamberto Bertolé (Laurana Editore), arricchita da una nuova dimensione tematica di riflessione sugli adolescenti, Passioni, e dalla prefazione del professor Gustavo Pietropolli Charmet, della quale pubblichiamo un estratto.

Questo saggio di Bertolé esce rinnovato in un momento molto propizio. Nel corso degli ultimi anni “la sfida educativa dell’adolescenza” è stata intercettata dal mondo degli adulti e genitori; docenti ed educatori stanno affannosamente cercando di organizzare una risposta intelligente ed efficace.

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Le risposte sono ancora ipotecate dalla difficoltà a decifrare le intenzioni comunicative malcelate che le azioni, i comportamenti e il linguaggio dei ragazzi contengono. La competenza degli adulti sta crescendo ma spesso è ancora rudimentale e ipotecata da pregiudizi negativi, a volte sprezzanti, spesso vittima del grave ritardo accumulato nel nostro paese dalla cultura psicologica ed educativa nei confronti dell’adolescenza. Il dibattito però si è finalmente avviato e c’è molto movimento nelle associazioni genitori, nell’editoria, nei mass media e soprattutto nel mondo degli educatori. Un saggio come questo è proprio lo strumento necessario per porre le basi di un dibattito serio, interdisciplinare che aspiri a partire dall’esperienza relazionale e a chiedersi quali siano le decisioni da assumere non tanto in relazione a fumosi e anacronistici modelli pedagogici ma al fine di riaprire il processo evolutivo dei ragazzi in difficoltà, dei genitori in crisi, dei docenti che stanno per arrendersi a fronte della complessità crescente.

Sarebbe straordinariamente utile che tutti gli adulti coinvolti a vario titolo e ruoli diversi con adolescenti, individualmente o in gruppo, capissero l’utilità operativa di porsi nella posizione mentale e relazionale che suggerisce Bertolé in questo saggio. Innanzitutto tenere viva e accesa la relazione, non consentire che tutti, adulti e ragazzi, si rassegnino a contemplare il tempo che passa senza che nulla succeda e le passioni e i sentimenti zittiscano, il conflitto venga seppellito in un sarcofago di rinvii e rinunce a narrare e progettare, come spesso succede a scuola ove troppo spesso si aspetta che arrivi l’intervallo, unica occasione di rivitalizzazione dei ragazzi che non sono riusciti ad utilizzare il ruolo di studenti e sono rimasti adolescenti in attesa di notizie dai social e di docenti che accorgendosi di non essere ascoltati cercano di parlare a bassa voce per non svegliare i monelli che potrebbero risorgere dallo stato ipnotico e fare chiasso.

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(clicca sull'immagine per ingrandire)

Anche in famiglia può succedere che si eviti scrupolosamente di riaprire il conflitto fra le generazioni e i fratelli, lasciando che la crescita e l’intervento educativo languiscano nella speranza che i problemi si risolvano da soli, il che succede solo quando i problemi non ci sono ma se ci sono l’unico modo per risolverli è affrontare il fuoco del conflitto e il trambusto che disorganizza i rituali familiari. Anche nelle comunità per adolescenti difficili può succedere che tacitamente si stipuli il contratto di occultare il conflitto e si finga che il tempo si sia fermato e non ci sia nulla da decidere, che è una delle soluzioni più efficaci per chi non se la senta di riaprire il conflitto sulle questioni cruciali all’ordine del giorno: Bertolé scrive pagine molto convincenti su questo tema e converrebbe che tutti gli educatori, docenti e genitori si convincessero che il modo più efficace per fallire nel proprio compito è evitare, per paura delle conseguenze inesorabili, di rianimare il conflitto e dedicarsi ad una pacifica contemplazione del tempo che passa e si arrivi alla scadenza senza che nulla sia successo, cioè che i ragazzi non abbiano imparato nulla da se stessi e dal contesto che li circonda e siano rimasti segretamente disperati e decisi a vendicarsi di non essere stati presi sul serio.

“Tutti i ragazzi cercano dei maestri” scrive Bertolé; ed è vero. La loro delusione nei confronti degli adulti, scuola, famiglia e comunità, consiste proprio nel non riuscire a stanare qualche adulto competente che assuma senza vanterie e retorica, anzi con tono dimesso, il ruolo operativo di mentore, trasmettendo la passione per la conoscenza e aiutando a capire la bellezza dell’illusione di raggiungere la verità, soprattutto quella relativa alla propria vera ed autentica vocazione e talento. Ci vuole una forma particolare di coraggio relazionale nell’assumersi la responsabilità di essere riconosciuto come maestro, ma a volte basta la passione educativa; ai ragazzi basta questo, che i loro educatori siano appassionati e abbiano bisogno che loro crescano, un bisogno professionale ma anche personale.

I ragazzi cercano la verità, cioè quale sia la loro strada, il loro destino identitario, il loro mestiere, il loro modo di amare e lavorare, insomma la loro vera natura, al di là delle maschere che per il momento indossano per non farsi riconoscere e non capire loro stessi cosa veramente vogliano, perché capirlo consegna una grande responsabilità e non tutti i ragazzi sono in grado o sono stati preparati ad essere responsabili nei confronti della loro intelligenza e della capacità di amare. […]

 

Un estratto dal capitolo "Passioni".


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