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L’avvento di internet e delle tecnologie ad esso connesse, un vero e proprio tsunami virtuale che ha travolto in modo improvviso la nostra società sradicando, in tempi record, vecchie e consolidate modalità comunicative ed affettive che si sono dovute necessariamente ristrutturare sulla base degli imperanti codici del mondo virtuale.

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Una delle conseguenze di questa rivoluzione digitale è, secondo l’autrice, la necessità di avvalersi e di consolidare una sana genitorialità digitale che permetta ai genitori di non abbandonare i propri figli nella navigazione nel web, ma che li orienti e li sostenga nella loro fisiologica esplorazione del mondo esterno, intendendo ormai inevitabilmente per esso anche il mondo virtuale.

Il gesto con il quale ET, il personaggio alieno del famoso film di Steven Spielberg, datato 1982, chiedeva agli amici umani di cercare il contatto con il suo universo, condensata nella celebre frase: “ET telefono casa”, racchiude in modo iconico e rappresentativo il cambiamento storico al quale stiamo assistendo.


Il cutting, ovvero tagliarsi con oggetti appuntiti come coltelli, lamette, pezzi di vetro,
rappresenta l’ultima frontiera dell’autolesionismo giovanile


La casa, l’ambiente domestico, dotato di confini ben definiti, luogo nel quale ritrovare gli affetti e i legami familiari, viene ad essere bypassata dall’espansione nel web, da contatti di facebook, gruppi di whatapp, selfie ritoccati e condivisi, che come un gioco di specchi allargano a macchia d’olio la fragile e ancora in formazione identità adolescenziale e minano la sicurezza domestica che prima garantiva, almeno in parte, un monitoraggio sicuro delle entrate e delle uscite dal contesto familiare. Chiusi nelle loro camere hi-teach i ragazzi possono sperimentare, con un click del mouse, o con la tastiera multifunzione del loro smarthphone (in media in Italia viene fornito dai genitori a 11 anni, spesso come regalo per la prima comunione, ed è posseduto dal 99% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni; Pastore, Còliz, 2011), le varie e canoniche aree di sperimentazione del sé ovvero; l’area ludica, l’area sessuale e l’area sociale, ignorando spesso i pericoli celati dietro un’apparente ed aleatoria tutela dello schermo. L’ingresso e l’uscita dal mondo virtuale spesso viene destramente e abilmente celata ai genitori, che ignari dei pericoli della navigazione, ribadiscono il loro ruolo genitoriale con la preoccupazione rispetto alla quantità del tempo passato in rete piuttosto che sulla qualità.

Quanto e non come?

Nell’ottica di aiutare i genitori nella costituzione di una genitorialità digitale orientata alla comprensione e alla consapevolezza delle prime manifestazioni globali dello tsunami virtuale ci preme segnalare un fenomeno che sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti sui social network: il cutting.

{xtypo_rounded2}Cutting{/xtypo_rounded2}

Il cutting, ovvero tagliarsi con oggetti appuntiti come coltelli, lamette, pezzi di vetro, rappresenta l’ultima frontiera dell’autolesionismo giovanile; un fenomeno preoccupante che sta dilagando nelle scuole e che rappresenta una delle conseguenze e degli effetti dello tsunami sulle nuove generazioni.

La difficoltà degli adolescenti nativi digitali, ad esprimere le loro emozioni, è una delle conseguenze dell’analfabetismo emotivo (Goleman, 1995) che si pone alla base dei problemi che caratterizzano le giovani generazioni come il bullismo, la tossicodipendenza e l’alcolismo, si concretizza in una mancanza di consapevolezza e quindi di controllo delle proprie emozioni e dei comportamenti ad esse associate; una mancanza di consapevolezza delle ragioni per cui si prova una determinata emozione; un’ incapacità di relazionarsi con le emozioni degli altri – che non vengono riconosciute e comprese – e con i comportamenti che scaturiscono da esse.

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Il veicolo con le quali vengono trasmesse e condivise emozioni spesso non ancora metabolizzate, è rappresentato dall’immagine; prime fra tutte, le faccine (emoticòns) che vengono scelte per esprimere la rabbia, la felicità, il disgusto e diventano “contenitori clonati” che allontanano i giovani dalla capacità di mentalizzazione delle emozioni proprie ed altrui, rendendo sempre più difficile l’espressione e la condivisione affettiva nel gruppo e rafforzando una società che sta assumendo toni sempre più narcisistici. Il fenomeno dilagante del selfie, termine derivato dalla lingua inglese, che sta a rappresentare un autoritratto fotografico realizzato principalmente attraverso uno smartphone, un tablet o una fotocamera digitale, si incastra perfettamente in questa anedonia emotiva che deve viene capillarmente essere condivisa senza essere sentita. Un successo, un evento importante, viene fermato per essere osservato, privando il soggetto del fluire emozionale che porta alla condensazione emotiva che viene strutturata internamente rimanendo parte di sé. Ci si ferma prima, senza dare alle emozioni la possibilità di essere vissute.

Nel gioco degli specchi, delle immagini ritoccate e clonate, postate sui social network, l’adolescente alla ricerca del riconoscimento del proprio sé da parte dell’altro, può arrivare a strutturare la propria identità, la propria autopercezione corporea, la propria autostima, sull’eco dei mi piace che riceve dalle immagini che posta.


Nel momento in cui sono sotto pressione si tagliano, o meglio tagliano
la connessione tra il pensiero e la consapevolezza


Ecco allora che un dolore insopportabile, una delusione, ma anche l’incapacità a gestire la noia, o di apparire “eroi” come gli altri che lo hanno fatto, porta soprattutto le ragazze, alle prese ancora di più che i ragazzi con il riconoscimento della propria immagine corporea, a segnare il proprio corpo con tagli, segni da nascondere agli occhi dei genitori che tuttavia, nelle immagini postate sui social network, assicurano l’appartenenza ad un gruppo specifico e l’appropriazione di un segno d’identità: le ragazze “cutter”.

Ragazze cutter che utilizzano il taglio per l’incapacità di gestire e quindi il bisogno di allontanare una tensione esagerata. Nel momento in cui sono sotto pressione si tagliano, o meglio tagliano la connessione tra il pensiero e la consapevolezza che sentono troppo dolorosi e l’atto.

Nell’agito auto-diretto (a differenza del cyberbullismo dove l’acting e l’aggressività sono eterodiretti) il taglio fisico scaccia e vince sul dolore mentale che viene spostato ed inglobato nell’immagine del segno sul corpo mettendo chiaramente in evidenza la traccia visibile e concreta di un’incapacità a vivere le emozioni, che viene però condivisa ed espansa nei social network, rimarcando l’esigenza adolescenziale dell’appartenenza al gruppo.

Come scrive l’antropologo francese Le Breton (2003, pag.11): “La ferita crea un rifugio provvisorio, che consente all’individuo di riprendere fiato: […] serve a scaricare una tensione, un’angoscia che non lascia più alcuna scelta, nessun’altra risorsa – e di cui l’individuo deve potersi liberare”.

Il segno poi, diventa selfie e veicolo per una testimonianza condivisa che incrementa ancora di più questa le caratteristiche alessitemiche delle nuove generazioni e rafforza l’esigenza di appartenere ad un gruppo compatto e coeso in cui predomina l’incapacità a gestire il dolore e la rabbia; il groviglio emozionale proprio di un’identità in formazione.

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{xtypo_rounded2}Diffusione{/xtypo_rounded2}

Seppur sia difficile dare una stima precisa del dilagare del fenomeno, i clinici iniziano a denunciarne la prevalenza sempre più diffusa all’interno delle scuole e dei contesti di vita dei ragazzi.

In un’indagine apparsa su Repubblica (giugno 2014) vengono riportati i seguenti dati allarmanti:

  • Circa 200.000 adolescenti in Italia praticano il cutting
  • Il 90% sono ragazze tra i 13 e i 16 anni
  • Soltanto, una minima parte, intorno al 15% chiede aiuto
  • Nel 70% dei casi si tratta di un fenomeno di autolesionismo legato all’età, ma nel 30% rischia di cronicizzarsi
  • Negli ultimi anni il fenomeno di emulazione attraverso i Social Network è cresciuto del 30%

Così come il telefonino, rappresenta per i giovani di oggi, una protesi psichica alla quale non si può rinunciare, sembra quindi che il fenomeno del cutting sia l’espressione di una nuova modalità di attacco al corpo adolescence-limited, legato a tendenze e mode giovanili e al sostenimento della fragilità narcisistica (Ladame, 2004) che ha la funzione di una “protesi identitaria” (Le Breton, 2002) a garanzia del riconoscimento di un sé fragile.

Occorre necessariamente distinguere da il cutting da altre più patologiche, più gravi a livello prognostico, caratterizzate dalla volontà di farsi intenzionalmente del male quali l’autolesionismo, quasi sempre in comorbidità con altri disturbi come: disturbi alimentari, disturbi borderline, abuso di sostanze.

{xtypo_rounded2}Genitori consapevoli{/xtypo_rounded2}

I segnali più evidenti sono:

  • Rifiuto di andare al mare o in piscina e altre situazioni in cui il corpo è visibile
  • Indossare ‘sempre’ indumenti che nascondono polsi, braccia, gambe, specie fuori stagione
  • Portare o nascondere in camera da letto, zaino, indumenti o scarpe oggetti taglienti come
  • Lamette, rasoi, taglierini, cocci di vetro, spille di sicurezza, chiodi o aghi
  • Incidenti, contusioni, graffi, tagli, bruciature frequenti giustificati da incidenti improbabili.

{xtypo_rounded2}Cosa fare?{/xtypo_rounded2}

Il fenomeno del Cutting, rappresenta una, tra le varie, “testimonianze visibili” che gli adolescenti multistasking, impegnati a gestire freneticamente l’ampliamento esponenziale della realtà (mondo reale e mondo virtuale), condividono nei gruppi social per esprimere il loro disagio nella gestione delle emozioni.

Grido d’aiuto, ampliato e condiviso nel Web, che veicola la necessità di ricercare una coesione e una compattezza gruppale, che colta, ascoltata, e compresa dai genitori può essere fronteggiata rimarcando l’appartenenza affettiva alla famiglia; luogo di critiche, svincolo, giudizio, ma anche “garanzia” del necessario rifornimento affettivo per il decollo verso il mondo dei “grandi”.

Il Web, potrebbe in quest’ottica, essere considerato come lo strumento che, se utilizzato in modo intelligente, permetterebbe di superare il “divario generazionale” tra genitori e figli.

La genitorialità digitale deve essere basata sull’osservazione attenta delle attività che i propri figli attuano in rete (che non significa spiare, rubare password di accesso ect. ma condividerle insieme), sulla spiegazione dei possibili rischi connessi alla navigazione nel Web e sull’incremento delle attività online:

  • Conoscere l’utilizzo delle nuove tecnologie
  • Incrementare la condivisione affettiva in famiglia
  • Stabilire un dialogo con i propri figli anche prendendo in considerazione le attività svolte dal ragazzo in rete
  • Osservare l’equilibrio tra amicizie on-line e off-line
  • Favorire il contatto reale con gli amici

Nella continua e costante fusione tra mondo reale e mondo virtuale l’adolescente può perdere i confini del proprio sé, ancora delicatamente labile perché in fase di trasformazione, e dissolversi nei meandri della Rete che se da una parte cattura, dall’altra non può essere priva di quell’ancoraggio affettivo necessario alla salutare esplorazione adolescenziale. Come il bambino si allontana nel parco sapendo che il genitore rimane ad osservarlo attentamente dalla panchina, pronto a soccorrerlo nel momento in cui cade, l’adolescente che sperimenta la sessualità, l’amicizia, i pensieri anche nel Web, con i pericoli connessi alla navigazione, deve poter contare su una base sicura costituita da persone reali, che gli garantiscono quell’affettività necessaria per rimanere saldi, seppur evolutivamente confusi, nell’esplorazione esterna.

Nel gioco degli specchi, caratteristico della nostra società, basata sull’immagine iconica e fortemente narcisistica, gli adolescenti possono portare all’estremo le debolezze tipiche di un sé in formazione e rimanere schiacciati dallo strumento che solo apparentemente dava loro forza emotiva che come un boomerang può trasformarsi in forza distruttiva per il loro labile sè; il fenomeno del cutting ne è una testimonianza rilevante.

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L’osservazione degli adolescenti, punto di partenza, per sviluppare programmi di prevenzione ed intervento che possano sostenere le conseguenze patologiche di un uso inadeguato del Web mette chiaramente in evidenza la necessità e il desiderio di comunicazione che questi ragazzi hanno e che spesso viene ad essere assorbita dal continuo ed incessante scambio di messaggi via chat, che seguendo la velocità repentina e motoria del tapping non riescono a riflettere adeguatamente sui propri ed altrui stati mentali.

Consapevoli del fatto che Internet è diventato parte integrante dell’attività mentale degli adolescenti, ci preme sottolineare che per evitare di sentirsi “insieme ma soli” (Turkle, 2011) occorre necessariamente sostenere la flessibilità e l’equilibrio tra amicizie on line e off line , e cementare il bagaglio affettivo con dei legami reali che si costruiscono con il contatto vis a vis con l’altro e non con icone simboliche di condivisione affettiva non metabolizzata (vedi emoticons). La noia, che spesso gli adolescenti amano bypassare chiedendo di postare un mi piace, per dare in cambio una votazione sull’aspetto fisico dei propri amici, o realizzando video di derisione e scherno a chi lo richiede, dovrebbe ad esempio essere affrontata e vissuta per far emergere il desiderio di un contatto reale con l’altro dove è lo scambio comunicativo che cementa la relazione ad essere interiorizzato come parte del sé e non la mera immagine virtuale, veicolo emozionale molto spesso privo di un substrato affettivo strutturante.


un genitore attento ai bisogni del proprio figlio adolescente
deve accompagnare il figlio e condividere con lui le esperienze


Dall’altro lato del polo, sostengo la necessità di incrementare quella che abbiamo definito come “genitorialità digitale”, che deve ampliare il proprio vocabolario espressivo con la comprensione e la condivisione affettiva anche della nuova modalità comunicativa digitale in modo da rendere permeabile il confine tra diversi codici generazionali senza alzare con critiche e giudizi, o con l’ignoranza informatica, il muro dell’incomprensibilità tra il vecchio e il nuovo. Così come un genitore attento e responsivo insegna e condivide insieme al bambino l’esperienza formativa del gioco, realizzando ad esempio insieme al proprio figlio un puzzle o un disegno con gli acquarelli o mostrando attenzione a ciò che egli ha realizzato, un genitore attento e responsivo ai bisogni del proprio figlio adolescente non può negare la realtà digitale ma deve accompagnare e monitorare il figlio nella navigazione e condividere con lui le esperienze che vengono vissute, sperimentate ed espresse nel web. La necessità della condivisione, che spesso viene richiesta nei social network, può essere attuata anche in famiglia, creando ad esempio gruppi whatsapp in modo da creare insieme un dialogo familiare anche nel virtuale.

Le strumentazioni digitali non possono quindi essere considerate dei robot innocui e non pericolosi al quale delegare l’assistenza dei propri figli, o addirittura la formazione educativa in quanto sul web c’è “tutto quello che si desidera conoscere”, ma devono essere conosciute, comprese e condivise insieme all’adolescente per monitorarlo nella sua fisiologica esplorazione del mondo esterno (inteso in questo contesto come un’integrazione tra mondo reale e virtuale) ma anche e soprattutto per mantenere un dialogo costante che eviti la saturazione digitale per mezzo di autentici scambi comunicativi.

Dal punto di vista scientifico, occorre invece implementare la ricerca nel proseguire studi che vadano ad analizzare le possibili conseguenze dello tsumani virtuale, in modo da orientare programmi di prevenzione, arrivando ottimisticamente a sostenere, con dati scientificamente provati, che in realtà Internet ci rende intelligenti (Reinghold, 2013).


La professoressa Volpi sta attualmente svolgendo presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Sapienza di Roma una ricerca su un campione di 1.100 adolescenti del Centro Italia, di età compresa tra i 13 e i 21 anni sull’utilizzo delle nuove tecnologie ed è impegnata a diffondere nelle diverse realtà italiane programmi di intervento a sostegno della genitorialità digitale. E’ membro della National School on Addiction della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Politiche Antidroga.

 

Barbara Volpi
Psicologa, specialista in Psicologia clinica, Phd in Psicologia Dinamica e Clinica - collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza - Università di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP (Società Italiana di Ricerca, Clinica e Intervento sulla Perinatalità). È docente al Master biennale di II livello sul Family Home Visiting presso la Sapienza e dell’ Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica di Roma. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue pubblicazioni recenti: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (Tambelli, Volpi, 2015), «Genitori Digitali» (Volpi, 2017), «Che cos'è la cooking therapy» (Volpi, 2020), «Docenti Digitali» (Volpi, 2021), «I disturbi psicosomatici in età evolutiva» (Volpi, Tambelli, 2022) Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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