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Cinque principi per rimettere al centro
il diritto dei bambini a crescere in famiglia
L’Assemblea del Tavolo, riunitasi a Milano il 25 ottobre 2019, esprime grande preoccupazione in merito al clima di sfiducia che va diffondendosi nei confronti dell’istituto dell’affidamento familiare, stimolato dal costante martellamento mediatico e da alcune iniziative istituzionali (al livello nazionale e locale) seguite ai recenti fatti di cronaca.
Il Tavolo Nazionale Affido, ribadisce la ferma condanna di ogni eventuale comportamento illecito perpetrato ai danni di persone vulnerabili, specie se minori di età, e la necessità di una compiuta applicazione delle norme inerenti il diritto dei minorenni a crescere in famiglia.
Si teme un arretramento della capacità del sistema di welfare italiano, pubblico e privato, di tutelare e promuovere il benessere di bambini, ragazzi e famiglie L’indebolimento e l’arretramento di tale sistema mette a rischio il benessere, la crescita e i diritti di chi si vuole tutelare, primi fra tutti i minorenni e poi le famiglie (di origine, affidatarie e adottive).
Si ritiene quindi opportuno sottolineare:
1° Il dovere di ogni politica, misura e intervento istituzionale e di ogni azione civile di perseguire innanzitutto il benessere di bambini e ragazzi, i cui interessi sono da considerarsi sempre preminenti rispetto a quelli degli adulti, così come stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo sottoscritta anche dall’Italia.
2° Il diritto di ogni bambina e bambino e di ogni ragazza e ragazzo a crescere nella propria famiglia(1) e il connesso dovere delle Istituzioni e della società civile di offrire alle famiglie fragili adeguati servizi e interventi di sostegno (2), la cui erogazione va resa certa ed esigibile in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale, così come stabilito dalla legge 184/1983 e successive modifiche (3).
3° Il dovere di proteggere ogni minorenne la cui famiglia, nonostante i sostegni, manifestasse gravi carenze nel rispondere ai suoi bisogni di crescita, o mostrasse comportamenti maltrattanti e/o abusanti, attivando – in base alle situazioni – adeguati e tempestivi interventi di tutela secondo il primario interesse del bambino: affidamento familiare, accoglienza in comunità di tipo familiare, adozione. Si ricorda che l’affidamento è una famiglia accanto in più a un bambino, non una in meno.
4° Il dovere di qualificare il sistema dei servizi istituzionali di tutela minorile, e di sostegno alle famiglie assicurando congrui investimenti sia in termini di risorse che di organici, e accompagnando percorsi di integrazione e di rete tra i diversi soggetti.
5° Il dovere di assicurare i necessari controlli sull’adeguatezza del sistema di protezione minorile, innanzitutto mediante l’effettiva attuazione delle misure di accompagnamento e monitoraggio previste dalla normativa vigente, contrastando ogni possibile illecito o conflitto di interessi.
Le Associazioni e Reti del Tavolo Nazionale Affido si rendono disponibili a partecipare a percorsi di confronto istituzionale, anche in vista di eventuali riforme legislative, e a spazi di dialogo e interazione con i media al fine di favorire una adeguata informazione in materia, rispettosa dei principi contenuti nella Carta Treviso, che rifugga dall’approccio meramente scandalistico cui abbiamo assistito in questi mesi. L’esperienza di oltre trent’anni di applicazione della legge sul diritto dei minorenni alla famiglia e le numerose ricerche condotte da diversi organismi istituzionali,4 dimostrano quanto siano gravi e urgenti le condizioni di disagio in cui troppo spesso versano bambini, ragazzi e famiglie. Occorre una generale assunzione di responsabilità, capace di compiere fino in fondo l’atto doveroso di mettere il bambino e i suoi bisogni di crescita prioritari e al centro degli obiettivi e dei processi della nostra società, a partire dalla effettiva ed efficace attuazione delle norme che già esistono e dal rafforzamento del sistema di tutela vigente.
Le Associazione e Reti del Tavolo Nazionale Affido: Ass. AI.BI. – AMICI DEI BAMBINI, Ass. COMETA, Ass. COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII, Ass. FAMIGLIE PER L’ACCOGLIENZA, ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), ANFN (Associazione Nazionale Famiglie Numerose), CAM (Centro Ausiliario per i problemi minorili – Milano), CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), COORDINAMENTO AFFIDO ROMA, COORDINAMENTO CARE, COREMI-FVG (Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia), PROGETTO FAMIGLIA (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia), UBI MINOR (Coordinamento per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi – Toscana), SALESIANI PER IL SOCIALE Federazione SCS/CNOS, AFFIDAMENTO.NET Liguria (gruppo osservatore).
1 Cfr. art. 1 della legge 184/1983.
2 Ci riferiamo alla necessità non più prorogabile di rendere esigibili in tutto il territorio nazionale le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Livelli essenziali delle Prestazioni Socio-sanitarie).
3 in particolare gli artt. 2-4.
4 Si segnala, tra le più recenti: Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (2009), Bambini e ragazzi in accoglienza in Italia. Esiti dell’indagine campionaria sull’affidamento familiare e i servizi residenziali, in Questioni e Documenti – nuova serie, n. 66. Il testo contiene nei paragrafi 1.1 e 1.2. i dati sul numero di bambini e ragazzi fuori dalla famiglia di origine e sulle ragioni del loro allontanamento.
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Al signor Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella
c/o Palazzo del Quirinale
00187 – Roma
Egregio Signor Presidente,
Le scriviamo a nome delle Associazioni e Reti di famiglie affidatarie aderenti al Tavolo Nazionale Affido, per esprimerLe le nostre preoccupazioni sui rischi, per i bambini ed i ragazzi, legati alla campagna in atto di strumentalizzazione e di discredito dell’intero sistema di tutela dei diritti dell’infanzia, che coinvolge sia gli attori istituzionali preposti che le migliaia di affidatari che hanno accolto nel corso degli anni minorenni nelle loro famiglie, dedicandosi a loro con tanto impegno ed affetto e che svolgono un prezioso ruolo di protezione dell’infanzia.
L’attuale sistema di tutela garantisce il diritto dei minorenni a crescere nella propria famiglia, e nel caso in cui i bambini e ragazzi, per la loro stessa tutela, debbano essere temporaneamente allontanati da questa, ad essere accolti in una famiglia che li aiuti nel loro percorso di crescita. Si tratta di un sistema che necessita di essere sostenuto e migliorato, prima di tutto con l’erogazione delle risorse necessarie e con l’attuazione delle norme vigenti.
Osserviamo con preoccupazione il diffondersi di un clima di diffidenza e di sospetto verso l’affidamento familiare che ha portato negli ultimi mesi ad una all’allarmante diminuzione di disponibilità all’accoglienza e il proliferare di iniziative legislative nazionali e regionali, fondate sul presupposto che debba essere evitata la totalità degli allontanamenti dei bambini dai loro genitori. Riteniamo che questo metta a rischio la protezione e la tutela di quei minorenni che vivono in situazioni familiari di grave negligenza e maltrattamento. La carenza di interventi a sostegno delle famiglie fragili e l’assenza di livelli essenziali delle prestazioni sociali indeboliscono ulteriormente il sistema di tutela dei minorenni.
Sulla base di quanto sopra esposto, Le scriviamo per chiederLe un incontro e condividere con Lei le nostre preoccupazioni.
In attesa di una gradita risposta, cogliamo l’occasione per inviarLe i nostri saluti più rispettosi.
Roma, 7 novembre 2019
Le Associazione e Reti del Tavolo Nazionale Affido Ass. AI.BI. – AMICI DEI BAMBINI, Ass. COMETA, Ass. COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII, Ass. FAMIGLIE PER L’ACCOGLIENZA, ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), ANFN (Associazione Nazionale Famiglie Numerose), CAM (Centro Ausiliario per i problemi minorili – Milano), CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), COORDINAMENTO AFFIDO ROMA, COORDINAMENTO CARE, COREMIFVG (Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia), PROGETTO FAMIGLIA (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia), UBI MINOR (Coordinamento per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi – Toscana), SALESIANI PER IL SOCIALE Federazione SCS/CNOS, AFFIDAMENTO.NET Liguria (gruppo osservatore).
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Allegati:
- Documento istitutivo del Tavolo Nazionale Affido “Cinque punti per rilanciare l’affidamento familiare in Italia” (ottobre 2010)
- Documento “Cinque principi per rimettere al centro il diritto dei bambini a crescere in famiglia” (novembre 2019)
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Considerazioni a margine della situazione dell’insegnante di scuola primariaConsiderazioni a margine della situazione dell’insegnante di scuola primaria(nel Pavese) sanzionata dalla Dirigente scolastica perché aveva segnalato unasua allieva ripetutamente maltrattata.
Innanzitutto il nostro plauso all’insegnante, che si è dimostrata attenta ai propri alunni, accettando la sfida e i rischi di un ascolto difficile, e "sentendo" cose che altri avrebbero voluto tenere nascoste…
Non possiamo nascondere, però, che leggere questa notizia ci ha lasciato davvero attoniti. Sì, perché questa vicenda ha davvero dell’incredibile: non solo questa insegnante non è stata supportata e coadiuvata nel fare il suo DOVERE, cioè quello di “segnalare per tutelare” 1 la sua piccola alunna, ma quando - dopo l’ennesima richiesta di aiuto inascoltata e insabbiata – ha proceduto lei direttamente a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria , è stata sanzionata dalla dirigente scolastica!
Se le cose sono davvero andate come narra la cronaca giornalistica, c’è da sperare che l’Amministrazione scolastica in primis, e la Magistratura poi, non solo facciano ritirare il provvedimento preso contro questa maestra, MA sanzionino – e auspichiamo pesantemente! – la dirigente scolastica, che ha omesso di fare ciò che era suo dovere fare e poi ha sanzionato la maestra che, invece, il suo dovere lo aveva compiuto fino in fondo In base alle leggi vigenti, tutti i cittadini possono segnalare situazioni di presunto maltrattamento/abuso sui minori alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni; la SEGNALAZIONE diventa invece OBBLIGATORIA, in base all’art. 9 della legge n. 184/1983, per «i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità che debbono riferire al più presto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio».
1 Ricordiamo che le "Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni al di fuori della famiglia d'origine" (dicembre 2017), ribadiscono: "Gli insegnanti debbono essere preparati, attraverso una formazione dedicata ed efficace, a cogliere i segnali di disagio, malessere, sofferenza di questi alunni e a muoversi per intervenire, avendo sempre presente che “segnalare per tutelare” è un preciso dovere di tutti coloro che operano con i minorenni" (III - L'importanza della formazione).
L’obbligo della segnalazione riguarda quindi, fra gli altri, gli operatori dei servizi socio-sanitari, i medici, i capi di istituto e i docenti delle scuole di ogni ordine e grado. Deve essere ben chiaro che il legislatore non ha inteso trasformare queste figure professionali in "delatori". La segnalazione (e va ribadito che di “segnalazione” si tratta e non di “denuncia”) è stata prevista per tutelare i minorenni. Non possiamo dimenticare, infatti, che vi sono bambini e ragazzi che subiscono, giorno dopo giorno, maltrattamenti e/o abusi da parte dei loro familiari: si tratta di situazioni gravissime, spesso impensabili ma purtroppo reali, che richiedono il tempestivo intervento di tutti coloro che ne vengono a conoscenza, per segnalarle al più presto all’Autorità giudiziaria competente.
Gli operatori, che ottemperano a questo obbligo di legge, non devono essere considerati quindi, come qualcuno ha affermato, «ladri di bambini»: grazie al loro intervento puntuale e tempestivo,possono essere portate all’attenzione dei magistrati minorili le drammatiche condizioni di tanti minori, rompendo quel muro di silenzio e di omertà che spesso li circonda. Quante volte, dopo la segnalazione, si scopre che erano in tanti (parenti, vicini,..) a sapere e a tacere! Ogni adulto dovrebbe vigilare su chi è più debole, impedire che gli venga fatto del male, e non lasciarlo solo. A maggior ragione, questo è uno dei compiti della scuola, di una scuola che cerca punti di incontro, stabilisce relazioni e non si accontenta di "passare un sapere".
Va anche aggiunto che la segnalazione determina semplicemente l’avvio da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni degli accertamenti sulla condizione reale del minore. Tali indagini possono poi portare il Tribunale per i minorenni a prendere i provvedimenti occorrenti: emanazione di precise prescrizioni ai genitori, affidamento familiare, etc. Solo qualora dagli accertamenti risulti che il minore versa in situazione di privazione di assistenza materiale e morale, il Tribunale per i minorenni deve procedere alla dichiarazione di adottabilità.
Si verificano, però, ancora adesso, ritardi oppure omissioni nelle segnalazioni da parte di responsabili di comunità nei riguardi di minori che non hanno rapporti con i loro familiari. Inoltre, alcuni operatori, soprattutto quelli afferenti ai Servizi relativi alla psichiatria e alle tossicodipendenze, tendono, anche di fronte a situazioni ormai del tutto deteriorate, a considerare il bambino come strumento di “recupero” dei genitori: spesso, però, si tratta di speranze inconsistenti, destinate purtroppo ad un sicuro al fallimento!
È vero che occorre prioritariamente lavorare perché i bimbi possano restare nella loro famiglia d’origine, ma è anche vero che, dietro ad un minore maltrattato o abusato non sempre si nasconde un genitore “mostro”, ma una famiglia in grave crisi: ogni situazione va approfondita, valutando realisticamente – senza pregiudizi ideologici – le concrete possibilità di recupero dei genitori, individuando modalità di intervento adeguate e puntuali verifiche. A seconda della gravità delle situazioni si dovrebbe provvedere all’inserimento dei bambini in comunità (per periodi brevi) o in famiglie affidatarie (per periodi più lunghi), per consentire al/ai genitore/i di recuperare le proprie energie e poter così riassumere il ruolo genitoriale.
È evidente, però, che quando il rapporto è irrimediabilmente compromesso e il minore è totalmente privo di assistenza morale e materiale, è necessario il tempestivo allontanamento e la segnalazione della situazione, da parte dei Servizi, ai Giudici, per l’eventuale apertura della procedura di adottabilità. Ricordiamo che, con l’entrata in vigore del cosiddetto giusto processo, i genitori e/o i parenti che hanno avuto rapporti significativi col minore e il minore stesso sono assistiti da un avvocato, fin dall’inizio dei procedimenti, sia quelli riguardanti la limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale, sia quelli per l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità.
Torino, 29 ottobre 2019
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Il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale (Mental Health Day), istituita nel 1992 dalla Federazione mondiale per la salute mentale (WFMH) e dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Ogni anno l’OMS sceglie un tema da trattare in questa giornata: quest’anno il tema scelto è la prevenzione dei suicidi; la Giornata è sostenuta dall’OMS, dall’International Association for Suicide Prevention e dalla United for Global Mental Health.
Accogliendo l’invito della campagna #40seconds che invita a fermarsi per 40 secondi e fare qualcosa, scrivere, condividere un’idea, un pensiero in grado di sensibilizzare, l’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte ricorda come nella gestione della malattia mentale il primo passo per co-costruire il processo di cura avviene quando le persone con una patologia “riescono a farsi sentire”: riprendere in mano la propria vita nonostante la malattia, scegliere, essere cittadini nella società consentono una migliore qualità di vita. Da qualche anno si parla di un paradigma della salute mentale definito “recovery”, concetto ormai entrato con forza nelle politiche e nei documenti ufficiali, anche dell’Oms (dalla Mental Health Declaration di Helsinki 2005 al nuovo Action Plan europeo 2013-2020). In tale orientamento, vicino al pensiero che ha attraversato il nostro paese negli anni della deistituzionalizzazione, si spinge a rimettere al centro dei percorsi le esperienze soggettive delle persone con malattia mentale restituendo un’identità positiva e la speranza di potersi realizzare nonostante le problematiche sanitarie.
Alberto De Michelis, Consigliere Ordine assistenti sociali e assistente sociale presso un Centro di Salute Mentale, afferma: “La recovery ha una dimensione sociale e politica. Le persone con un disturbo mentale non migliorano se sono sole, se non hanno contatti sociali, risorse umane, culturali e materiali che le aiutino a ristabilire un equilibrio personale. I servizi dovrebbero essere un perno fondamentale nell’accompagnare le persone ad attivare e utilizzare le proprie risorse e quelle esterne, per ristabilire uno stato di benessere. La recovery deve essere letta come un diritto e guadagnare una dimensione politica: servono servizi che garantiscano un percorso di cura adeguato alle esigenze della persona, relazioni di aiuto che si basino sulla reciprocità e in spirito di “coproduzione”, risorse economiche per favorire inserimenti nella società, politiche sociali e culturali che contrastino lo stigma e la discriminazione.”
“Stiamo parlando - sottolinea Rosina - della necessità che i servizi di salute mentale promuovano attivamente l’inclusione sociale, sostenendo i pazienti nel definire autonomamente bisogni, obiettivi e ambizioni future, sapendo ascoltare ed includere i familiari per una piena realizzazione delle potenzialità ed aspirazioni, anche laddove il disturbo mentale sia grave e persistente. Crediamo fermamente che un approccio inclusivo consentirebbe un miglioramento dei contesti e potrebbe concorrere alla prevenzione del suicidio ma occorre attenzione alle reali possibilità di intervento di servizi di salute mentale spesso ridotti nella presenza di tutte le figure professionali necessarie, dei fondi per operare nell’ambito della prevenzione, della cura e della riabilitazione”.
Conclude Rosina: “possiamo ritrovare nella storia della psichiatria italiana strategie, ancora oggi adottabili dagli assistenti sociali e dagli operatori della salute mentale, per portare avanti progetti finalizzati ad attività di promozione della salute, benessere e recovery con l’obiettivo di avvicinare i luoghi di cura ai contesti di vita. Ma nulla possono le istituzioni se ciascuno di noi crede di non essere importante, nel suo piccolo e quotidiano, e non si ferma #40secondi per comprendere come non abbandonare persone che soffrono di una malattia mentale e le loro famiglie”.
L’Ordine Assistente Sociali del Piemonte, per voce della sua Presidente, “richiama ad assumersi l’impegno di concorrere alla costruzione di occasioni di incontro e di dialogo affinché “nessuno sia lasciato solo”: occorre una attenzione continua, nella quotidianità, non solo alle persone con malattia mentale, spesso lasciate sole insieme alle loro famiglie, ma anche al sistema dei servizi di salute mentale ad ai professionisti, non sempre in grado, per le citate difficoltà del sistema, di far fronte alla complessità ed alla crescente vulnerabilità. Sottolineiamo ancora una volta che la responsabilità di fermarsi a riflettere sulla malattia mentale e le sue conseguenze, deve essere attribuita alla società nel suo complesso, alle associazioni di cittadini, alle forze politiche e ai singoli professionisti. Solo superando le contrapposizioni, spesso ideologiche, è possibile lavorare nella consapevolezza che la malattia ha un effetto a catena che incide su famiglie, amici, colleghi, comunità e società.”
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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Il 10 ottobre ricorre la Giornata Nazionale della Psicologia, quest’anno dedicata ai diritti umani universali. L'evento principale dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna - in aggiunta a numerose altre iniziative e alla disponibilità di studi aperti con visita gratuita - sarà venerdì 18 ottobre 2019 dalle ore 16:30, presso l'Oratorio San Filippo Neri, in via Manzoni 5, Bologna: una tavola rotonda a ingresso libero coordinata dalla Presidente dell'Ordine ER, Anna Ancona, sul tema “La Psicologia e i Diritti Umani Universali”. Tra gli interventi "Psicologia e diritti delle persone di minore età" di Clede Maria Garavini, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Regione Emilia-Romagna, e "Diritti dei migranti e impatto psicosociale delle migrazioni" di Antonella Postorino, membro italiano della commissione “Crisis, Disaster and Trauma Psychology” – EFPA.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani cita in apertura: “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. I diritti umani si basano sul principio del rispetto della dignità umana, espressione del valore della persona con le sue caratteristiche specifiche e irrinunciabili di identità e di diversità nell’uguaglianza e nella libertà. Tali diritti si pongono dunque a difesa della salute e del benessere bio-psico-sociale di tutte le persone di ogni età e genere.
Le discipline psicologiche e sociali sono necessariamente coinvolte nel garantire il rispetto della persona, di ogni persona. La psicologia, in particolare, è una disciplina essenziale per contribuire alla rimozione degli impedimenti al pieno sviluppo di ogni essere umano, come da articolo 3 della Costituzione Italiana, e per la cura, lì dove i diritti sono stati violati.
È universalmente recepito il concetto che la violazione dei diritti genera conseguenze negative, malessere e traumi, sia fisici che psicologici, che possono ripercuotersi su tutta la comunità sociale tramandandosi anche alle generazioni successive. La psicologia si evidenzia così sia in relazione alla salute psicologica, proponendosi come promotrice di cultura dei diritti e della loro salvaguardia, sia come “riparazione del danno”, cura delle lacerazioni esistenziali prodotte dalle violazioni dei diritti.
L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna da tempo ha messo in campo azioni per promuovere la cultura del rispetto della persona nella sua unicità, garantendone anche opportunità pari ed eque, combattendo ogni forma di discriminazione e di uso della violenza. La cultura psicologica è uno strumento indispensabile per comprendere la complessità della realtà sociale, per superare le semplificazioni alla base di pregiudizi e stereotipi che spesso creano paure e malessere, sia sui singoli che sulla comunità, generando negazione, limitazione e violazione dei diritti umani. Un impegno istituzionale costante per quello che potrebbe essere riassunto, dal punto di vista psicologico, come il "diritto al benessere bio-psico-sociale".
Non va dimenticato che benessere e salute mentale sono strettamente connessi. Proprio per questo il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi scelse la data del 10 ottobre per la Giornata Nazionale della Psicologia proprio per la sua coincidenza con la Giornata mondiale della salute mentale promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Secondo il Rapporto sulla salute mentale 2016 (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2731_allegato.pdf), le persone con problemi di salute mentale assistite nel 2016 dai servizi specialistici (escluse la Valle d'Aosta e la provincia di Bolzano, di cui mancano i dati) sono 807.035, e di queste 310.031 hanno avuto un contatto con i servizi di salute mentale per la prima volta nella vita. Gli psicologi e gli psicoterapeuti sono, oltre agli psichiatri, i professionisti d'elezione per curare la salute mentale della cittadinanza: le iniziative che si svolgono lungo tutto il mese di ottobre hanno la funzione di sottolineare il ruolo degli specialisti e la loro importanza.
Ufficio Stampa Ordine degli Psicologi dell'Emilia Romagna
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Il 28 settembre si celebra l’International Right to Know Day, ovvero una giornata di consapevolezza sul diritto alla conoscenza, stabilita dalla Conferenza generale dell’UNESCO in seguito alle pressioni dei sostenitori dei diritti civili internazionali i quali, durante una conferenza tenutasi il 28 settembre 2002 a Sofia in Bulgaria, hanno sollecitato una maggiore trasparenza nell’informazione al fine di migliorare la libertà degli standard divulgativi. Sensibilizzare l’opinione pubblica sul diritto all’accesso alle informazioni è anche uno degli obiettivi dell’Ordine degli Assistenti Sociali in quanto la comunità professionale riconosce il diritto alla conoscenza e al sapere come principi fondamentali e irrinunciabili dell’essere umano.
Afferma Rosina (Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte): “Avere accesso alle informazioni è un diritto universale che è alle fondamenta della nostra libertà di espressione perché è il presupposto di una piena partecipazione come cittadini alla vita democratica. La giornata internazionale del diritto alla conoscenza è una importante occasione per ricordare quanto sia urgente e indispensabile che anche in Italia vi siano norme che garantiscano la libertà di accesso ai dati”.
Nel contesto italiano, l’unico strumento di accesso alle informazioni era la Legge n. 241 del 1990. Con l’approvazione del Decreto Trasparenza da parte del Consiglio dei Ministri nel marzo 2013 (33/2013), l’Italia iniziava a estendere il diritto dei cittadini ad accedere alle informazioni detenute dalle Pubbliche Amministrazioni. Il Decreto Trasparenza non sanciva però “l’accesso generalizzato” che avrebbe dovuto garantire a chiunque di chiedere qualsiasi documento.
Il diritto di accesso all’informazione è regolato da norme conosciute internazionalmente come “Freedom of Information Acts” (FOIA). Il primo FOIA in Italia è stato emanato con il Decreto Legislativo n. 97 del 25 maggio 2016 che ha riordinato la disciplina riguardante la diffusione delle informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Secondo il “Right to Information Rating”, la graduatoria internazionale dell’accesso alle informazioni stilata in base all’analisi delle leggi sulla trasparenza di oltre cento Paesi, l’Italia è passata dall’essere tra i dieci peggiori Paesi alla 55esima posizione.
Francesca Belmonte, Consigliera Segretario dell’Ordine regionale, precisa: “La visione del Croas Piemonte è far sì che gli iscritti diventino agenti stessi di trasparenza. Attraverso le comunicazioni a mezzo mail, PEC e tramite la pubblicazione dei post sul gruppo chiuso Facebook, l’obiettivo del Croas Piemonte è costruire un sapere condiviso e comune grazie all’accesso libero, trasparente e gratuito alle informazioni inerenti l’Albo, la formazione continua e l’azione professionale”.
L’Associazione “Diritto di Sapere” ha condotto un monitoraggio sull’applicazione del Foia italiano, al fine di analizzare come le amministrazioni rispondono alle richieste di accesso. I risultati sono stati pubblicati nel report “Ignoranza di Stato”, titolo che fa trapelare il quadro generale in materia di accesso alle informazioni detenute dalle Pubbliche Amministrazioni italiane. A fronte dei principali dati emersi, in particolare in riferimento alla percentuale dei silenzi amministrativi (73%) e dei dinieghi illegittimi (35%), il titolo “Ignoranza di Stato” non potrebbe essere più appropriato. Tuttavia, per quanto allarmante, il quadro che emerge dal monitoraggio dà anche una speranza di miglioramento, a detta dell’Associazione “Diritto di Sapere” perché, se il Foia italiano viene applicato con meno discrezionalità da parte delle amministrazioni, potrebbe davvero contribuire a rendere l’Italia un po’ più trasparente. A tal fine però, pare necessario un investimento che garantisca un’adeguata formazione dei dipendenti pubblici, requisito basilare per la corretta applicazione e per il rispetto degli obblighi sanciti dal Foia – ovvero le tempistiche di 30 giorni, le motivazioni di diniego, indicazioni sulle modalità con cui inviare una richiesta di accesso.
Rosina conclude “Un miglioramento della norma è auspicabile in quanto è necessario formare i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni a promuovere il diritto d’accesso alle informazioni, ricevere reclami sulla gestione delle richieste e valutare sanzioni se necessario per garantire il rispetto della norma. L’attenzione dell’Ordine Assistenti sociali del Piemonte, riconoscendo l’importanza di tale aspetto, da diversi anni investe sulla massima diffusione delle informazioni a beneficio degli iscritti e dei cittadini che alla professione si rivolgono”.
Carmela, Francesca Longobardi – Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass media/ tel. 333.4896751
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Per l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna è fondamentale riflettere su alcuni assunti di base - non sempre espliciti e consapevoli - che condizionano la relazione di coppia e di conseguenza la definizione di compiti e responsabilità alla nascita di un figlio. Uno dei primi passi è opporsi allo stereotipo che da sempre impone all’uomo il ruolo di colui che deve “portare il pane a casa”, e fare riferimento al concetto di genitorialità piuttosto che a quello di maternità. Stereotipi di questo tipo si possono superare psicologicamente e culturalmente, anche con il supporto di cambiamenti normativi.
A questo proposito, bisogna notare che il parlamento europeo ha recentemente approvato la direttiva 2019/1158 (http://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20190402IPR34670/lavoro-e-famiglia-nuove-regole-ue-su-congedo-parentale-e-di-paternita) che prevede dieci giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito alla nascita (attualmente in Italia i giorni sono cinque, legge n. 145 del 30/12/18), più il diritto individuale a due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito nei primi anni di vita del figlio. L’Italia, come gli altri Stati membri, dovrà adeguarsi.
Il congedo di paternità è il diritto che dovrebbe far vivere pienamente la propria identità di genitore al padre. Diritto che, per essere esercitato, presuppone l’acquisizione di un nuovo modello di pensiero che superi pregiudizi discriminanti. In una società in cui gli uomini e le donne si possono realizzare sia all’interno che all’esterno della famiglia non si può prescindere dal concetto di parità in tutti i campi - come da principio fondamentale dell’Unione Europea, art. 3 TUE, e art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - e dalla parità tra madre e padre.
Tale parità, che qui va intesa come diritto di entrambi i genitori a porsi come esempi di persone realizzate, anche tramite una relazione affettiva e educativa diretta nei confronti dei figli, comporta l’accettazione concreta della “bi-genitorialità”. Concetto da interpretarsi come processo dinamico interattivo che inizia nel momento in cui una coppia pensa di avere un figlio e si realizza con la sua nascita, permettendo alla coppia di diventare genitori. Persone capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni fisici e affettivo-psicologici dei bambini, condividendo responsabilità, soddisfazioni e piaceri. È indispensabile trasmettere ai figli che, pur avendo la stessa dignità, lo stesso valore e i medesimi diritti, mamma e papà salvaguardano le proprie differenze, che sono preziose. I piccoli sperimentano così che entrambi i genitori hanno caratteristiche proprie, uniche, specifiche e ciò permette loro di strutturare due punti di riferimento diversi, complementari e rassicuranti.
Il coinvolgimento del padre nello sviluppo dei figli, soprattutto nei primi mesi di vita, è essenziale per il loro sviluppo emotivo. Una ricerca dell'università di Oxford (https://bmjopen.bmj.com/content/6/11/e012034), pubblicata nel novembre 2016, che ha preso in esame 10.440 bambini dai primi mesi di vita fino ai 9-11 anni, ha evidenziato quanto sia fondamentale la relazione con il padre per lo sviluppo psicologico e per l’acquisizione di comportamenti positivi nei bambini. La ricerca dimostra che il valore dei congedi di paternità si manifesta non solo per il contributo al lavoro di cura, ma anche in termini relazionali, affettivi ed educativi.
I padri che sperimentano il congedo spesso manifestano un maggiore desiderio di passare più tempo con i figli, sviluppano capacità di accudimento e senso di responsabilità che li fa essere co-genitori attivi. Diventano più attenti alle necessità della madre e non semplicemente i suoi “aiutanti”. Il loro coinvolgimento nel ruolo di cura e accudimento - che presuppone da parte delle madri la disponibilità psicologica a delegare serenamente parte del proprio ruolo e funzione culturalmente determinati - può evitare sentimenti di frustrazione, gelosia e rabbia che potrebbero mettere in crisi la coppia.
La condivisione paritaria dell’impegno diventa quindi una sorta di gioco di squadra che aiuta la relazione e favorisce la complicità, facendo sentire protagonisti entrambi i genitori nei nuovi equilibri che necessariamente si vanno a costruire. Il figlio così si potrà confrontare con una situazione familiare basata su responsabilità, fiducia, compartecipazione e aiuto reciproco.
L’utilizzo del congedo di paternità, in alternativa a quello di maternità, nella parte che rimarrà trasferibile, può inoltre consentire alle madri di potersi dedicare anche a se stesse e al proprio lavoro: permette di far convivere il ruolo domestico con quello sociale, supportate non solo psicologicamente ma anche nella pratica dal partner. La madre in questa situazione di condivisione e sostegno è facilitata a trovare la giusta dimensione per il benessere della famiglia e di se stessa.
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31, agosto. Si celebra oggi la Giornata internazionale della solidarietà, istituita dall'Onu nel 2005 per sensibilizzare le persone al tema e, al contempo, stimolare azioni di sostegno e collaborazione nei confronti di chi vive situazioni di disagio.
Il tema della solidarietà è richiamato anche all’art. 2 della Costituzione, quale principio posto tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale. In occasione della Giornata, l’Ordine Assistenti sociali del Piemonte interviene per ricordare che la solidarietà si realizza in un processo che muta e si evolve costantemente in quanto correlato ai tempi storici, economici e politici.
«Ricordare e riconoscere nel contesto socio politico attuale - afferma Barbara Rosina (Presidente Ordine Assistenti sociali del Piemonte) - che i diritti umani sono “inviolabili” è fondamentale. Così come è prioritario dare valore alla solidarietà, senza distinzioni di età, di sesso, di religione, di condizione sociale ed economica. Diritti e solidarietà se sono strettamente connessi definiscono ed influenzano la convivenza sociale e lo sviluppo della persona umana a vantaggio di sistemi democratici».
«All’interno di servizi depotenziati, - precisa Simona Passanante (consigliera Ordine assistenti sociali Piemonte) - con risorse spesso scarse e non sempre adeguate, si collocano gli assistenti sociali, impegnati tra le altre cose nel farsi promotori del processo di solidarietà. Centrale è la funzione svolta dai professionisti dell’aiuto come attivatori/ri-attivatori di reti sociali, esperti e co-costruttori di comunità. Da non dimenticare sono le tante iniziative locali non istituzionali, dell’associazionismo, che intervengono in aiuto di chi “fa fatica a stare dentro al sistema”. Le istituzioni e le organizzazioni di servizio sociale, al fianco delle reti informali, devono avere il compito di “alimentare” - con più forza - il sistema di relazioni e di esperienze, generatrici di competenze e conoscenze, che unisce le persone tra loro».
Secondo Rosina ciò rappresenta una sfida: «Tutti noi siamo impegnati a interpretare e promuovere una forma rinnovata di solidarietà tra pari, di vicinanza, al fine di fronteggiare le vulnerabilità frutto dei cambiamenti e delle grandi incertezze del tempo presente. Sfida questa che ci fa ritenere imprescindibile sollecitare, laddove necessario, la politica e le istituzioni affinché al centro delle politiche sociali ci sia attenzione alle fragilità ma anche alle risorse che possono essere espresse dalle nostre comunità».
Carmela, Francesca Longobardi - Consigliere delegato alla Comunicazione esterna e ai Rapporti con i mass-media / tel: 333.4896751
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La rete “#5buoneragioni” condivide le raccomandazioni dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. E sull’Inchiesta Bibbiano: «La politica non strumentalizzi un caso. Non vanno messe in discussione le misure di accoglienza e tutela che restano necessarie»
Milano 31 luglio 2019 - «Sottoscriviamo in pieno le raccomandazioni sul sistema della tutela minorile formulate dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Si tratta di richieste che le organizzazioni che accolgono in affido familiare o in comunità bambini e ragazzi temporaneamente allontanati dalla propria famiglia d’origine avanzano da anni, ma che finora sono rimaste inascoltate». La rete “#5buoneragioni” commenta così la conferenza stampa tenuta ieri dalla Garante Filomena Albano.
«Da tempo chiediamo al legislatore un intervento strutturale per colmare le criticità del sistema. Ci associamo quindi alle sollecitazioni venute oggi dalla Garante e sproniamo le Istituzioni a recepire le raccomandazioni dell’Autorità».
Tra le misure da introdurre subito si sottolinea la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, strumento indispensabile per garantire l’esigibilità dei diritti per tutti i minorenni presenti a qualunque titolo sul territorio italiano e l’omogeneità del servizio in tutte le Regioni. Al legislatore le organizzazioni chiedono poi di istituire banche dati uniche (per minorenni, strutture di accoglienza e affidatari) e di garantire al minorenne la nomina del curatore speciale.
La rete “#5buoneragioni” torna a ribadire l’urgenza di convocare subito l’Osservatorio Nazionale Infanzia e Adolescenza per la definizione di un nuovo Piano Nazionale Infanzia. Allo stesso modo, sollecita Regioni e Comuni a recepire al più presto le linee di indirizzo messe a punto dal Ministero del Lavoro in materia di affido familiare e accoglienza residenziale per minorenni.
Per contrastare possibili illeciti – il cui accertamento resta di competenza esclusiva della Magistratura – secondo le organizzazioni occorre definire in modo puntuale e coordinato criteri e obiettivi delle azioni di controllo sulle strutture di accoglienza a partire dalle funzioni istituzionali già previste dalla norme (Procura per i minorenni, Regioni e Comuni).
«Non servono misure spot introdotte sull’onda emotiva di un caso», dicono le organizzazioni richiamando l’inchiesta sui presunti affidi illeciti che ha coinvolto il Comune di Bibbiano. «Condanniamo in modo assoluto qualunque reato verrà accertato dalla magistratura, ma rifiutiamo generalizzazioni e strumentalizzazioni. A rischio viene messo un intero sistema – quello dell’accoglienza e della protezione – che resta necessario e grazie al quale ogni anno quasi 27mila bambini e ragazzi vulnerabili trovano accoglienza», concludono.
La rete “#5buoneragioni” è costituita da Agevolando, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia (Cismai), Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), Coordinamento Nazionale Comunità per Minori (CNCM), Progetto Famiglia e SOS Villaggi dei Bambini. Insieme rappresentano centinaia di strutture d’accoglienza in Italia e migliaia di ragazzi e ragazze cresciuti in un contesto di accoglienza diverso dalla famiglia d’origine.
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L’Associazione Italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia a seguito dei recenti fatti di cronaca relativi ad indagini penali in corso presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia, in ordine ai quali è doveroso il giusto riserbo in attesa delle decisioni del caso, pur non escludendo, in alcune situazioni, criticità e possibili comportamenti censurabili
ritiene
che, in via generale, debba riconoscersi e apprezzarsi l’attività svolta dai servizi sociali nel compito istituzionale di protezione e sostegno dell’infanzia e adolescenza e delle famiglie in difficoltà secondo la disciplina in vigore e nel rispetto dei principi costituzionali, valutato anche l’impegno frequentemente reso più gravoso dalle carenze organizzative, dalla mancanza di personale e dalle sempre minori risorse economiche sia in territori connotati da povertà educativa e ad alto rischio di devianza e criminalità, sia in territori ove la crisi della funzione genitoriale e della responsabilità adulta appare sempre più marcata
rileva
come non sia rinunciabile la costante sinergia tra i servizi pubblici territoriali e quelli sanitari al fine degli approfondimenti psicologici, dello studio della personalità, della condizione di sviluppo psico-fisico delle persone di minore età nelle situazioni di prospettato disagio, soprattutto se riconducibile a fatti di abuso o maltrattamento, fondata su tecniche di ascolto e psicodiagnostiche accurate e condivise dagli ordini professionali, correttamente predisposte mediante continuo confronto e aggiornamento scientifico,
rappresenta
che il sistema della Giustizia Minorile, improntato sui criteri di specializzazione e multidisciplinarietà, nel corso degli anni ha affinato strumenti di conoscenza delle persone e delle relazioni familiari, attraverso informazioni o accertamenti peritali condotti nell’ambito di procedimenti ispirati ai principi del giusto processo quali la garanzia di terzietà del giudice , del contradittorio , della difesa e della ragionevole durata, ricercando una costruttiva interlocuzione con le associazioni forensi dedicate alla famiglia e ai minorenni,
richiama
quanto previsto dalla recente risoluzione del CSM in data 9-9-2019 in tema di “organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di violenza di genere e domestica” con riferimento ad un intervento integrato, non soltanto mediante forme di collaborazione interna al sistema Giustizia fra i diversi uffici giudiziari a vario titolo coinvolti, ma anche sul versante esterno al fine di un’ azione multisettoriale con enti locali, strutture sanitarie, servizi sociali e soggetti del terzo settore presenti sul territorio, in un’ottica di corresponsabilità, volta anche ad evitare ricostruzioni fuorvianti delle situazioni rilevate in un ambito di osservazione ristretto,
ricorda
che allo scopo di garantire il contradditorio processuale, con la legge n. 149 del 2001, oltre alla assistenza legale del minore, nella procedura per dichiarazione di adottabilità è stato introdotto l’obbligo di avviso ai genitori di nominare un difensore di fiducia, in mancanza del quale il giudice dovrà provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio , e, con la medesima legge, è stato previsto all’art. 336 cod. civ. u.c. che anche nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale “ i genitori e i minori sono assistiti da un difensore” e che attraverso questa rappresentanza processuale tutte le parti possono conoscere gli atti del procedimento e contro dedurre ovvero richiedere mezzi istruttori tipici, quale la consulenza tecnica d’ufficio,
ricorda
che l’applicazione degli istituti giuridici di protezione e salvaguardia delle persone di minore età , tra i quali l’affidamento etero-familiare, sono comunque ispirati al principio di solidarietà alle famiglie d’origine in difficoltà ( art. 30 , 2 comma , Cost. ) e rientrano tra gli “ strumenti necessari “ prescritti dalla Corte Edu al fine di consentire il recupero delle relazioni familiari e il riconoscimento del diritto del minore a essere educato e crescere nella propria famiglia , e costituiscono, molto spesso, esperienze esistenziali profondamente faticose e complesse per il cui svolgimento occorre una dedizione e una motivazione particolare,
auspica
che, al fine di garantire il principio solidaristico appena ricordato, i servizi sociali territoriali possano essere tutti dotati di un ufficio” dedicato “ alla formazione, individuazione e al monitoraggio di famiglie disponibili all’accoglienza, consensuale o giudiziale, temporanea dei minori in difficoltà anche per la garanzia di massima trasparenza di questo delicato settore di intervento pubblico,
ritiene
altamente dannoso da parte degli organi di informazione il ricorso a semplificazioni dei fatti non approfondite né contestualizzate, specie in una materia di grandissima complessità e delicatezza , la cui trattazione richiederebbe un elevato livello di specializzazione, con la conseguenza di gettare indiscriminato discredito su ampie fasce di operatori scrupolosi che perseguono, abitualmente, la lealtà, la collaborazione e la trasparenza nei confronti dei propri utenti e così cagionando, al contrario, fratture e contrapposizioni disfunzionali ad un coeso e efficace sistema di protezione dell’infanzia e di aiuto alle famiglie più fragili,
ribadisce
il proprio impegno verso la ricerca di modalità comunicative che – salvaguardando il diritto di cronaca – evitino il diffondersi di comunicazioni sugli interventi di protezione dell’infanzia non supportate dal dovuto approfondimento
Roma 01.07.2019
Il Segretario generale Susanna Galli
Il Presidente Maria Francesca Pricoco