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Ti seguo, mi segui, ci seguiamo, so dove sei, con chi sei, volendo se sei vicino posso raggiungerti senza che tu te ne accorga, così posso controllarti e se non pubblico nulla o ti depisto con video che ho girato in un altro momento posso scoprire la verità e fregarti davvero questa volta.

 

Ti seguo, mi segui, ci seguiamo e il passo successivo del controllo, dell’ossessione sull’altro come se l’altro fosse un oggetto da possedere, è a volte drammaticamente inevitabile nella veste paradossale di normalità che le nuove forme di comunicazione digitale stanno portando ad assumere soprattutto, ma non solo, per le nuove generazioni. Del resto, i social nascono come vetrina portatile di sé stessi, della propria immagine che viene traghettata in rete nella sua veste migliore permettendo in un sol colpo di innalzare l’ego e superare timidezze, distanze, ostacoli relazionali. A volerla dire tutta poi il guardare, il voler sapere, l’osservare, il desiderio di conoscere l’altro dai resoconti di amici, parenti, conoscenti è una forma comunicativa onnipresente da sempre. Il portierato chiacchiereccio nascosto quasi sempre da un velo di discrezione, del cortile di casa, delle piazze e dei pettegolezzi all’uscita di scuola, si è trasformato nel web in un fare epidemico che ha perso la virtù del rispetto per l’altro e per la vita dell’altro trasformandolo in un comportamento medio, il più delle volte socialmente accettato, dai toni drammaticamente comuni.

La rivoluzione digitale è stata repentina ed improvvisa, ma non dimentichiamo mai che gli strumenti digitali sono stati creati dall’uomo per soddisfare i bisogni dell’uomo e l’essere in relazione con l’altro, è il motore per eccellenza delle nostre azioni e del nostro vivere quotidiano. Dalla nascita, l’uomo ha bisogno e cerca l’altro per soddisfare i suoi bisogni primari e il comportamento di attaccamento, il cercare di entrare in contatto e in sintonia con la persona che si prende cura di me, è la pietra miliare del nostro cercare l’altro nel corso della vita. Il bisogno di cercare e ricercare il contatto con i miei affetti, è una necessità che ci accompagna, riprendendo le parole di John Bowlby, il padre della teoria dell’attaccamento, per tutta la vita “dalla culla alla tomba”.

I social network per loro costituzione strutturale sono stati plasmati sul bisogno dell’essere umano di connettersi all’altro, di garantire un legame che vada oltre la presenza fisica, sopperendo al sentimento dell’assenza, con la presenza costante dove il sei lontano, non sei con me, sparisce di fatto nell’illusione mediatica di trovarti e vederti sempre nel web. Nelle storie Instagram, negli accessi che fai su WhatsApp, negli stati.

Ti vedo, ci sei, sei connesso, so dove sei, posso chiamarti, sentirti, seguirti, vivere al di là dello schermo parte della tua vita, vedere la tua casa, i tuoi amici, le tue foto quando eri piccolo e piano piano, per placare la mia ansia di separazione, del tutto fisiologica in un legame di attaccamento, tranquillizzarmi finché la nostra connessione e la nostra intimità non verrà rinnovata nell’incontro reale.

Processo questo che nell’interconnessione real/digital life sembra procedere su binari collegati in un processo bidirezionale di andata e ritorno in cui quello che c’è fuori nel reale si combina con un mezzo digitale che fa da supporto e strumento a relazioni affettive fondate e cementate nell’interattività contestuale delle vite di ciascuno. I problemi sorgono nel momento in cui lo strumento digitale viene utilizzato male, allontanandosi dalla sua predisposizione strutturale di aiutarci a vivere le relazioni, assumendosi la veste di mediatore affettivo in cui predomina il controllo sull’altro. Non considerando che il controllo, la non fiducia, o la verifica della fiducia, sono un primo colpo verso il riconoscimento di me stesso, delle mie scelte, dei miei stessi valori.

L’esserci sempre nel web mi autorizza sì a cercarti per rinnovare ed alimentare la nostra connessione, ma a volte nel fare male digitale, spiarti, seguirti, non per viverti e crescere insieme ma per controllarti, controllare le tue azioni, i tuoi pensieri, in cerca di conferme o disconferme. Se sento la necessità e il bisogno di agire un controllo però agisco un controllo e una verifica fallace verso me stesso e ciò che mi circonda. Se ci sei nel Web e mi sfuggi nella vita reale, mi abbandoni, sparisci, mi eviti, non posso arrivare a te e, se non sono cresciuto nel rispetto dei legami posso vacillare e non riuscire a contenere la delusione, il confronto, la perdita. Ci sei sempre come e perché allora devi sparire proprio da me, dalla mia vita?

Il web, mediatore affettivo è un potente alleato della fragilità psicologica delle persone, in quanto permette di soddisfare istintualità primordiali, dando l’illusione di aiutarci a gestire meglio l’assenza, ma anche le incomprensioni, il litigio, la rabbia, in alcuni casi l’abbandono. Posso vederti e seguirti, cambiare profilo e ingannarti per verificare la tua fedeltà, la tua onestà, il tuo essermi amico o nemico, metterti alla prova creandoti dei tranelli mediatici in cui si può scoprire finalmente la verità. Ma così come l’ingresso nel digitale parte dal reale, da un bisogno che sorge dall’animo umano e non da una macchina, la presenza nel web, sotto le varie forme che vanno dai profili Instagram, agli stati di WhatsApp, alle spunte dei messaggi, agli stati bloccati, all’esclusione di amici dal gruppo di classe, può assumere una veste di depersonalizzazione in cui quello che c’è che si legge che si segue che si controlla cancella piano piano l’essenza della persona reale.

Più si controlla l’altro, più si cercano indizi per comprendere le sue azioni, il suo pensiero, i suoi sentimenti, più ci si allontana dall’incontro vero reale e si costruisce uno schermo proiettivo in cui il contatto reale si deforma e assume toni parossistici di controllo, ossessione, sfiducia, rabbia e alienazione.

Mi controlla perché è geloso, mi fa piacere.

Ha fatto l’ultimo accesso alle 2.00 così come Ilaria.

È stato online 3 ore ma non con me.

Ho cambiato la foto del profilo perché non gli piaceva.

L’ho bloccato da tutti i miei account social.

Ho controllato mentre dormiva le chat.

Ci si allontana dalle relazioni e si legittima il CONTROLLO ad una consuetudine operativa che, senza la necessaria riflessione e giusta consapevolezza, può sfuggirci di mano e trapassare i confini del rispetto dell’altro e di me stesso, della discrezione, della dignità, della condivisione affettiva vera e salutare.

Scettro del CONTROLLO che può trasformarsi in OSSESSIONE e approdare sull’altra sponda, dove la persona è oggetto di possesso e non d’amore, e in cui la violenza nel non riconoscimento o nella distruzione del sé reale, può utilizzare il Web come mezzo per ferire, offendere, denigrare, escludere, colpire e cancellare l’altro. L’integrazione è bidirezionale da fuori si entra dentro e da dentro, si diffonde epidemicamente fuori, in modo a volte violento e radicale. Anche qui il WEB arriva ad amplificare il disagio e la violenza nelle varie forme digitalmente trasformate vuoi che siano cyberbullismo o stalking virtuale, cutting o challenge estreme.

TUTTE FORME di violenza che portano sempre il non riconoscimento del confine tra ciò che è fuori e ciò che da dentro arriva ad erodere il fuori, ciò è dentro di me e ciò che è fuori di me.

Se non ci sei ho bisogno di vederti, di abbracciarti e non di controllarti.

Se litigo con te ho bisogno di chiarirmi e di incontrarti.

Se ho il desiderio di conoscerti cerco di trovare occasioni per farlo e no spio il tuo profilo.

Se provo rabbia cerco di comprendere o cerco un aiuto che mi possa aiutare a star meglio.

Se mi hai tradito o hai tradito non ho bisogno di pubblicare tutto su Facebook per vendicarmi.

Fermiamoci un attimo:

Utilizziamo il Web nella sua potenzialità per diffondere comportamenti virtuosi perché il fare male digitale può far davvero provocare tanto dolore, essere violento ed estremo come tante volte si legge nei fatti di cronaca. Per PREvenire dobbiamo partire prima ed educare alle emozioni e ai sentimenti per evitare la mediazione affettiva dello strumento digitale che può simulare la realtà umana ma non sarà mai tale.

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ATTENZIONE al CONTROLLO DIGITALE,

Viviamo le relazioni nell’hic et nunc delle relazioni sempre e sempre nel rispetto di noi stessi e degli altri!

 

 

 

 

Barbara Volpi
Psicologa, specialista in Psicologia clinica, Phd in Psicologia Dinamica e Clinica - collabora con il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica della Sapienza - Università di Roma. È membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Politiche Antidroga e Socio Fondatore della SIRCIP (Società Italiana di Ricerca, Clinica e Intervento sulla Perinatalità). È docente al Master biennale di II livello sul Family Home Visiting presso la Sapienza e dell’ Accademia di Psicoterapia Psicoanalitica di Roma. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue pubblicazioni recenti: «Gli adolescenti e la rete» (Carocci, 2014) e per il Mulino «Family Home Visiting» (Tambelli, Volpi, 2015), «Genitori Digitali» (Volpi, 2017), «Che cos'è la cooking therapy» (Volpi, 2020), «Docenti Digitali» (Volpi, 2021), «I disturbi psicosomatici in età evolutiva» (Volpi, Tambelli, 2022) Per informazioni scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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