Nel passaggio dall'infanzia all’adolescenza, il rapporto tra genitori e figli tende a diventare più conflittuale. Le divergenze crescono, le incompatibilità aumentano, e con esse si intensificano le recriminazioni reciproche. In questo contesto, i rimproveri e le accuse diventano spesso lo strumento con cui si esprimono disaccordo, frustrazione o delusione.
Il rimprovero, spiega la psicologia, può assumere varie forme: può servire a individuare una responsabilità, a punire un comportamento, a esprimere rabbia per un torto percepito o anche a difendere la propria posizione in una discussione. Non di rado, dietro vi si nasconde un bisogno emotivo ferito, oppure la volontà di etichettare sé stessi come vittime e l’altro come colpevole.
Questo modo di mettersi in relazione di comunicare, per quanto frequente, si rivela dannoso. Colpire attraverso la critica, il sarcasmo, la delusione o il confronto svalutante può ferire profondamente. Sentirsi accusati o giudicati – specialmente da una figura genitoriale – può lasciare segni duraturi nell’autostima di un adolescente.
Una delle manifestazioni più dannose della disapprovazione genitoriali, secondo gli esperti di genitorialità, è l’uso di etichette negative. Frasi come “Sei pigro”, “Sei un fallimento”, “Sei una delusione” non descrivono un comportamento, ma colpiscono direttamente l’identità del ragazzo o della ragazza.
Espressioni di questo tipo, spesso pronunciate sull’onda dell’emozione, possono avere un impatto profondo, proprio perché provengono da figure centrali nella vita emotiva dell’adolescente.
Evitare i rimproveri non significa rinunciare a esprimere un disaccordo. Al contrario, è possibile trasformare un conflitto in un’occasione di dialogo costruttivo. Questo processo inizia da un cambio di prospettiva: anziché accusare, il genitore può esprimere il proprio punto di vista attraverso un linguaggio non giudicante.
La psicologia, per chiarire questi concetti, utilizza il concetto di “messaggio-io”. A differenza dei “messaggi-tu” – che suonano come accuse e innescano difesa e opposizione – i “messaggi-io” partono dall’esperienza emotiva del genitore.
Di fronte a un rientro tardivo del figlio senza preavviso, anziché esprimere rabbia con un’accusa, dando ad esempio al ragazzo dell’irresponsabile, il genitore potrebbe esprimere in modo più pacato e comunicativo la propria preoccupazione, spiegando che non vedendo rientrare il figlio ha iniziato a pensare che gli fosse successo qualcosa.
In questo modo, si comunica il disagio senza svalutare l’altro, aprendo lo spazio a una conversazione costruttiva, che getti le basi per trovare un modo per essere informati quando al giovane succede di fare tardi.
Sebbene scaricare la disapprovazione possa sembrare una valvola di sfogo immediata, nel lungo periodo rischia di compromettere la relazione genitore-figlio. Coltivare invece una comunicazione basata sull’ascolto e sull’autenticità delle emozioni permette di educare senza ferire e di affrontare i conflitti senza distruggere la fiducia reciproca.
È un consiglio non facile da mettere in pratica, questo, ma prezioso. Sostenere il dialogo e evitare la critica e il giudizio, che creano un pericoloso spazio per l’incomprensione e il risentimento da genitori e figli.