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L'intervento di Luciano Trovato, Presidente del TM di Catanzaro
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A law which would effectively abolish Italy’s system of youth courts has been roundly criticised by human rights experts, NGOs and more than 26,000 people online. The new legislation, proposed by Italian Minister of Justice, Andrea Orlando, would fold the specialised juvenile justice system into the adult justice system, undoing the progress Italy has made towards treating children fairly in court.
Since the International Association of Youth and Family Judges and Magistrates (IAYFJM) first drew attention to the law earlier this year many academics, magistrates and NGOs in Italy have moved to oppose it, with nearly 400 experts signing onto an open letter, and tens of thousands of people later signing an online petition aimed at saving the youth justice system.
UNICEF Italy, Defence for Children International and Terre des hommes are among those expressing their concerns about the move, and Nils Muižnieks, the Council of Europe’s Commissioner for Human Rights, also wrote to the President of the Italian Senate in May to say that Italy would be taking “a step in the wrong direction” if it passed the new law.
The Commissioner noted that transferring the competencies of dedicated juvenile courts and prosecutors to ordinary judicial bodies would likely lead to a system of judges and prosecutors less adequately equipped to pay attention to children’s specific needs and best interests.
To sign the petition and help stop the abolition of Italy’s youth courts, click here.
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L'Ordine degli Psicologi ER analizza il fenomeno dell'ansia da esame e dà alcuni consigli
Chiuso l'anno scolastico ordinario, per gli studenti dell'ultimo anno delle superiori è il momento dei bilanci, e degli esami. L'esame per eccellenza, quello di maturità. Sono tanti gli studenti che a ridosso del momento della valutazione si fanno prendere dall'ansia, per varie ragioni. Dalle aspettative dei genitori all'importanza del passaggio all'età adulta, dal timore per il futuro al sentire l'esame non solo come una prova sulla preparazione, ma anche come giudizio sulla persona. L'aspetto tranquillizzante è che una certa dose di ansia è normale e, fino a un certo punto, anche positiva.
Spesso associata a segnali come attenzione fluttuante, sensazione di "testa vuota", timore di non ricordare nulla di quanto studiato, l'ansia è in realtà fisiologica e necessaria per stimolare lo studio. Altre manifestazioni possono essere paura, senso d'inadeguatezza, irascibilità, cefalea, disturbi gastrointestinali, ecc. In modo simile a quanto accade nello sport, serve per spingere a dare il massimo. Superata una certa soglia, però, non ha più la funzione di stimolo: può trasformarsi in ostacolo, compromettendo le performance dello studente e l’esito stesso dell’esame. Il passaggio da una normale ansia a una patologica è questione di grado: l’intensità, la frequenza e la durata temporale della sintomatologia sono gli elementi che ne definiscono la gravità, se aumentano eccessivamente possono far sfociare una comune ansia prestazionale in uno stato psicopatologico che va curato con l’aiuto di uno specialista.
Le cause dell'ansia possono essere varie. Ad esempio, il metodo di valutazione - che fa dipendere il voto finale in buona parte dai risultati delle prove d'esame e solo in minima parte dalla carriera scolastica - può stimolare emozioni forti e reazioni ansiose anche negli studenti più preparati. Anzi, a volte questi sono proprio i più colpiti dall'ansia, perché hanno di più da perdere.
Oltre all'aspetto del superamento dell’esame, ci sono altre componenti. Il voto, ad esempio, può essere determinante, rischiando di essere percepito come una valutazione di se stessi in senso più ampio, l’espressione del proprio valore come persona adulta. L'angoscia è causata dall'immaginare che un cattivo risultato possa far perdere la stima dei genitori e degli amici. Ecco che alla complessità psicologica di questa situazione si aggiungono spesso le aspettative deigenitori, che caricano di importanza la maturità, vivendo l'esito dell’esame come un giudizio sulla loro adeguatezza genitoriale.
L'esame di maturità è una tappa fondamentale che sancisce il passaggio allo stadio adulto: spesso coincide non solo con il raggiungimento della maggiore età, ma anche con la necessità di organizzare in autonomia e responsabilità la propria vita. Rappresenta non solo la fine della scuola e la verifica di quanto si è studiato, ma anche un profondo cambiamento dell’esistenza, con conseguente coinvolgimento emotivo molto rilevante, assumendo così significato sia psicologico che sociale. Si può avvertire il peso della responsabilità, sia di dover fare una scelta per impostare e affrontare il proprio futuro – entrare all’università o nel mondo del lavoro – sia, e soprattutto, di dover sostenere in autonomia le conseguenze delle proprie decisioni.
Per aiutare e rassicurare i ragazzi è essenziale il ruolo della famiglia, che deve essere consapevole della rilevanza del momento per lo sviluppo dell’indipendenza nei figli. I genitori dovrebbero riconoscere le capacità decisionali dei figli lasciando loro la giusta autonomia, assicurando nel contempo sostegno e vicinanza senza essere iperprotettivi. I ragazzi sanno quanto si sono impegnati nello studio e i genitori dovrebbero prenderne atto senza sovraccaricare di responsabilità e aspettative i maturandi con raccomandazioni e rimproveri che rischiano di accrescere inutilmente la tensione.
È importante supportarli e far capire che il voto che prenderanno non condizionerà la loro vita e che, soprattutto, non si tratta di un giudizio di valore sulla persona. Ciò che conta nella relazione è essere presenti con atteggiamento accogliente e capacità di ascolto, disponibile al dialogo e all'aiuto concreto, dando la giusta importanza all’avvenimento.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
a cura di Rizoma | Studio Giornalistico Associato | tel. 0510073867
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Torino, 5 giugno 2017. La vicenda di cronaca è nota a tutti: pochi giorni fa, a Settimo Torinese, un neonato è stato gettato ed abbandonato per strada morendo poco dopo il ritrovamento, nonostante ogni tentativo di rianimazione.
Questo episodio ha destato sgomento ed incredulità in chi non si era accorto di nulla ma ha anche innescato - in un tentativo forse comprensibile di allontanare l’evento da se stessi - un processo denigratorio da parte di quanti ritengono come unica responsabile la donna, indubbiamente carnefice, ma altrettanto indubbiamente vittima di solitudine e di disperazione.
“Non è la compassione - spiega Barbara Rosina, Presidente degli Assistenti Sociali del Piemonte - a guidarci nella consapevolezza che la donna, almeno nei nove mesi di gestazione, avrebbe potuto – anzi, dovuto - essere aiutata con quel supporto che probabilmente avrebbe evitato che il gesto si compiesse, facendoci tutti diventare spettatori inermi di fronte alla tragedia umana. Serve interrogarci su quali e quanti segnali di sofferenza possiamo aver ignorato, frainteso e negato”.
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Torino ospita da giovedì 25 a venerdì 26 la 1° Conferenza italiana di Ricerca di Servizio Sociale, organizzata dalla Soc.I.SS., la Società italiana di Servizio Sociale, in collaborazione e con il patrocinio dell’Ordine degli Assistenti Sociali del Piemonte, del Consiglio nazionale Ordine degli Assistenti Sociali e del Dipartimento Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino.
Nei mesi scorsi, la Soc.I.SS. ha lanciato una call finalizzata a raccogliere contributi di ricerca sui temi più svariati, come il rapporto del servizio sociale con le famiglie e la tutela dell’infanzia, gli anziani, l’immigrazione, la vulnerabilità e la povertà, la disabilità ed il terzo settore. Senza dimenticare l’etica e la deontologia, la storia e la formazione.
Ben duecento sono i colleghi assistenti sociali che hanno deciso di partecipare in modo attivo; quasi il doppio come spettatori.
«Sono il 20% del totale – afferma Barbara Rosina (Presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali del Piemonte) – gli abstract inviati dai colleghi piemontesi. Si tratta di un segnale positivo che mostra esservi un gruppo non trascurabile di professionisti che dedica alla riflessione ed alla ricerca uno spazio privilegiato, conscio che questa è una strada importante per migliorare le risposte del sistema dei servizi e degli interventi professionali».
Cordialmente,
Con indirizzo croas
Carmela, Francesca Longobardi - consigliere CROAS Piemonte addetto stampa Cell. 333.4896751
Ordine Assistenti Sociali Piemonte
Via Piffetti 49,10143 Torino
tel 011/5684113 fax 011/5801981
C.F. 97563540018
PEC
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Anche il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa,
Nils Muiznieks, boccia la riforma della giustizia minorile.
Governo e Parlamento ci ripensino
Marelli: “La quasi totalità degli addetti ai lavori è contraria
all’abolizione dei Tribunali per i minorenni.
Raccolte quasi 26mila firme con una petizione online”
Roma, 16 maggio 2017
La riforma della giustizia minorile prevista dalla proposta di legge già approvata alla Camera e ora in discussione alla Commissione giustizia del Senato, è “un passo nella direzione sbagliata”. È questa l’opinione del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, in una lettera inviata al presidente del Senato, Pietro Grasso, il 9 maggio scorso ma resa pubblica solo ieri. Quanto previsto dalla nuova normativa può “indebolire il ben consolidato sistema di protezione dei diritti dei minori”, in quanto una giustizia a misura di minorenne deve essere“accessibile, adatta all’età, veloce, diligente, focalizzata sui bisogni e sui diritti del minore”, tutte condizioni che “sono meglio soddisfatte in un sistema in cui la giustizia viene erogata da professionisti specializzati e con competenze esclusive, come avviene attualmente in Italia”, e come testimonia anche “l’esperienza di diversi paesi”.
“Anche l’Europa boccia la riforma della giustizia minorile voluta dal Governo italiano”, dichiara Liviana Marelli, referente Infanzia, adolescenza e famiglie del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). “La quasi totalità degli addetti ai lavori, in Italia, lo aveva già fatto da tempo. Cosa aspettano l’esecutivo e il Parlamento a cambiare direzione, riconoscendo che l’abolizione dei Tribunali per i minorenni sarebbe un errore cruciale, di cui pagherebbero il conto, in primo luogo, proprio i bambini, i ragazzi e le loro famiglie? La nostra federazione ha proposto una petizione in merito che ha raccolto, su change.org, quasi 26mila firme: https://www.change.org/p/fermiamo-l-abolizione-dei-tribunali-per-i-minorenni. Ora tocca alle istituzioni assumere decisioni le cui reali implicazioni e conseguenze sono state ampiamente chiarite e argomentate, con tutti gli strumenti e in tutte le sedi possibili.”
Info:
Mariano Bottaccio – Responsabile Ufficio stampa e Comunicazione
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
tel. 06 44230395/44230403 – cell. 329 2928070 - email:
www.cnca.it
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"Anche l'Europa boccia la riforma del processo civile nella parte in cui prevede lo smantellamento del tribunale per i minorenni e della procura minorile. Il rischio che il patrimonio professionale, culturale e il modello di giurisdizione a tutela delle persone di minore età possa essere compromesso, come da me evidenziato in tante occasioni, è condiviso anche in ambito internazionale".
Lo dice l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano, in riferimento alla lettera inviata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muižnieks, al Presidente del Senato, Pietro Grasso, in cui si esprime "preoccupazione" per il progetto di riforma della giustizia civile, attualmente in esame al Senato.
Nella lettera al Presidente Grasso, il Commissario rileva che "il trasferimento delle competenze di tribunali e procuratori dedicati alle persone di minore età ad organismi giudiziari ordinari può portare ad una diluizione della capacità dei giudici e dei procuratori di prestare un'attenzione adeguata e specifica alle esigenze dei bambini", con il "rischio che l'esperienza e la conoscenza sostanziali accumulate in decine di anni dai professionisti della giustizia giovanile in Italia possano in parte essere persi".
Il Commissario sottolinea che l'approvazione del progetto di legge "sarebbe un passo nella direzione sbagliata, considerato che una giustizia a misura di bambino deve essere "accessibile, adatta all'età, veloce, diligente, focalizzata sui bisogni e sui diritti del minore". Tutte condizioni che "sono meglio soddisfatte in un sistema in cui la giustizia viene erogata da professionisti specializzati e con competenze esclusive, come avviene attualmente in Italia", e come anche testimonia "l'esperienza di diversi Paesi", osserva ancora Nils Muižnieks.
"Il Commissario rileva punto per punto le stesse preoccupazioni da me espresse mesi fa – nota la Garante Albano - quando ho rivolto al Parlamento un appello per dire no allo smantellamento del tribunale per i minorenni e della procura minorile e dire invece sì ad una riforma della giustizia a misura di bambino.
In questo momento storico occorre aumentare il sistema di protezione dell'infanzia – conclude Filomena Albano – una questione centrale per il presente e il futuro dell'Italia, anche per la presenza delle nuove sfide rese urgenti dalla situazione di povertà economica e dall'arrivo in Italia di tanti minori migranti".
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Il problema non è l’omosessualità ma l’omofobia
L'Ordine Psicologi ER contro omofobia e transfobia, in occasione della Giornata Internazionale
Come ricordava il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della scorsa Giornata Internazionale contro l'omofobia e la transfobia, "questa giornata offre l'occasione di riflettere sulla centralità della dignità umana e sul diritto di ogni persona di percorrere la vita senza subire discriminazioni". Richiamando una famosa frase di un altro presidente, J. F. Kennedy, si potrebbe anche dire "non chiederti che cosa puoi fare per definire la normalità, chiediti che cosa puoi fare per fermare l'omofobia". L’omosessualità è da considerarsi uno dei tanti aspetti della sessualità umana, così come l’eterosessualità che, pur essendo più diffusa, non è la “norma”. Anche nel mondo animale l’omosessualità è sempre esistita proprio perché si tratta di una delle possibili varianti dell’orientamento sessuale. Da quando è stata derubricata dai manuali di psicopatologia, la ricerca in ambito psicologico e sociale ha iniziato a spostarsi sull’altro fronte, quello dell’omofobia: non ci si chiede più perché una persona è omosessuale, ma perché provi ostilità, paura, disgusto verso l’omosessualità.
Ci sono essenzialmente due dimensioni nell'omofobia, una psicologica e un'altra sociale. Quando il termine "omofobia" è stato coniato nel 1972 dallo psicologo americano Weinberg l'attenzione era più concentrata sugli aspetti psicologici, data appunto la natura di "fobia". In breve è stato chiaro come, alla stregua della xenofobia, l'omofobia è fortemente determinata da fattori sociali, al pari del razzismo e dell'antisemitismo.
L’omofobo, infatti, come il razzista, non ritiene di avere un problema: i suoi pregiudizi si inseriscono in un sistema codificato di credenze diffuso nell'ambito in cui si muove e interagisce.
La descrizione più corretta dell'omofobia, dunque, è quella di fenomeno sociale che può essere individuato all'interno delle ideologie culturali e nelle relazioni inter-gruppo, dove i sentimenti omofobi, gli atti denigratori e i pensieri di disprezzo soggettivi sono indotti da pregiudizi sociali oltre che da fattori personali. Il timore di essere identificato o etichettato come omosessuale può essere un ulteriore fattore scatenante degli atteggiamenti omofobici. È infatti possibile che l'omofobo, esprimendo giudizi o manifestando atteggiamenti antiomosessuali, non solo esterni la propria opinione, ma contemporaneamente segnali al mondo circostante la sua distanza dalla categoria in questione. Vuole così ribadire l'identità eterosessuale che gli è stata assegnata fin dalla nascita, approvata dalla maggioranza della società.
L'omofobia, nella sua dimensione psicologica individuale, si riferisce alle rappresentazioni interne degli stereotipi riferiti alla identità sessuale, dei comportamenti non eterosessuali e dei pregiudizi riferiti alle credenze sulle persone omosessuali. Quando genera malessere può essere un segno di debolezza e fragilità ed è necessario affrontarla: tramite un lavoro profondo su se stessi può infatti essere modificata. L’omofobo, sia maschio che femmina, per recuperare benessere dovrebbe ricercare le motivazioni profonde che lo condizionano negativamente, nei processi di pensiero e di azione, verso le diverse possibili relazioni interpersonali. Se in difficoltà ad affrontare in modo autonomo tale stato di disagio o sofferenza andrebbe accompagnato a farlo con il supporto di uno psicologo, con la rassicurazione che la sua identità non può esserne compromessa.
In questo senso allargato, che comprende sia i processi psicologici individuali che gli elementi sociali e culturali, si potrebbe anche parlare di omonegatività per descrivere il fenomeno discriminatorio. Decenni di studi hanno dimostrato che non è l’omosessualità, ma l’omonegatività, che deve essere curata in quanto malattia socio-culturale antica e radicata: può essere combattuta e nel tempo debellata con l’integrazione, l’informazione, il rispetto e l’educazione sociale al valore delle diversità.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
a cura di Rizoma | Studio Giornalistico Associato | tel. 0510073867
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