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Ho ricevuto molte denunce a piede libero, una dopo l'altra, finché un giorno, dopo averne accumulato un bel po', hanno deciso di mandarmi in custodia cautelare presso l'Ipm Beccaria. Me lo ricordo come se fosse ieri, quel giorno.

Ero a casa. Di lì a poco sarei uscito per andare in palestra. Sono arrivati due poliziotti in borghese, dicendomi che dovevo seguirli in questura per firmare fogli di notifica di denunce prese in passato. Avevo diciassette anni, compiuti da quindici giorni.

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Sono andato in questura pensando di dover solo fare le firme, per poi tornare tranquillamente a casa. Era un sabato. In questura mi hanno portato ai piani superiori e lì mi hanno detto che sarei dovuto andare in carcere, perché il giudice mi aveva emesso l'ordinanza di custodia cautelare.

Mi sono agitato subito. Ero intimorito, spaventato. Hanno chiamato mia madre. Lei è arrivata immediatamente, piangendo. Quello è stato il momento più brutto. Ho salutato mia madre, cercando di essere forte. Le avevano detto di portarmi una borsa con il necessario per l'inizio del periodo in carcere. Ciabatte, un asciugamano, mutande, calze.

Poi mi hanno trasferito in carcere, al Beccaria. Di mattina presto. Ero rimasto in questura tutta la notte. Mi hanno portato con un'auto borghese, con me c'erano tre poliziotti. Ricordo che mentre ero in macchina con loro pensavo alle cose che avevo fatto, mi venivano in mente ricordi. Mi dicevo: che cosa hai fatto, che cosa hai combinato? Perché sei arrivato a questo?

Il primo giorno dentro è stato bruttissimo perché ero spaventato. Sono entrato e ho visto persone che mi guardavano male. In cella sono scoppiato in un pianto che non finiva più.

All'inizio non parlavo con nessuno, è stata un momento bruttissimo. Alcuni ragazzi guardavano com'ero vestito. Ero in una cella singola. Nei primi tempi ti mettono in cella da solo, per farti ambientare un po'. Il secondo giorno, sono entrati due ragazzi e mi hanno chiesto: "Da dove vieni? Cosa hai fatto?". Volevano rubarmi le cose che avevo, farmi delle prepotenze. C'è stato un tafferuglio, ci siamo attaccati, perché mi sono ribellato a loro. La mia esperienza dentro è iniziata così. È stato un litigio continuo, tutti i giorni, per cazzate. Non è stato bello quel primo periodo, no.  Sei lì sei da solo. Tu da solo con te stesso e basta. I ragazzi da minorenni pensano solo a farti prepotenze, a litigare. Per stupidaggini. Si discute sempre. Si litiga per una brioche.  Il primo rapporto con gli adulti è stato quello con gli educatori e con l'assistente sociale. Ma i primi giorni ero arrabbiato con il mondo intero. Ce l'avevo con tutti. Nella mia mente continuavano a passare la mia famiglia, mio fratello che allora era piccolo. Io non ho un padre, quindi… Pensavo con preoccupazione alla mia famiglia. Non mi fidavo di nessuno.

Al Beccaria sono rimasto quasi sette mesi. Alla fine mi sono ambientato. Avevo amici, ci conoscevamo tutti. Le guardie mi conoscevano, ho fatto amicizia con alcune guardie simpatiche e brave nei miei confronti.. Facevo molta palestra, giocavamo a calcetto, a poker. Facevamo le flessioni. La mia paura più grande era di essere giudicato, segnato per sempre, una volta uscito. Di non trovare un lavoro. Oltre a questo, ero molto preoccupato per la mia famiglia. Per tutto quello che stavano passando in quel periodo. Venivano a trovarmi e io non volevo. Ogni volta per era una mazzata perché vedevo mia madre piangere. Mio fratello è venuto solo due volte, è stato meglio così. Ogni volta che arrivavano stavo male pure io.

L'uscita dal Beccaria è stato un momento stranissimo, una sensazione che non proverò mai più. Mi sono sentito come in un altro mondo. Avevo gli svarioni, mi sentivo confuso, quasi impaurito, non ero più abituato all'esterno. Sentivo odori diversi. I giorni precedenti avevo l'ansia perché ero contentissimo di uscire, non vedevo l'ora, non ne potevo più di stare rinchiuso. Ero arrivato al limite. Io sono un ragazzo molto vivace. Stavo sempre fuori di casa prima che mi arrestassero. Fumavo in continuazione, sapendo che stavo per uscire.

Io ho ricevuto tantissime denunce. Se mi avessero preso subito, non so, alla seconda denuncia e mi avessero mandato in comunità e non in carcere, mi sarebbe servito di più. Senza passare tutto il male che ho passato dentro l'IPM. Perché lì sei da solo e si litiga sempre. Se non litighi ti mettono i piedi in testa. Già il carcere è duro, poi ragazzi più sbruffoni  e aggressivi, in gruppo, ti schiacciavano. Un ragazzo di diciassette anni se lo metti in carcere non lo aiuti. Tanti ragazzi che ho conosciuto quando ero dentro, adesso sono tutti ancora in carcere. Nel carcere degli adulti. A marcire. Con pene lunghissime. Chi morto, chi in carcere, chi chissà dove, a far niente, a rovinare la propria vita. Il carcere non è una cosa giusta per un ragazzo minorenne che non è maturo e non sa niente della vita. Penso che una comunità aiuti di più a far capire ai ragazzi quali sono i valori, le cose importanti della vita. 

Testimonianza di M., arrestato a diciassette anni e rinchiuso all'IPM Beccaria per sette mesi  (dai materiali del progetto Non ci sto dentro).


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