In un periodo come questo avere una solida rete di relazioni sociali, fatta di amicizie vere, è molto importante per non trovarsi da soli a affrontare le difficoltà che possono impedire a un giovane adulto di raggiungere una condizione di autonomia e benessere personale, una vita sana e appagante. Cosa succede a chi ha pochi amici o nessuno?
È questa la domanda al centro di una recente ricerca sull’amicizia in una città del Canada atlantico.
Il tema dell’amicizia sta oggi vivendo un momento di grande interesse culturale e scientifico. Giornalisti, sociologi, antropologi, psicologi: una vasta gamma di esperti ha argomentato e sottolineato quanto l’amicizia e la connessione sociale siano vitali per vivere bene e in salute, un modo per combattere la crescente “epidemia di solitudine” che si vive in molti paesi, non escluso il nostro.
Ma non tutti vivono l’amicizia allo stesso modo, secondo i ricercatori canadesi. E spesso lo fanno in modo contraddittorio.
Uno studente sulla ventina che ha partecipato allo studio, ad esempio, che si è identificato come una persona senza amici, ha sostenuto di sentirsi triste e solo molto spesso, di sapere di essere introverso e quindi di accettare questa condizione. “Desidero trascorrere il mio tempo da solo, ha dichiarato. Sono pertanto combattuto tra il piacere di non avere amici e l’insofferenza per questa condizione di isolamento. Queste due cose per me sono sempre in conflitto».
L’esperienza di questo ragazzo, spiegano gli autori della ricerca, riflette le più ampie e generali tensioni che molte persone provano riguardo all’amicizia oggigiorno.
Sebbene l’amicizia sia ampiamente valorizzata, la cultura occidentale dà però anche molta importanza all’autosufficienza, vedendo delle virtù e degli aspetti positivi nell’introversione.
Questo tratto della personalità può diventare alla fine una scelta e portare a un desiderio di solitudine, senza tuttavia impedire ai giovani di preoccuparsi degli effetti negativi di una vita senza amici.
Sono tutti aspetti contrastanti della questione che possono lasciare incerti su come sentirsi riguardo al vivere senza amici.
Sperimentare l’assenza di amicizie nella giovane età adulta
Nello studio sono state intervistati un gruppo di giovani uomini e donne per comprendere le esperienze di assenza di amicizie e i loro effetti. Più della metà era tra i 20 e i 30 anni. Erano giovani professionisti, studenti, lavoratori con salario minimo.
Alcuni partecipanti avevano una vita familiare, professionale o di coppia ricca. Altri erano quasi del tutto socialmente isolati.
Tuttavia, tutti i partecipanti consideravano la mancanza di amici come qualcosa di molto problematico, a cui pensavano o che dovevano giustificare agli altri.
La ricerca ha dimostrato che essere soli non significa sempre essere soli in senso emotivo, e che le persone possono attribuire significati diversi alla loro solitudine.
Poiché avevano reclutato giovani “senza amici” piuttosto che giovani “soli” per il loro studio, i ricercatori non avevano dato per scontato che chi non ha amici si senta solo. Invece, volevano capire come vivessero la vita senza amici.
Perché si fa fatica a stringere amicizie
I partecipanti hanno riferito una serie di ostacoli nel fare amicizia, così come loro percezioni e pensieri su cosa significhi non averne.
Le difficoltà nel farsi degli amici includevano la mancanza di incontri regolari con gli altri a causa delle routine accademiche o lavorative, o l’aver abbandonato i social media e perso i contatti con gli amici che si erano fatti.
Alcuni giovani erano rimasti delusi da amicizie passate, o avevano dato la priorità ad altre cose piuttosto che al fare amicizie. Per esempio un partecipante, un avvocato sulla trentina, ha spiegato che esistono per lui molti altri “indicatori” di una vita buona, e che non aveva amici perché aveva scelto di dedicare il suo tempo alla carriera e alla famiglia.
Una giovane assistente amministrativa sulla ventina sentiva invece di finire sempre in amicizie “sbilanciate”, dove lei dava più di quanto ricevesse.
Un ragazzo ha spiegato che non aveva più amici all’università dopo essersi trasferito al di fuori del campus, un problema aggravato dalle restrizioni sanitarie durante la pandemia. Tuttavia, la pandemia non ha necessariamente causato nuove difficoltà nel fare amicizie. La maggior parte dei partecipanti ha affermato infatti di non avere amici già da prima: le ordinanze di lockdown non hanno cambiato nulla nella loro condizione.
Senza amici ma non sempre soli
Lo studio ha messo in luce due narrazioni chiave che i giovani raccontavano sul rapporto tra assenza di amicizie e solitudine. Da un lato, riferivano una solitudine intensa e dicevano di soffrire senza amici. Dall’altro, dicevano che non avere amici offriva opportunità di autosufficienza e indipendenza.
Fondamentalmente, non c’era una distinzione chiara tra i partecipanti che dicevano di essere soli o non soli. Piuttosto, spesso raccontavano storie contraddittorie, sentendosi soli senza amici oppure di sentirsi bene da soli e autosufficienti.
La giovane amministrativa, per esempio, parlava della sua profonda solitudine, eppure riferiva anche con orgoglio di come avesse imparato a uscire da qualsiasi situazione perché non poteva contare su nessun altro.
Indipendentemente dal grado di solitudine che riferivano, i partecipanti spesso provavano vergogna o stigma per non avere amici. Alcuni immaginavano che gli altri pensassero che ci fosse qualcosa che non andava in loro.
I ricercatori, che sono studiosi di fenomeni sociali, spiegano che sebbene le persone possano incolpare se stesse o provare vergogna, le cause dell’assenza di amicizie o della solitudine sono più grandi degli individui singoli e delle loro scelte.
Fare amicizia non è solo un problema personale
Per formulare soluzioni alla disconnessione sociale, non basta chiedersi banalmente: “perché le persone non vanno semplicemente a farsi degli amici?”
Sebbene l’amicizia sembri spesso una questione di scelta personale e di reciproco gradimento, come tutte le relazioni sociali, essa può essere favorita o ostacolata dai modi più ampi in cui le attuali società sono organizzate.
Se esiste un’epidemia di solitudine, non può essere compresa solo come una questione di scelta individuale o come difetto dei social media o di altra tecnologia attualmente imperante. Deve anche essere vista come una condizione strutturale nata da fallimenti infrastrutturali e politici che richiedono soluzioni collettive.
Una domanda migliore, secondo gli autori della ricerca, potrebbe essere: l’amicizia è accessibile alle persone? Ci sono abbastanza spazi pubblici gratuiti e inclusivi dove le persone possano incontrarsi per fare amicizia? In che modo gli orari lavorativi rigidi e spesso imprevedibili che devono affrontare molti giovani adulti rendono difficile coltivare amicizie?
Ognuno potrebbe riconoscere ostacoli di questo genere nella sua stessa vita e sentirsi disconnesso non perché non ci stia provando a fare amicizia, ma perché mancano spesso le condizioni per la connessione con gli altri.
Se la nostra società, concludono i ricercatori, valorizzasse davvero l’amicizia tanto quanto sostiene, nella lotta contro la solitudine si potrebbe allora fare collettivamente molto di più per creare spazi sociali e politiche che favoriscano le conoscenze e l’interazione sociale.