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Lunedì 17 luglio, nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro a Roma il Care Leavers Network Italia - prima rete nazionale di ragazzi tra i 16 e 24 anni che vivono o hanno vissuto in comunità, casa-famiglia o affido - ha presentato alla politica, alle istituzioni, alla cittadinanza una serie di “Raccomandazioni” per migliorare il sistema di accoglienza e di uscita dai percorsi di sostegno.
L’iniziativa, dal titolo: “In viaggio verso il nostro futuro. L’accoglienza ‘fuori famiglia’ con gli occhi di chi l’ha vissuta” è stata promossa dall’associazione Agevolando e dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
“Questa conferenza vuole essere solo l’inizio – ha aggiunto Federico Zullo, presidente di Agevolando – di un percorso stabile di interlocuzione dei care leavers con le istituzioni al fine di costruire concrete opportunità per tutti quei giovani che si trovano in situazione di svantaggio”.
Nelle loro raccomandazioni i ragazzi hanno chiesto ascolto, trasparenza e condivisione nelle scelte che li riguardano. Hanno espresso la necessità di ricevere un sostegno per completare gli studi, cercare casa e lavoro, e il desiderio di non essere lasciati soli al compimento della maggiore età, ma di continuare ad avere figure di riferimento. Tra i tanti temi affrontati quello del pregiudizio e dello stigma, che coinvolge da vicino anche i giovani giunti in Italia come “minori stranieri non accompagnati” e i ragazzi di “seconda generazione”. Molto valore è stato dato anche al tema della partecipazione: i ragazzi chiedono di essere protagonisti delle scelte che li riguardano e non semplici spettatori passivi. Non solo parole ma anche musica: i care leavers della Campania hanno presentato per la prima volta il loro rap “Flowers in the concrete“ composto insieme al maestro Tonico 70.
Nell’occasione sono stati presentati da Diletta Mauri (coordinatrice nazionale CLN – Agevolando) e Valerio Belotti (Università di Padova) i risultati di una survey campionaria che ha permesso di raccogliere 190 questionari, risultato di una convenzione tra Agevolando e il Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’Università di Padova. Per ben il 94% dei ragazzi l’esperienza in comunità è stata un’opportunità di cambiamento, addirittura un’ancora di salvezza per l’85% degli intervistati che ha dichiarato di aver costruito in questo contesto i legami più importanti. Tali percorsi non sono però privi di criticità: in particolare per il 53% dei rispondenti il percorso “fuori famiglia” non ha aiutato a migliorare i rapporti con la famiglia di origine e molti ragazzi (il 48%) dichiarano che l’uscita dal percorso di accoglienza non sia stata pianificata in maniera sufficientemente graduale. 1 ragazzo su 5 ha dichiarato di aver smesso di studiare in quanto non aveva le possibilità. Il 53% non ha potuto beneficiare di un percorso di inserimento lavorativo/tirocinio. Nonostante le difficoltà i ragazzi mostrano comunque alti livelli di ottimismo rispetto al futuro: il 67% si augura di potersi riuscire a realizzare nel lavoro in futuro e il 66% di essere autonomo e raggiungere i propri obiettivi.
Presentati anche i primi esiti del lavoro del network nei territori con gli interventi di Luisa Pandolfi – Università di Sassari; Stefania Manca – Regione Sardegna; Daniela Liberati – Comune di Verona; Nicola Perdegnana e Stefania Stanchina – Comune di Trento. Infine anche uno sguardo internazionale con l’esperienza inglese della Care leavers’association rappresentata da Carrie Wilson.
A interagire nella tavola rotonda con i ragazzi numerosi rappresentanti delle istituzioni e della politica, in particolare: Cesare Damiano, Presidente XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato; Elena Ferrara, Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza; Ileana Piazzoni, Deputata, XII Commissione Affari Sociali; Luigi Bobba, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le Politiche Sociali; Gianmario Gazzi, Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti sociali; Maria Francesca Pricoco, Vice presidente Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia; Giovanni Fulvi, portavoce del gruppo #5buoneragioni e presidente CNCM – Coordinamento nazionale comunità per minori; Rodolfo Giorgetti, dirigente di Anpal Servizi.
Scarica e leggi le richieste dei care leavers
Risultati finali dell'indagine campionaria condotta dall'Università di Padova e Agevolando
Sul sito di Agevolando e sulla nostra pagina Facebook tutti i materiali, foto e video.
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L'abbuffata alcolica dei giovani.
L'Ordine degli Psicologi ER su "Heavy Episodic Drinking"
Sono sempre più frequenti i campanelli d'allarme sul rapporto dei giovani con l'alcol. Dalla ricerca dell'Osservatorio Epidemiologico delle Dipendenze Patologiche dell'Azienda Usl di Bologna risulta che, su 390 ragazzi e ragazze felsinei tra i 18 e i 29 anni, l'83% fa un uso estremo di alcol, concentrato in un'occasione (fonte: https://www.ausl.bologna.it/news/archivio-2017/auslnews.2017-04-28.6332422356/). L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna analizza alcuni aspetti del problema, per comprenderlo e individuare i mezzi che possano aiutare ad arginarlo.
Denominato fino a qualche tempo fa "Binge Drinking", recentemente e più propriamente ribattezzato "Heavy Episodic Drinking" (HED), il fenomeno ormai riguarda la stragrande maggioranza degli adolescenti e dei giovani adulti. L'abbuffata alcolica è, infatti, molto comune soprattutto nella fascia di età di passaggio alla maturità, e questo è anche uno dei motivi che la rende pericolosa: le abitudini contratte in questa fase della vita possono perdurare a lungo, con il rischio di sviluppare una dipendenza cronica.
Paradossalmente, la relativa saltuarietà del comportamento legato alle abbuffate alcoliche è un aspetto che può aumentarne la pericolosità. Perché, dato l'uso non quotidiano - ma eccessivo - di alcol, i giovani tendono ad autogiustificare il proprio atteggiamento, considerandolo, appunto, occasionale e di poco conto. Tendenzialmente, l'abuso di alcol si concentra nei fine settimana e nei contesti di svago (discoteche, feste, pub e simili), ma benché non sia un consumo regolare può comunque diventare cronico col tempo. Anche se socialmente accettato e di fatto parte della cultura occidentale, ricoprendo una funzione di socializzazione e di celebrazione di molte cerimonie sociali, l'alcol resta una droga, con un effetto psicoattivo che può provocare assuefazione e dipendenza.
Inoltre, anche senza degenerare in alcolismo vero e proprio, l’Heavy Episodic Drinking ripetuto può avere comunque conseguenze psicologiche e sociali. Lo stato di alterazione portato da un'abbuffata alcolica può causare una difficoltà nel gestire gli impulsi e le relazioni affettive, familiari e sessuali. Ansia e tendenza alla depressione e all'aggressività sono alcuni possibili sintomi: diviene difficile governare la rabbia. I problemi aumentano dove ci siano particolari situazioni di fragilità, con una condizione psicopatologica preesistente che può peggiorare se le viene affiancato l'alcol.
Il desiderio di apparire più adulto, come con le sigarette, è spesso uno dei motivi che spinge un adolescente all’abuso di alcol, nel tentativo di tamponare l’angoscia che deriva da una ancora acerba identità che richiede tempi lunghi per essere raggiunta. Al contempo, c'è un elemento di trasgressione, di ricerca di indipendenza come strumento per il rafforzamento dell'identità personale. In questo ha un peso notevole il bisogno di accettazione da parte dei propri pari: un comportamento è evidentemente più affascinante se permette di essere riconosciuto dal gruppo dei coetanei. A queste bisogna anche aggiungere le situazioni di malessere soggettivo come le difficoltà psicologiche a relazionarsi con gli altri, la paura di non essere all’altezza delle aspettative, la noia, la sensazione cronica di vuoto, l'angoscia dell'isolamento e tutte le altre problematiche che possono portare all'alcol come facile - e illusoria - via d'uscita.
La prevenzione all'abuso di alcol si può effettuare rinforzando le difese naturali dei ragazzi, la loro resilienza, l'autostima e la capacità di autoregolazione, per capire quando è il momento di fermarsi. Per modificare gli atteggiamenti e i comportamenti dei giovani non è sufficiente la sola sensibilizzazione sull’argomento. È fondamentale trasmettere abilità relazionali e sociali, con modalità di apprendimento interattivo e cooperativo. Una delle risposte a questo e altri disagi giovanili è l'inclusione: lo sviluppo di attività cooperative e partecipative, nella scuola e negli altri luoghi di aggregazione, non solo è uno degli antidoti migliori alla solitudine, che spesso nasce dalle difficoltà relazionali, ma anche è un importante fattore che consente la costruzione di una identità matura.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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L'intervento di Luciano Trovato, Presidente del TM di Catanzaro
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A law which would effectively abolish Italy’s system of youth courts has been roundly criticised by human rights experts, NGOs and more than 26,000 people online. The new legislation, proposed by Italian Minister of Justice, Andrea Orlando, would fold the specialised juvenile justice system into the adult justice system, undoing the progress Italy has made towards treating children fairly in court.
Since the International Association of Youth and Family Judges and Magistrates (IAYFJM) first drew attention to the law earlier this year many academics, magistrates and NGOs in Italy have moved to oppose it, with nearly 400 experts signing onto an open letter, and tens of thousands of people later signing an online petition aimed at saving the youth justice system.
UNICEF Italy, Defence for Children International and Terre des hommes are among those expressing their concerns about the move, and Nils Muižnieks, the Council of Europe’s Commissioner for Human Rights, also wrote to the President of the Italian Senate in May to say that Italy would be taking “a step in the wrong direction” if it passed the new law.
The Commissioner noted that transferring the competencies of dedicated juvenile courts and prosecutors to ordinary judicial bodies would likely lead to a system of judges and prosecutors less adequately equipped to pay attention to children’s specific needs and best interests.
To sign the petition and help stop the abolition of Italy’s youth courts, click here.
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L'Ordine degli Psicologi ER analizza il fenomeno dell'ansia da esame e dà alcuni consigli
Chiuso l'anno scolastico ordinario, per gli studenti dell'ultimo anno delle superiori è il momento dei bilanci, e degli esami. L'esame per eccellenza, quello di maturità. Sono tanti gli studenti che a ridosso del momento della valutazione si fanno prendere dall'ansia, per varie ragioni. Dalle aspettative dei genitori all'importanza del passaggio all'età adulta, dal timore per il futuro al sentire l'esame non solo come una prova sulla preparazione, ma anche come giudizio sulla persona. L'aspetto tranquillizzante è che una certa dose di ansia è normale e, fino a un certo punto, anche positiva.
Spesso associata a segnali come attenzione fluttuante, sensazione di "testa vuota", timore di non ricordare nulla di quanto studiato, l'ansia è in realtà fisiologica e necessaria per stimolare lo studio. Altre manifestazioni possono essere paura, senso d'inadeguatezza, irascibilità, cefalea, disturbi gastrointestinali, ecc. In modo simile a quanto accade nello sport, serve per spingere a dare il massimo. Superata una certa soglia, però, non ha più la funzione di stimolo: può trasformarsi in ostacolo, compromettendo le performance dello studente e l’esito stesso dell’esame. Il passaggio da una normale ansia a una patologica è questione di grado: l’intensità, la frequenza e la durata temporale della sintomatologia sono gli elementi che ne definiscono la gravità, se aumentano eccessivamente possono far sfociare una comune ansia prestazionale in uno stato psicopatologico che va curato con l’aiuto di uno specialista.
Le cause dell'ansia possono essere varie. Ad esempio, il metodo di valutazione - che fa dipendere il voto finale in buona parte dai risultati delle prove d'esame e solo in minima parte dalla carriera scolastica - può stimolare emozioni forti e reazioni ansiose anche negli studenti più preparati. Anzi, a volte questi sono proprio i più colpiti dall'ansia, perché hanno di più da perdere.
Oltre all'aspetto del superamento dell’esame, ci sono altre componenti. Il voto, ad esempio, può essere determinante, rischiando di essere percepito come una valutazione di se stessi in senso più ampio, l’espressione del proprio valore come persona adulta. L'angoscia è causata dall'immaginare che un cattivo risultato possa far perdere la stima dei genitori e degli amici. Ecco che alla complessità psicologica di questa situazione si aggiungono spesso le aspettative deigenitori, che caricano di importanza la maturità, vivendo l'esito dell’esame come un giudizio sulla loro adeguatezza genitoriale.
L'esame di maturità è una tappa fondamentale che sancisce il passaggio allo stadio adulto: spesso coincide non solo con il raggiungimento della maggiore età, ma anche con la necessità di organizzare in autonomia e responsabilità la propria vita. Rappresenta non solo la fine della scuola e la verifica di quanto si è studiato, ma anche un profondo cambiamento dell’esistenza, con conseguente coinvolgimento emotivo molto rilevante, assumendo così significato sia psicologico che sociale. Si può avvertire il peso della responsabilità, sia di dover fare una scelta per impostare e affrontare il proprio futuro – entrare all’università o nel mondo del lavoro – sia, e soprattutto, di dover sostenere in autonomia le conseguenze delle proprie decisioni.
Per aiutare e rassicurare i ragazzi è essenziale il ruolo della famiglia, che deve essere consapevole della rilevanza del momento per lo sviluppo dell’indipendenza nei figli. I genitori dovrebbero riconoscere le capacità decisionali dei figli lasciando loro la giusta autonomia, assicurando nel contempo sostegno e vicinanza senza essere iperprotettivi. I ragazzi sanno quanto si sono impegnati nello studio e i genitori dovrebbero prenderne atto senza sovraccaricare di responsabilità e aspettative i maturandi con raccomandazioni e rimproveri che rischiano di accrescere inutilmente la tensione.
È importante supportarli e far capire che il voto che prenderanno non condizionerà la loro vita e che, soprattutto, non si tratta di un giudizio di valore sulla persona. Ciò che conta nella relazione è essere presenti con atteggiamento accogliente e capacità di ascolto, disponibile al dialogo e all'aiuto concreto, dando la giusta importanza all’avvenimento.
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Torino, 5 giugno 2017. La vicenda di cronaca è nota a tutti: pochi giorni fa, a Settimo Torinese, un neonato è stato gettato ed abbandonato per strada morendo poco dopo il ritrovamento, nonostante ogni tentativo di rianimazione.
Questo episodio ha destato sgomento ed incredulità in chi non si era accorto di nulla ma ha anche innescato - in un tentativo forse comprensibile di allontanare l’evento da se stessi - un processo denigratorio da parte di quanti ritengono come unica responsabile la donna, indubbiamente carnefice, ma altrettanto indubbiamente vittima di solitudine e di disperazione.
“Non è la compassione - spiega Barbara Rosina, Presidente degli Assistenti Sociali del Piemonte - a guidarci nella consapevolezza che la donna, almeno nei nove mesi di gestazione, avrebbe potuto – anzi, dovuto - essere aiutata con quel supporto che probabilmente avrebbe evitato che il gesto si compiesse, facendoci tutti diventare spettatori inermi di fronte alla tragedia umana. Serve interrogarci su quali e quanti segnali di sofferenza possiamo aver ignorato, frainteso e negato”.