Negli ultimi anni il consumo di alcol tra i giovani in Italia ha mostrato una tendenza preoccupante, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno del binge drinking – l’assunzione di grandi quantità di alcol in un breve periodo.
Secondo l’ultima Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, oltre il 30% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha praticato binge drinking almeno una volta nell’ultimo mese. Anche se alcuni dati indicano una leggera flessione rispetto al passato, il problema rimane radicato e spesso sottovalutato, specialmente tra i più giovani, per cui l’alcol è associato a momenti di socialità, divertimento e appartenenza al gruppo.
Ma cosa spinge davvero i giovani a bere troppo, anche quando sanno che potrebbero pentirsene?
Tradizionalmente, le campagne di prevenzione hanno cercato di dissuadere i giovani dal bere facendo leva sulla paura delle conseguenze: incidenti, imbarazzo, malesseri fisici o rischi per la salute. Spot televisivi e poster hanno mostrato ragazzi cadere da impalcature, vomitare nei bagni dei locali o ritrovarsi in situazioni degradanti.
Anche approcci più recenti – come la Spread Campaign in Australia – pur essendo meno crudi, puntano comunque sulle conseguenze dannose dell’alcol, come l’aumento del rischio di cancro.
Tuttavia, la ricerca psicologica dimostra che la paura, da sola, raramente cambia i comportamenti. Anzi, può rivelarsi inefficace, soprattutto se non tiene conto delle vere motivazioni che portano i giovani a bere.
Diversi studi hanno riscontrato che anche quando i ragazzi si aspettano di pentirsi di quello che faranno da ubriachi e pianificano di bere meno, spesso finiscono per consumare la stessa quantità di alcol.
Il motivo? La paura di perdersi qualcosa – meglio nota come Fomo (Fear of Missing Out).
Molti giovani considerano l’alcol una porta d’accesso a esperienze sociali memorabili: legare con gli amici, conoscere nuove persone, creare ricordi condivisi. In confronto, le potenziali conseguenze negative vengono minimizzate o razionalizzate.
Nei focus group, per esempio, alcuni giovani hanno raccontato di aver ballato nudi su un tavolo in discoteca o di essersi tatuati il volto di un calciatore sul fondoschiena. Nonostante tutto, giudicavano queste esperienze come "parte del divertimento", più importanti degli effetti collaterali.
In un altro studio sono state raccolte testimonianze di giovani adulti che temono di essere esclusi da eventi divertenti interni al gruppo di amici o dalle dinamiche relazionali con gli amici se saltano una serata.
Alcuni ammettono di partecipare a eventi che non li entusiasmano solo per non sentirsi tagliati fuori. Questo evidenzia una distinzione cruciale tra il rimorso per ciò che si è fatto (action regret) e quello per ciò che non si è fatto (inaction regret): il secondo sembra avere un peso maggiore.
I ricordi di una sbornia svaniscono, ma l’assenza da un’esperienza condivisa può lasciare una sensazione persistente di esclusione. Per questo, il Fomo si rivela un predittore più efficace del comportamento alcolico rispetto alla previsione del rimorso.
Uno studio più recente ha coinvolto oltre 100 giovani adulti tra i 18 e i 30 anni. È stato chiesto loro di registrare tre volte al giorno, per tre weekend consecutivi, quanto Fomo provassero e quanto prevedessero di bere. Questi dati sono stati poi confrontati con la quantità effettiva di alcol consumato.
I risultati sono stati chiari: livelli più alti di Fomo portavano a intenzioni di bere di più – e, di fatto, a bere di più. Tuttavia, il Fomo non influenzava la frequenza con cui i giovani bevevano, che risultava legata più strettamente a fattori sociali, come la frequenza dei contatti con amici bevitori.
In sintesi, la paura di perdersi momenti di socialità gioca un ruolo centrale nell’eccessivo consumo di alcol tra i giovani. Per questo motivo, le campagne che puntano solo sul rimorso e sulle conseguenze negative rischiano di fallire.
Per incidere davvero, bisognerebbe riconoscere e affrontare il valore che i giovani attribuiscono alle esperienze condivise – e proporre alternative che non li facciano sentire esclusi.