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Pochi giorni fa, sono stati presentati i risultati dell’Indice regionale sul maltrattamento dell’infanzia in Italia. E la Regione Piemonte ne è uscita sommariamente bene, attestandosi tra i primi dieci nella classifica per capacità di prevenzione e contrasto del fenomeno.
Nonostante i risultati parzialmente positivi, Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) non perde occasione di lanciare un appello alla politica regionale, a quella locale e agli amministratori impegnati nei vari enti gestori delle funzioni socio-assistenziali ma anche ai genitori, agli insegnanti, alle realtà associative regionali.
“Lo studio, – afferma Rosina – validato da un Comitato Scientifico composto anche da Gianmario Gazzi (Presidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali) e Donata Bianchi (Istituto degli Innocenti), ci conferma quanto si possa fare meglio e in modo più efficace. Ben otto Regioni dimostrano di fornire risposte migliori, rispetto alla media, e di riuscire a garantire una vita più tranquilla e felice ai bambini”.
L’indice aggregato è il risultante di 65 indicatori statistici selezionati, in grado di offrire un panorama completo di elementi di contesto e altri relativi alle politiche e ai servizi. Ne sono emerse situazioni regionali che presentano condizioni migliori/ peggiori rispetto alla vulnerabilità al maltrattamento dei bambini/e e la capacità/sensibilità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare questa problematica attraverso le politiche e i servizi.
“Il Piemonte - aggiunge Rosina - si attesta tra le Regioni incluse nel gruppo dei virtuosi, ma al confine con quello successivo definibile degli “stabili”. Alcuni indicatori ci dicono che talune aree sarebbero da monitorare più di altre. Ad esempio, risultiamo 19° - in penultima posizione - nella capacità di vivere una vita sicura. Qui ci si riferisce ai servizi esistenti per i potenziali maltrattanti e per le donne vittime di violenza. Il Piemonte, inoltre, è 20° sia per il tasso di dimissioni per disturbi psichici che per numero dei pediatri, mentre è 10° per numerosità dei consultori.”
“Come ricordato dal CESVI, che riporta puntualmente lo studio 2013 “Tagliare sui Bambini è davvero un risparmio?”, il costo dei maltrattamenti sui bambini/e si stima a circa 13,056 miliardi di euro annui, ossia lo 0,84% del PIL. I costi diretti ammontano a 338,6 milioni di euro, mentre i costi indiretti a 12,7 miliardi di euro. I nuovi casi di maltrattamento costano all’Italia ben 910 milioni di euro all’anno. Fare prevenzione è l’unica via certa, quindi, per ridurre il costo pubblico e soprattutto per far sì che i bambini (i futuri adulti) non debbano sopportare sulla propria pelle le gravissime conseguenze personali, relazionali e sociali del maltrattamento”.
“Ci sentiamo alleati dei genitori, - conclude Rosina - degli insegnanti, delle associazioni nella loro e nostra battaglia per la salvaguardia del benessere e la tutela dei diritti dei più piccoli! Lo studio evidenzia che "ulteriori fattori di rischio riguardano la capacità di vivere la propria vita in un contesto sociale sicuro. Uno scarso capitale sociale e l’isolamento sociale dei genitori sono variabili particolarmente significative in questo senso". Riteniamo anche per questo indifferibile un lavoro con le realtà associative, i cittadini e i professionisti impegnati a contrastare il maltrattamento verso i minori in un'ottica preventiva, di riduzione dei fattori di rischio, di miglioramento delle relazioni interpersonali, della capacità di accompagnare persone in difficoltà ai servizi."
Carmela Francesca Longobardi - Consigliere CROAS Piemonte / addetto stampa Torino
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In occasione della “Giornata internazionale per i bambini innocenti vittime di aggressioni”, celebrata il 4 giugno di ogni anno, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna pone l’attenzione su una forma di maltrattamento molto grave ma spesso sottovalutata, quella subita dai giovani testimoni delle violenze domestiche. La violenza intrafamiliare travolge inevitabilmente i figli, anche quando questi non sono direttamente oggetto della violenza.
L'esperienza del maltrattamento, fisico o psicologico, subito da altri - spesso la madre, ma non solo -, ha conseguenze notevoli. Anche quando bambini e adolescenti non assistono direttamente alla violenza, ne percepiscono gli effetti: vengono investiti dai pensieri e dalle emozioni della vittima e dell’aggressore, che sono le figure di riferimento affettivo ed educativo primario.
In alcuni casi, nemmeno la separazione dei genitori è sufficiente per eliminare il problema: capita che i figli vengano strumentalizzati nei conflitti. Si va dalle situazioni - purtroppo comuni - in cui un genitore tenta di trasmettere l'odio per l'ex-compagno o ex-compagna anche ai ragazzi, a quelle più estreme che possono degenerare in omicidi, con l'enorme trauma che ne consegue.
"Anche nelle situazioni meno estreme, la violenza assistita è a tutti gli effetti una forma di maltrattamento psicologico e comporta conseguenze a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale con stati di profonda sofferenza psicologica che si possono protrarre anche nella vita adulta. L’aspetto più pericoloso è che da essa i bambini imparano la normalità della violenza: l’affetto può essere associato alla sopraffazione, all’offesa, all’aggressione, apprendendo la legittimità della violenza", commenta Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
La violenza domestica interferisce sulla relazione genitori-figli, snaturando la genitorialità e le capacità educative-relazionali sia della madre che del padre, con gravi ricadute sui bambini e ragazzi. Nei rapporti familiari alterati viene compromessa la “base sicura” che dovrebbe essere garantita da una adeguata genitorialità, e il figlio rischia di vivere in uno stato di costante angoscia e profondo malessere.
La convivenza per tempi medi o lunghi con situazioni di maltrattamento psicologico o fisico può provocare nelle vittime - dirette e indirette - una condizione di destrutturazione psicologica e di grande sofferenza in cui i confini tra giusto e sbagliato, legittimo e illegittimo, diventano labili, con alterazione della capacità di pensiero e di scelta autonoma.
Lo stato emotivo dei ragazzi che assistono alle violenze può essere connotato da ansia, fobie e problemi psicofisici vari tipici del disturbo post-traumatico da stress. Occorre monitorarne i segnali di disagio (tra cui, ad esempio, disturbi del sonno, irritabilità e cefalee) per verificarne tempestivamente l’origine e tutelare i minori, anche con interventi mirati di tipo psicoterapeutico.
Purtroppo nelle situazioni di violenza psicologica intrafamiliare può essere molto difficile per il genitore vittima riconoscere i danni causati anche ai figli, in particolare se tale violenza è negata, non riconosciuta o sottovalutata da chi la subisce, come spesso accade quando si stabilisce come modalità relazionale prevalente all’interno della coppia o della famiglia.
È quindi fondamentale che i professionisti che entrano in contatto con bambini e adolescenti - come pediatri, insegnanti ed educatori - sappiano “captare” i segnali di disagio e i comportamenti inusuali che possono essere spia di un malessere, inviandoli a psicologi e psicoterapeuti competenti nell’età dello sviluppo per una valutazione approfondita. Anche gli altri adulti di riferimento non devono sottovalutare i rischi che la violenza assistita può causare nei ragazzi, cercando di intervenire precocemente, eventualmente chiedendo un supporto specialistico.
Per queste ragioni è di primaria importanza che gli operatori del settore siano specificamente formati per intercettare e riconoscere tali situazioni anche quando la richiesta di aiuto è mascherata da altre motivazioni o perviene su segnalazione di terzi.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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Sui giovani delle ultime generazioni è stato detto di tutto: sono stati definiti bamboccioni e indolenti, sono stati accusati di essere incapaci di giungere all’indipendenza, economica e di vita, cominciando dallo staccarsi dalla famiglia d'origine. L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna, però, vuole evidenziare un aspetto spesso sottovalutato: non si è tenuto conto della reale prospettiva esistenziale che queste ragazze e questi ragazzi si trovano ad affrontare. Gli effetti, soprattutto psicologici, che si determinano quando un individuo non intravede un futuro per sé e per la propria giovane famiglia.
Vengono a cavallo della rivoluzione digitale, sono la generazione dei nati tra l'80 e il 2000, quelli che vengono chiamati Millennial: la loro epoca doveva essere quella del consolidamento economico e del benessere diffuso, e invece è stata quella della peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione, il cui leitmotiv sembra essere la mancanza di certezze.
"Il mondo del lavoro attualmente offre poco, ma esige comunque molto in cambio. Quel che bisogna chiarire è che una condizione di precariato lavorativo non rende instabile solo la situazione economica, ma mina anche lo stato psicologico delle persone. Perché non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di 'adolescenza sospesa'. I giovani si trovano a volte in condizioni comparabili all'indigenza, con conseguenti frustrazione e perdita dell'identità sociale; quasi sempre, quando hanno un lavoro, sono comunque sottopagati. Tutto ciò crea incertezza anche a livello delle proprie capacità e competenze, abbassando la stima di sé", commenta Anna Ancona, Presidente dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
"La difficoltà di realizzarsi nel lavoro può causare un senso di impotenza e disorientare, bloccare, determinando significative ricadute in ambito affettivo-relazionale. La persona può rimanere immobilizzata nel presente e in continua negoziazione con le emergenze quotidiane, incapace di proiettarsi in un futuro esistenziale soddisfacente. Dover cercare e cambiare spesso lavoro, inoltre, può significare anche trasferirsi in luoghi diversi e abituarsi a nuovi contesti, con la necessità di ricostruire continuamente non solo le proprie abitudini, i punti di riferimento che per molte persone hanno un ruolo importante nel dare solidità, ma anche i propri legami", aggiunge Elisabetta Manfredini, Vicepresidente dell’Ordine.
Una sensazione diffusa tra i giovani precari è la costante preoccupazione per il domani, una preoccupazione che a lungo andare può avere anche conseguenze fisiche, associata a un quadro di sofferenza psicologica. Disagio e demotivazione procurati dalla precarietà di lavoro possono comportare vissuti di inadeguatezza, depressione e stati d’ansia o panico accompagnati da una sintomatologia psicosomatica.
Nonostante questo contesto di instabilità, molte persone possono comunque reagire all’incertezza cercando di gestire autonomamente la situazione di crisi, utilizzando al meglio le proprie competenze, conoscenze, abilità relazionali, cercando anche appoggio quando necessario. La capacità di far fronte in maniera positiva alla precarietà, di riorganizzarsi quando ci si trova in difficoltà, riporta al concetto psicologico di resilienza. La resilienza è una risorsa che permette di reagire alle sfide esistenziali, anche mantenendo un'apertura nei confronti delle possibili opportunità che si incontrano, andando avanti nonostante le frustrazioni. È una risorsa che tutte le persone possono acquisire e incrementare, anche con interventi di sostegno psicologico mirati.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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4 aprile, Torino. L’Ordine degli Assistenti Sociali del Piemonte apprende con forte preoccupazione il caso delle minorenni avviate alla prostituzione. La lettura delle varie testimonianze diffuse sui mezzi d’informazione provoca sconcerto e senso di impotenza per aver lasciato sole delle ragazze neppure maggiorenni.
«È la società tutta - afferma Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) - a doversi sentire responsabile di quanto accaduto. Desta forte scoramento il dilagare di una cultura e di una pratica del malaffare che avvicina minorenni con una realtà svilente e delinquenziale. I segnali, seppur deboli o celati, devono essere colti dai punti di riferimento adulti, come le figure genitoriali, gli educatori, gli insegnanti, il sistema dei servizi di cui gli assistenti sociali fanno parte. Non possono però voltare lo sguardo anche gli attori del dintorno: i vicini di casa, il panetterie all’angolo, gli amici virtuali e così via».
«Occorre investire - sottolinea Rosina - sul supporto e potenziamento delle capacità genitoriali. Il “sostegno alla genitorialità” deve diventare oggi una parola d’ordine per i decisori politici e per gli operatori del sistema di welfare, non solo per le situazioni di disagio ma anche nella normalità, consapevoli che il presente è caratterizzato da un alto grado di complessità».
«Il ruolo dei social network - dice ancora Rosina - non è marginale. È noto da anni che siano la nuova frontiera della prostituzione minorile. E il “diritto all’oblio”, come ha ricordato il Presidente Gazzi già nel 2016, è essenziale per un minorenne che non dovrebbe subire per sempre la presenza di tracce collegate al suo passato. Si tratta di un diritto rilevante in particolare per i minorenni che possono non essere pienamente consapevoli dei rischi derivanti dal trattamento dei contenuti pubblicati. Come sta avvenendo in alcuni territori della Regione, serve dedicare spazio alla formazione per genitori e figli, adulti e persone di minore età, su un uso corretto dei new media, al fine di diminuire il digital divide generazionale ed i rischi connessi ad un utilizzo inconsapevole»
Carmela, Francesca Longobardi – Consigliere CROAS Piemonte / addetto stampa Torino
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Il 2 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell'Autismo, un disturbo del neurosviluppo che può sconvolgere la vita delle persone che ne sono affette e delle loro famiglie. La diagnosi di autismo può essere vissuta dai genitori come una rottura che frantuma il naturale svolgersi della vita. Comune è il percorso a ostacoli che devono affrontare tutti coloro che ne sono coinvolti durante la loro esistenza: coraggio, perseveranza, fiducia sono necessarie per far fronte alla complessità della quotidianità. È quindi molto importante che vengano adeguatamente sostenuti da professionisti qualificati, affinché non si abbandonino allo sconforto.
La comunicazione della diagnosi ai genitori rappresenta un momento critico nel quale la coppia genitoriale può arrivare a sperimentare un vissuto equiparabile a quello del lutto di un figlio. È quindi necessario che le figure professionali coinvolte sappiano comunicare la diagnosi in maniera chiara, esplicita ma al contempo sensibile, affinché le reazioni negative e i livelli di stress genitoriali possano essere in parte contenuti. Tramite un intervento psicologico mirato è possibile promuovere le capacità resilienti che molti genitori sono in grado di attivare per far fronte alla notizia di disabilità. L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna vuole anche sottolineare che diagnosticare precocemente una forma di autismo può essere di grande importanza per interventi tempestivi capaci di limitarne gli effetti ed evitare che emergano ulteriori complicazioni psicologiche.
Non tutte le forme di autismo sono uguali: possono avere una varietà di manifestazioni anche molto diverse tra loro e per tale ragione vengono definite dal DSM-5 – il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – disturbi dello spettro dell’autismo. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale, alle capacità espressive, alla cura di sé, al comportamento. Si configura come una disabilità permanente che accompagna la persona nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale possono assumere un’espressività variabile nel tempo. Tale disturbo può accompagnarsi a ritardo mentale, con una compromissione intellettiva più o meno grave, o al contrario a uno sviluppo intellettivo normale. Esempi significativi di quest’ultima condizione sono le persone con autismo ad “alto funzionamento”, disordine conosciuto come “Sindrome di Asperger”, che presentano spesso alte potenzialità intellettive e a volte veri e propri talenti in alcuni specifici campi.
Tuttavia, anche se alcune persone con autismo possono arrivare a condurre una vita normale o quasi normale, solo una piccola percentuale di soggetti con autismo (15-20%) è in grado di vivere autonomamente e lavorare. Tutti, però, devono essere messi nelle condizioni di conquistare quelle abilità e competenze che permettono di realizzarsi, nella misura in cui ciò è fattibile. I giovani adulti con autismo hanno bisogno - per costruire, anche aiutati, il proprio progetto di vita - di uscire dall’ambito familiare, in cui rischiano di rimanere intrappolati. Dove sia possibile, è importante che entrino nel mondo del lavoro, cosa che li aiuterebbe a integrarsi maggiormente nella società.
Il raggiungimento della vita autonoma, quando possibile, può essere una fase particolarmente critica che lo psicologo, insieme all’équipe formata dai diversi professionisti coinvolti nel progetto di vita, deve sostenere attentamente, supportando sia la persona che la sua famiglia. Una profonda conoscenza della specificità della persona con autismo permette di evitare involontari errori relazionali o educativi che potrebbero favorire comportamenti problematici o stati di disperazione e angoscia che possono poi rendere difficile la sua inclusione sociale. Un'appropriata valutazione psicologica nel tempo, che tenga conto della persona nelle sue peculiarità funzionali e delle naturali evoluzioni, permette di elaborare un progetto terapeutico, con il coinvolgimento e il supporto della famiglia, rispondente ai suoi reali bisogni.
La prospettiva di un futuro dignitoso per il figlio, in una propria abitazione ma anche in istituzioni accoglienti e stimolanti, costituisce per i genitori una garanzia che può dare continuità alle esperienze e ai processi di inclusione che vengono promossi fin dall’infanzia e che rischiano di essere vanificati con la conclusione del percorso scolastico. Proprio la famiglia, se adeguatamente supportata, è una risorsa indispensabile alla costruzione di un progetto di vita il più autonomo possibile della persona con autismo. Come prevedono gli obiettivi della legge n. 112/2016 cosiddetta “Dopo di Noi”, la persona con autismo, avendo già vissuto un’esperienza di vita anche fuori dalla famiglia, potrà affrontare la morte dei propri genitori in modo meno traumatico.
È fondamentale, comunque, la diffusione della cultura del rispetto e dell’accoglienza: le leggi sono importanti ma non sufficienti. Va superata quella visione della persona con disabilità che insiste sulle mancanze, per sostituirla con quella che punta piuttosto sull’unicità e le abilità dell'individuo.
In questa direzione ha lavorato il gruppo tematico sull’autismo istituito dall’Ordine che ha realizzato delle cartoline – reperibili sul sito dell’Ordine al seguente link https://www.ordpsicologier.it/home.php?Lang=it&Item=cartolinematteo – che raccontano la storia di un ragazzo immaginario con autismo, Matteo, al fine di sensibilizzare e promuovere una corretta visione dei bisogni, attuali e futuri, delle persone con autismo.
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Torino, 19 marzo 2018. Si celebra domani martedì 20 la Giornata mondiale del Servizio sociale con l’obiettivo di riflettere sul ruolo del Servizio sociale nella promozione del benessere sociale anche attraverso azioni di stimolo e produzione di contributi scientifici utili alle scelte politiche nazionali e locali.
La Giornata è promossa dall’Associazione Internazionale delle Scuole di Servizio Sociale (IASSW), dal Consiglio Internazionale del Social Welfare (ICSW) e dalla Federazione internazionale degli assistenti sociali (IFSW).
Il Consiglio regionale dell’Ordine degli assistenti sociali ha organizzato un'iniziativa in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino e l’Università del Piemonte Orientale e con il patrocinio del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali e della Società italiana di Servizio Sociale (SOCISS). La Giornata avrà luogo nella storica e prestigiosa cornice del Teatro Alfieri e vedrà la partecipazione di oltre 1400 Assistenti Sociali piemontesi.
Il titolo scelto è “Povertà e servizio sociale. Ne parliamo ancora!”, con un punto esclamativo per evidenziare ai media, alla politica, alle istituzioni, alle professioni e ai cittadini l'attualità e la rilevanza di un fenomeno multisfaccettato e complesso quale la povertà che deve essere affrontato con azioni condivise di contrasto.
«I dati allarmanti di uno studio di Censis e Confcooperative diffuso pochi giorni fa - afferma Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte) - ci restituiscono un Paese con sempre più poveri. Tra 30 anni, molti millenials di oggi lo saranno. Si tratta di 5,7 milioni di poveri potenziali, ossia circa 3 milioni di Neet, giovani tra i 18 e 35 anni che non studiano né lavorano e 2,7 milioni di lavoratori precari e woorking poor».
“Come emerge da uno studio di Marilena Dellavalle, docente di Servizio Sociale all'Università di Torino, il Servizio Sociale - dice ancora Rosina - sin dalle sue origini si occupa della povertà. Occorre oggi una rinnovata attenzione alla capacità di cogliere la profondità della dimensione sociale dei problemi ed il potenziale oppressivo o escludente di determinate strutture e pratiche. La professione di Assistente Sociale, che si fonda sull’affermazione dei principi di giustizia ed equità sociale, non può esimersi dall’assumere una posizione rispetto alle trasformazioni sociali in atto, ritrovando la capacità di indignazione civica”.
“La povertà - ricorda - cambia, come il significato che se ne attribuisce, i profili, le caratteristiche. Gli Assistenti Sociali hanno un ruolo di primo piano come osservatori delle trasformazioni in atto. E sono i professionisti che più di altri possono valutare il grado di efficacia delle misure vigenti».
«Sul tema della povertà, l’Ordine nazionale e l'Ordine regionale da qualche anno hanno assunto un ruolo attivo e di dialogo con la politica portando competenze e saperi teorici e scientifici del Servizio Sociale anche nei tavoli di lavoro istituzionali».
Ai lavori della Giornata - in considerazione della multidimensionalità del fenomeno, dei diversi attori che devono essere coinvolti, della necessità che su tale ambito, strategico e centrale, sia necessario uno sforzo comune di riflessione ed azione - contribuiranno gli assessori regionali Augusto Ferrari (Politiche sociali) e Antonio Saitta (Sanità), studiosi delle Università di Torino (Sandro Busso e Marilena Dellavalle) e del Piemonte Orientale (Maria Luisa Bianco, Chiara Bertone, Elisabetta Grande), Assistenti Sociali piemontesi (Gaetano Baldacci, Deborah Attene, Sabrina Merlin e Giovanna Muscatello); Mila Spicola del DIPE (Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica – Presidenza del Consiglio dei Ministri), Tiziana Ciampolini (Direttore Osservatorio Caritas), Giuseppe Faro (Presidente di FeDerSerD Piemonte e Valle d'Aosta).
Gianmario Gazzi (Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali), che sarà presente alla Giornata, sottolinea come “i dati resi da Bankitalia sul livello raggiunto nel nostro Paese dalla povertà sono molto preoccupanti. Uniti a quelli che mostrano l’ulteriore espandersi di una diseguaglianza ormai strutturale tracciano un quadro complessivo assolutamente inaccettabile. I dati di Via Nazionale mostrano come bene abbia fatto il Governo a varare le misure che costituiscono il reddito di inclusione ma mostrano anche che è necessario rafforzare maggiormente quelle misure i cui effetti positivi, però, si potranno percepire solo tra alcuni mesi”.
«É inaccettabile - dice ancora Gazzi - che chi già ora è in condizione di povertà, o rischi di esservi trascinato, veda aumentare la probabilità di diventare povero mentre chi è ricco abbia la concreta possibilità di diventarlo ancora di più: una situazione intollerabile per un Paese che voglia dirsi civile”.
«Agire nella direzione di un rafforzamento dei servizi - conclude il presidente degli assistenti sociali italiani - è ineludibile e indifferibile dopo decenni in cui gli investimenti si sono progressivamente ridotti fino a quasi azzerarsi, le strutture sono state quasi completamente svuotate dal blocco del turn over e da una esternalizzazione indiscriminata».
«Non ultimo motivo di interesse nella scelta del tema della celebrazione piemontese della Giornata mondiale del servizio sociale - conclude Rosina - è legato al risultato delle recenti elezioni che hanno portato alla nostra attenzione un mutato scenario politico con il quale confrontarsi come professionisti e come cittadini. Il Consiglio dell’Ordine regionale degli assistenti sociali ha tra gli obiettivi del suo mandato quello di partecipare alla costruzione di alleanze e percorsi comuni che consentano ai professionisti Assistenti Sociali di individuare percorsi e strumenti che consentano a loro stessi ed ai cittadini di cui sono portavoce di affrontare la complessità e le difficoltà caratteristiche di questo periodo della vita del nostro Paese».
Carmela, Francesca Longobardi – Consigliere CROAS Piemonte/ addetto stampa Torino Tel: 333.4896751
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Il Giorno della Memoria venne istituito in Italia per ricordare non solo le vittime ma anche tutti coloro che sono andati in soccorso degli ebrei rischiando la vita propria e dei propri familiari, quelli che sono anche noti come i "Giusti". L'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna desidera ricordare anche il bene delle loro azioni e spiegare le ragioni psicologiche profonde che ne hanno motivato la condotta. Commemorarli significa testimoniare il bene che riesce a emergere dalla tragedia umana, cosa che permette di non venire atterriti dalla memoria del male assoluto. In questo senso l’istituzione di una celebrazione ad hoc per il 6 marzo di ogni anno, la Giornata europea dei Giusti, è un importante riconoscimento; tale giornata estende il concetto a tutti coloro che hanno mostrato la capacità di opporsi ai crimini contro la persona anche in altre circostanze drammatiche come genocidi e totalitarismi.
Studi nell'ambito della psicologia e della sociologia, come quelli effettuati dal sociologo Samuel Oliner e dagli psicologi Daniel Batson e Steven Baum, hanno analizzato dal punto di vista psicologico le motivazioni che indussero i Giusti a rischiare tutto per cercare di salvare la vita di persone sconosciute. Più in generale, le loro ricerche erano incentrate sulle cause che possono spingere le persone alla generosità e all’altruismo. Si è cercato di arrivare a un "comune denominatore" tra caratteristiche personali e psicologiche che avevano caratterizzato le loro azioni, per comprendere se tali qualità umane potessero essere promosse nelle persone, per promuovere un effettivo avanzamento sociale.
La capacità di affrontare un'autorità perversa, secondo Baum, si ottiene dall’essere “emozionalmente sviluppati”, dall’aver raggiunto una maturità psicologica che permetta la formazione di una identità personale equilibrata, in grado di contrapporsi all’identità sociale prevalente. Di particolare importanza per raggiungere il traguardo, l'avere un’esperienza relazionale con persone appartenenti a diverse etnie, estrazioni sociali e culture. Più ci si basa su opinioni e categorizzazioni precostituite, trasmesse in modo acritico, e non sulla conoscenza diretta, maggiore è il rischio di annullare l’umanità della persona, affermando la propria identità a scapito dell’altro.
Come elemento fondamentale di un atteggiamento altruistico è stata individuata la relazione affettivo-educativa sperimentata nell’infanzia. Una relazione educativa familiare equilibrata, che sostenga l’importanza del rispetto di se stessi e dell’altro, unita a una formazione scolastica che facilita un'esperienza partecipativa, può far crescere nelle persone il senso critico. Le può abituare ad analizzare la realtà autonomamente, senza farsi condizionare dal pensiero dominante dell’autorità costituita.
La presenza nella formazione dell’individuo di elementi di apertura e antirazzisti permette che i sentimenti di empatia, solidarietà e giustizia vengano naturalmente introiettati, tanto è vero che la maggior parte dei Giusti motivava le azioni compiute semplicemente come ciò che andava fatto in quel particolare frangente, non come atti eroici. La capacità di prendersi cura, infatti, di mettersi al posto dell’altro, non è un semplice atto di altruismo, perché salvaguarda l’integrità e la coerenza della propria percezione di sé come persona. Viene rifiutato così il processo psicologico di disumanizzazione di cui è vittima, anche in parte inconsapevolmente, il persecutore.
Mettere al centro del Giorno della Memoria e dell’azione formativa ed educativa i principi su cui si è basata l’azione dei Giusti comunica la volontà di dare un significato umano e psicologico alle parole "responsabilità", "dignità", "apertura" e "libertà". Il ricordo del passato anche nella sua tragicità trova così il suo compimento e il suo scopo nel futuro.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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