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Il fatto è semplice: la Corte di Cassazione ha annullato una condanna a 5 anni di reclusione per violenza sessuale e ha chiesto di ripetere il processo perché la parte offesa era, invece, consenziente. Detta così, niente di strano. E allora? È presto detto: lui ha 60 anni, lei 11. La questione sollevata dalla Cassazione non riguarda, né può riguardare, la sussistenza del reato in quanto tale, ma il riconoscimento delle attenuanti. Nonostante questo, c’è di che riflettere.

 20140115 consenso

Il fatto

La notizia arriva da Catanzaro dove era stato condannato un uomo colto in flagranza durante un rapporto sessuale con una bambina. L’uomo ha fatto ricorso fino al terzo grado e la Cassazione ha annullato la condanna e rinviato gli atti alla Corte d’Appello affinché prendesse in considerazione, come attenuante, che la relazione andava avanti da tempo e i due – anche la piccola - erano innamorati.

{xtypo_rounded1}L’età del consenso.{/xtypo_rounded1}

La questione non è di poco conto. Stando al codice penale (art. 609 quater) commette violenza sessuale “chiunque (…) compie atti sessuali” (anche molto meno di un rapporto completo, ndr) “con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza”. Oltre queste soglie di età, ma solo oltre queste, ci si può interrogare sul consenso del minore.

Come dire: è pacifico che la vita sessuale attiva inizia prima dei 18 anni, ma occorre stabilire un limite sotto il quale si deve presumere che un minore sia immaturo per dire sì alla relazione con un adulto.

Il codice penale parla di 14 anni, 16 in casi particolari. Troppi?, troppo pochi? Difficile rispondere una volta per tutte – se è per questo, chissà se tutti i 18enni sono maturi abbastanza per guidare l’automobile, sposarsi, riconoscere i figli, votare…? -  ma, come in tutti i casi, un riferimento bisogna darselo. Perciò anche la Corte di Cassazione non nega, e non può negare, che un rapporto 60-11 anni sia violenza sessuale.

{xtypo_rounded1}Il sentimento come attenuante?{/xtypo_rounded1}

La questione dell’attenuante, allora. Il poco che sappiamo dà qualche indicazione che mi pare, semmai, aggravi la valutazione del fatto. Lui lavorava per i Servizi sociali, la bimba gli era stata affidata dalla madre. La relazione dev’essersi sviluppata nel tempo se è vero che sono state intercettate centinaia di telefonate tra i due “innamorati”, avvenute di nascosto dalla mamma di lei, dalla moglie e dai figli di lui. E certo la bambina era d’accordo, anzi era coinvolta e lo cercava, gli chiedeva rassicurazioni, voleva sapere se era amata. Indossava la gonna più bella per i loro incontri. La stessa adesione al rapporto in una donna adulta cancellerebbe il reato, è evidente. Ma perché, se si tratta invece di una ragazzina, questa dovrebbe essere un’attenuante?

La Cassazione lo sostiene in quanto l'atto sessuale, avvenuto senza costrizione alcuna della minore e con il consenso di quest'ultima, era inserito in una relazione d’amore. Chi aveva pronunciato la condanna, al contrario, aveva ritenuto che questa forma di violenza sessuale fosse stata ancora più invasiva e più grave di altre, e che in ogni caso non rilevasse il consenso della vittima.

Personalmente penso che rilevi eccome, ma in quanto aggravante! Perché, altrimenti, il codice penale eleva l’età del consenso dai 14 ai 16 anni quando l’adulto ha un ruolo di guida, di potere, di cura nei confronti del minore? Probabilmente si considera che in un confronto asimmetrico (con un insegnante, con un affidatario… e forse con un impiegato dei servizi sociali…) occorra al minore una maturità ancora maggiore per scegliere liberamente di vivere un rapporto d’amore. D’amore: non di potere, non di influenza, non di plagio.

{xtypo_rounded1}Due scenari possibili{/xtypo_rounded1}

Se immagino una ragazzina di 11 anni in atteggiamenti di seduzione verso un uomo che potrebbe esserle nonno mi vengono alla mente due scenari. Per attenermi al più roseo penso alla precoce, eccessiva sessualizzazione dell’infanzia cui assistiamo, all’idea diffusa che una bambina diventa donna quando è capace di sedurre e, anzi, forse la donna è fatta proprio per questo.

Se così è successo, la ragazzina ha espresso un desiderio - in parte naturale, in parte indotto – di diventare grande nella relazione d’amore con un adulto e a questi toccava la capacità e la responsabilità di accorgersene e prendere le distanze. Dopotutto, molte bimbe sono innamorate dei loro papà e non consta che questo autorizzi l’incesto.

Quando invece l’adulto in questione si lascia “convincere”, come è stato scritto per questo caso, o - forse - si crogiola nella sensazione di essere cercato, importante, amato incondizionatamente come forse solo un bambino può amare, e trasforma questo rapporto in una relazione sessuale con una persona che non ha ancora la maturità per corrispondergli consapevolmente, esercita un potere anche se non vuole.

È triste il messaggio lanciato dalla Cassazione, quasi fosse possibile pareggiare i conti mettendo a confronto la passione – ma poi la responsabilità, l’autocontrollo – che si reputano possibili o dovuti a 11 e a 60 anni. Di più: l’adulto che scombina i conti e si lascia andare commette sì una violenza, magari subdola, nella misura in cui produce danni assai profondi e duraturi.

Chi si confronta con i minori abusati sa bene quanto questi possano essere seduttivi, insistenti, attivi nel cercare di ripetere l’esperienza sessuale, con i coetanei e non solo. E difatti una bambina che ha subito una violenza sessuale ha maggiori probabilità che le succeda ancora, da altri – questo confonde tutto a livello giudiziario ma non solo, confonderà lei per sempre – perché ha imparato che per essere amata, accettata, coccolata, riconosciuta dalle persone importanti, come sono i grandi, bisogna lasciarsi usare sessualmente  – qui non trovo altro verbo che “usare”. E siccome ha bisogno, come ognuno di noi, di trovare calore, va incontro alla sola forma di relazione amorosa che conosce.

Ecco perché, ed è il secondo scenario, mi sorge il timore che questa ragazzina, seguita dai servizi sociali, potesse avere già conosciuto l’abuso prima di incontrare questo signore. Il quale – se il mio sospetto è reale - avrebbe potuto molto aiutarla amandola diversamente, anziché ripetere questo brutto gioco.

E comunque, che la violenza di cui abbiamo notizia sia stata la prima oppure no, resta il fatto che, per una bambina, iniziare la propria esperienza amorosa in un rapporto 11-60 - pur senza lacci, fruste o altri strumenti di tortura - è un bagaglio pesante, vorrei dirlo ai giudici di Cassazione. È essere plasmata, a volte per sempre, nel segno di un rapporto che di amore e rispetto ha ben poco. 

 

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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