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Ho appreso dalla rassegna stampa dell’Istituto degli Innocenti che nelle ultime settimana il nostro Ministero dell’Interno ha siglato un accordo con il quale Unicef si impegna a svolgere gratuitamente, per 18 mesi, un monitoraggio delle modalità e della qualità dell’accoglienza dei bambini e degli adolescenti migranti in Italia, analogamente a quanto già avvenuto con la dichiarazione d’intenti sottoscritta nel 2016.

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La nuova Dichiarazione si può leggere a questo link.

Negli stessi giorni il nostro Ministero dell’Istruzione ha concluso un accordo con UNHCR, l’agenzia Onu per i rifugiati, per promuovere nella scuola i temi dell’accoglienza, dell’inclusione e della solidarietà internazionale. L’obiettivo è “favorire la conoscenza delle realtà che portano un individuo a diventare rifugiato e di promuovere una migliore integrazione e coesistenza con le comunità locali”. Il Ministro Patrizio Bianchi, che a Ferrara conosciamo e stimiamo in tanti, ha affermato: “Educare i nostri giovani alla solidarietà – valore fondante della democrazia – vuol dire insegnare alle ragazze e ai ragazzi a tendere la mano a chi è più debole. Questo è un dovere, anzi una necessità, perché solo così potremo lavorare insieme per una società priva di discriminazioni, più giusta, e costruire un nuovo sviluppo umanamente sostenibile”.

Me ne rallegro, davvero. Ma mi parrebbe tutto un po’ più coerente se non fossimo ancora qui, a contare i morti a centinaia nel Mediterraneo per mancanza di soccorso, come è accaduto nella strage di pochi giorni fa. “Questo è il momento della vergogna”, ha chiosato Papa Francesco in piazza San Pietro. Le sue parole vibrano per lo sdegno presente in tanti di noi. È agghiacciante leggere la sequenza di richieste di aiuto consumate in 27 ore, un tempo infinito a immaginare di trascorrerlo in quelle condizioni. E sembra incredibile la schizofrenia con cui il nostro Paese può dare segnali di apertura verso il riconoscimento dei diritti umani e contemporaneamente voltare lo sguardo dall’altro lato, secondo i settori di governo, gli accordi economici, le convenienze.

Col chiaro intento di curare la schizofrenia, dopo l’ultima strage nel Mediterraneo le ONG impegnate nelle operazioni di soccorso (Alarm Phone, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Open Arms, ResQ-People saving People, Sea Watch, Sos Mediterranee) hanno sottoscritto un appello per chiedere un incontro al Presidente del Consiglio Mario Draghi. “Per alcuni anni l’intervento delle navi di soccorso civile è stato accolto con riconoscenza dalle autorità italiane ed europee”, ricordano. Ma con la fine dell’operazione Mare Nostrum c’è un’inversione di rotta. Arrivano i respingimenti – illegali – e le omissioni di soccorso – ugualmente illegali. Chi soccorre viene delegittimato e sanzionato. Loro non hanno alcuna pretesa di sostituirsi agli Stati: “siamo in mare a colmare un vuoto, ma saremmo pronte a farci da parte se l’Europa istituisse un efficace meccanismo istituzionale e coordinato di ricerca e soccorso che abbia come scopo primario quello di soccorrere persone in mare”.

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Intanto Unicef e Save the Children hanno iniziato a lavorare insieme a Ventimiglia e a Lampedusa. Il loro intervento comprende: primo soccorso psicologico; informazioni ai migranti sui diritti, sui servizi e sulle opportunità; una valutazione di vulnerabilità e necessità di protezione; distribuzione di materiali utili per il viaggio e l’igiene personale. Tra dicembre 2020 e marzo 2021 hanno assistito, a Ventimiglia, 72 nuclei familiari (116 i bambini) e oltre 169 minorenni non accompagnati; a Lampedusa, 59 famiglie (130 i bambini), 181 donne e 404 minorenni non accompagnati. Non sono numeri di poco conto, se pensiamo che dal 1° gennaio al 16 aprile di quest’anno sono arrivati in Italia più di 8.520 migranti e rifugiati, di cui 1.196 (14%) minorenni che viaggiavano senza il sostegno di un adulto.

Mi piace concludere con due progetti che aiutano i molti di noi che a questi temi ci accostiamo con partecipazione, ma non siamo in prima linea, a restituire un volto e una voce a chi ne è privo.

A chi ama le immagini segnalo il progetto “Sono figli nostri” con il quale il giornalista e scrittore Saverio Tommasi e il fotografo Francesco Malavolta pubblicano ogni sera in rete una foto e una storia – qualche volta l’immagine soltanto, parla da sola – per far comprendere l’esperienza migratoria. Le fotografie, strazianti e belle davvero, si possono passare in rassegna qui. Il progetto è documentato sul profilo Facebook di Saverio Tommasi.

A chi preferisce le parole propongo il libro “Marenostro. Naufraghi senza volto” di Maurizio Moscara, edito dalla meridiana nel 2020. La casa editrice lo presenta così: “Un libro parlante che dà voce alle voci di chi, in vita, non ha avuto il diritto di essere donna o uomo, bambina o bambino. Sono le voci di chi fuggiva da violenze, persecuzioni, fame, guerre ed ora giace nel Mediterraneo a due passi da casa nostra. (…) Nessuno di noi può dire che non c’era, che non sapeva mentre quelle voci urlavano il loro diritto alla libertà, alla dignità e alla vita. Eravamo tutti al corrente di tutto, talvolta anche in diretta mentre la politica era intenta a raccogliere consenso sui social”.

In rete si può assistere alla presentazione del libro. Con l’autore, e con la direttrice editoriale della meridiana, Elvira Zaccagnino, hanno partecipato il sociologo dell’immigrazione Maurizio Ambrosini, lo studente universitario di origini afgane Hashim Frough e l’attrice Raffaella Giancipoli. Insieme alle storie ci sono dati e nozioni di base sul fenomeno migratorio. Tristemente ci ripetiamo oggi: “I migranti, questi diversi da noi, sono l’occasione che l’Occidente ricco, che si sente al sicuro nei propri confini e bastevole a se stesso, ha di comprendere che una società chiusa è destinata a morire. Nessuno si salva da solo. Oggi più di ieri. Non li abbiamo salvati mentre le loro voci imploravano un approdo. Riascoltare quelle voci, grazie a questo libro, è un modo per custodire la memoria e ricordare che il nostro mare è anche il loro: mare nostrum, appunto. Sull’una e sull’altra riva ci sono volti, persone, vite, anime. Basta poco – davvero poco – perché nessuno diventi un altro naufrago senza volto”.

testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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