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Mentre lavoro al pc tengo sempre aperta la pagina web di Repubblica, e sbircio spesso l’edizione locale.
Oggi, proprio mentre cercavo di riordinare le idee su quello che ho visto in una visita effettuata ieri all’IPM Beccaria, mi è caduto l’occhio su una notizia: “Quarto Oggiaro, bullo-spacciatore arrestato a scuola: scoppia a piangere davanti ai compagni”.

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Nel breve articolo si racconta dell’operazione di polizia, fatta con modalità esemplari e con tanto di nome dell’istituto scolastico; il lettore è informato anche dell’età dell’interessato e della professione dei genitori. Ci mancavano solo nome e cognome e magari una foto del ragazzo presa da Facebook, ma si sa che coi minorenni non ci si può spingere a tanto…

Ebbene, questo articolo mi ha provocato una rabbia particolare. Proprio ieri, insieme agli operatori dell’Ipm, ragionavamo sugli effetti devastanti che provoca sbattere in prima pagina le storie dei minori che commettono reati. Perché un articoletto di giornale si scrive in pochi minuti, ma le parole con cui si etichettano i protagonisti possono diventare marchi difficilissimi da cancellare.

Ovviamente non è mia intenzione mettere in discussione la necessità di reprimere il crimine e contrastare, se occorre anche penalmente, il fenomeno del bullismo; la mia riflessione è tutta sulle modalità con cui sarebbe stato realizzato questo intervento, e sulle ricadute che una vicenda così mediatizzata potrà avere sul percorso di crescita del ragazzo e sul sistema di relazioni in cui è inserito.

Nutro seri dubbi sulla valenza educativa di un’operazione di polizia compiuta a scuola per smascherare l’autore di un reato davanti ai compagni. Non credo che le forze dell’ordine debbano sostituirsi alle agenzie educative, scegliendo di procedere a perquisizioni e arresti in classe davanti ai compagni “per dare l'esempio e smontare l'immagine di impunito che il minorenne si era costruito”.

E non riesco neanche a immaginare quanto lavoro ci vorrà per aiutare questo ragazzo a crescere e a costruirsi un’identità positiva dopo che i giornali lo hanno etichettato come il “bullo-spacciatore”, senza peraltro esitare a raccontare anche le sue debolezze, il suo “sciogliersi in pianto anche davanti alle vittime delle sue vessazioni”.

Vorrei tanto che le vicende che riguardano i minori restassero fuori dal lavoro degli addetti stampa della Polizia di Stato.

qui l'articolo di Repubblica

Alessandra Naldi
Garante dei detenuti del Comune di Milano

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