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Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo l'introduzione del saggio Di mondo in mondo. La pedagogia nella «Divina Commedia», di Raffaele Mantegazza (Castevecchi editore).

Contempliamo interessatamente, dunque,
e entriamo nel vivo del nostro scandaloso esperimento

Edoardo Sanguineti
Il realismo di Dante

Che cosa impara Dante durante il suo pellegrinaggio nei tre regni dell’oltretomba? Da chi lo impara? E come lo impara? Quali strumenti e dispositivi pedagogici sono in atto nei tre regni oltremondani?   Queste le domande all’origine del nostro libro.

20140923 Mantegazza

{xtypo_quote_right}Ci interessa andare alla ricerca della “pedagogia dei non pedagogisti”, ovvero delle tracce pedagogiche disperse e diffuse nei prodotti culturali e soprattutto letterari e poetici. La speranza è che ciò che ne è risultato possa mostrare come l’anima pedagogica di un oggetto culturale sia tanto più profonda e vitale quanto meno didascaliche e didattiche in senso triviale sono le intenzioni dell’autore; ovvero che in un poema c’è tanta più pedagogia quanto meno l’autore ve ne ha immessa surrettiziamente dall’esterno.{/xtypo_quote_right}

 

Se possiamo definire l’educazione come la pratica tesa a conferire soggettività a un essere umano, a costruirlo come soggetto all’interno e attraverso un reticolo di pratiche, discorsi, metodi, approcci, saperi; e se la pedagogia è la progettazione e lo studio di tale pratica e l’allestimento di tale reticolo, non necessariamente da parte di un educatore professionista o comunque di qualcuno con uno specifico mandato educativo; se infine consideriamo che ogni forma culturale, non esplicitamente educativa, può avere effetti pedagogici voluti o meno, progettati o meno, intenzionali o meno; tutto ciò premesso non dovrebbe apparire troppo scandaloso l’esperimento di cercare la pedagogia e l’educazione dentro il libro più importante mai scritto da essere umano, ovvero la Commedia.

 

Le domande che ci poniamo sono piuttosto semplici, anche se come spesso accade le risposte lo sono molto meno: che  cosa impara Dante attraverso il suo corpo e  i suoi organi di senso? E che cosa impara egli dai paesaggi che osserva, dalle città che attraversa,  dalle porte che valica? (cap. 1, “Il viaggio”). Quali educatori con una esplicita missione pedagogica egli incontra e quali sono i loro metodi educativi? Quali sono i metodi di Virgilio e in cosa si differenziano da quelli di Beatrice?   In cosa consistono i riti educativi ai quali Matelda,  Pietro, Giacomo e Giovanni sottopongono il poeta? Qual è il ruolo di Lucia e Bernardo, che aprono e chiudono l’avventura educativa del  pellegrino? (cap 2, “Gli educatori”). Quali altri incontri, con persone o soggetti che non hanno un mandato pedagogico esplicito, hanno però ricadute educative forti sul soggetto, e perché? Cosa impara Dante da angeli e mostri, da diavoli e beati, da Ugolino e da Francesca, da Ulisse e da Cavalcante Cavalcanti, da Guinizzelli e da Cacciaguida? (cap. 3, “Gli incontri educativi”).

Al di là dell’analisi dei personaggi che direttamente occupano una posizione educativa  che costituisce una parte consistente del libro,  ci interessa dunque la pedagogia indiretta, ovvero ciò che  viene appreso da Dante al di qua di una intenzionalità pedagogica esplicita. Non prenderemo dunque in considerazione gli esempi di pedagogia esplicita come le lunghe spiegazioni teologiche che caratterizzano il Paradiso, se non per quegli inserti metodologici e pedagogici che esse quasi accidentalmente contengono; ci interesseremo soprattutto dell’apprendimento inconsapevole che spesso (non per Virgilio e Beatrice, ovviamente) richiama anche un insegnamento inconsapevole.

Sulla scia dei nostri precedenti libri Educazione e poesia. Pedagogie in forma di verso [1], e Oceani di silenzio. Tracce educative  dalla mistica cristiana. Eckhart, Porete, Silesius [2] ci interessa andare alla ricerca della “pedagogia dei non pedagogisti”, ovvero delle tracce pedagogiche disperse e diffuse nei prodotti culturali e soprattutto letterari e poetici; affrontare Dante è stata una scommessa difficile, una “impresa da non pigliare a gabbo”. La speranza è che ciò che ne è risultato possa mostrare come l’anima pedagogica di un oggetto culturale sia tanto più profonda e vitale quanto meno didascaliche e didattiche in senso triviale sono le intenzioni dell’autore; ovvero che in un poema c’è tanta più pedagogia quanto meno l’autore ve ne ha immessa surrettiziamente dall’esterno. Il percorso “di mondo in mondo” del poeta fiorentino ci è sembrato il terreno adatto per sperimentare un approccio pedagogico che liberi la pedagogia dai rischi contrapposti di uno sterile e freddo tecnicismo didattico e di un vago e sempre meno rigoroso estetismo autocompiaciuto, verso il recupero di una filosofia dell’educazione che possa collocarsi a fianco della filosofia dell’arte, della filosofia della scienza, della filosofia del linguaggio senza sensi di inferiorità. Dante è un banco di prova terribile e straordinariamente affascinante, soprattutto per chi come noi non è uno specialista in letteratura e tantomeno in letteratura medievale; al lettore che gli pone domande come le nostre egli chiede un rigore assoluto e quasi ascetico: un rigore che abbiamo cercato di inventarci, proponendo un metodo e una griglia di lettura, una contemplazione interessata del poema a partire dalla “lettura colpevole” dal punto di vista della filosofia dell’educazione;  metodo e griglia, contemplazione  e lettura a proposito dei quali lasciamo al lettore il giudizio sulla resa, l’utilità, la possibile trasferibilità ad altri esempi e modelli.


[1] Troina, Città Aperta, 2009
[2] Roma, elledici-Neumann, 2013

Raffaele Mantegazza
Dal 1999 insegna presso l'Universita' di Milano Bicocca, facolta' di Scienze della Formazione. Ha pubblicato oltre 40 libri e circa 200 articoli su riviste specializzate. Attualmente la sua cattedra universitaria e' Pedagogia Interculturale.