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Il comportamento antisociale limitato all’adolescenza emerge in prossimità della pubertà, quando i giovani sperimentano disagio psicologico. Sono gli anni in cui i ragazzi si trovano ad avere un ruolo sociale e un’identità ancora indefiniti, tra il momento della maturazione biologica e l'accesso a privilegi e responsabilità più adulte. Se il loro sviluppo "pre-delinquenziale" è stato normale, la maggior parte di questi ragazzi sono in grado di desistere dal crimine quando crescono assumendo ruoli adulti veri, ritornando gradualmente ad uno stile di vita più convenzionale.

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Terrie Moffitt si occupa soprattutto di temi connessi all'area dei comportamenti antisociali, violenti e criminali e, in particolare, il suo lavoro si concentra sullo sviluppo dell’essere umano. Tra le sue principali occupazioni, lo studio dei problemi di depressione, psicosi e tossicodipendenza negli autori di reati penali. La sua esperienza ci introduce alla problematica del comportamento delle persone che hanno problemi con la legge, con riferimento anche alla loro salute e alla loro situazione sociale. Ci parla inoltre degli effetti di questa situazione difficile sulla loro salute fisica e mentale. La prof.ssa Moffitt distingue due tipi di autori di reato, quelli precoci e quelli che lo diventano in età più avanzata, e descrive i loro diversi modelli di vita, modelli che sono le principali cause dei loro problemi con il sistema penale. In ultimo, ci introduce a un nuovo campo di studi, denominato “criminologia dello sviluppo”, che afferisce al dipartimento di criminologia.

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Può fornirci una breve panoramica del suo background professionale, delle attività di ricerca svolte nel campo della giustizia minorile?

Studio in particolare come i rischi genetici e di contesto, unitamente, modellino il corso dello sviluppo dei disturbi psichiatrici. Il mio interesse particolare è rivolto ai comportamenti antisociali, violenti e criminali, ma studio anche depressione, psicosi e abuso di sostanze. 

Potrebbe descrivere brevemente la sua teoria sugli autori di reato precoci e su quelli non precoci?

Un mio studio pubblicato ormai diversi anni fa, frutto di quindici anni di ricerche sulla classificazione dello sviluppo di comportamenti antisociali, ha proposto due ipotetici macro-gruppi: gli autori di reato recidivi per tutta la vita e gli autori di reato nella sola adolescenza (Moffitt, 1993). Secondo questa tassonomia, il comportamento antisociale a vita, recidivo, ha le sue origini nei processi di sviluppo neurologico, comincia nell'infanzia e continua costantemente fino alla mezza età. Al contrario, il comportamento antisociale limitato all’adolescenza ha le sue origini nei processi sociali, inizia in adolescenza e cessa quando viene raggiunta l’età adulta. Secondo questa teoria, gli individui con comportamenti antisociali continuativi per tutta la vita sono pochi, recidivi e patologici. Gli individui antisociali solo nel corso dell’adolescenza sono molto più comuni, è una fase relativamente transitoria, e quasi prevedibile.

In poche parole, a nostro avviso il comportamento antisociale che prosegue tutta la vita ha inizio nei primi anni di vita, quando il comportamento difficile di un giovane ad alto rischio viene aggravato da un contesto sociale anch’esso ad alto rischio. Secondo la teoria, il rischio del minore emerge da una ereditaria o acquisita variazione neuropsicologica. Inizialmente si manifesta come deficit cognitivo sottile, temperamento difficile, o iperattività. Il rischio di contesto comprende fattori quali la genitorialità inadeguata, maltrattamenti, legami familiari compromessi, e la povertà. L’area del rischio di contesto si allarga oltre la famiglia man mano che il bambino cresce, arrivando a includere relazioni squalificate con persone quali i pari e gli insegnanti. Le opportunità di apprendere le abilità pro-sociali vanno perdute. Nel corso dei primi due decenni di sviluppo, le inter-relazioni tra l'individuo e il contesto gradualmente costruiscono una personalità disordinata, con i caratteristici segni distintivi dell’aggressività fisica e del comportamento antisociale persistente fino alla mezza età. La teoria predice che il comportamento antisociale coinvolgerà molteplici aree della vita adulta: attività illecite, problemi con l'occupazione, violenza ai familiari. Questa diffusività delle tendenze antisociali riduce la possibilità di rieducazione.

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Al contrario, abbiamo rilevato che il comportamento antisociale limitato all’adolescenza emerge in prossimità della pubertà, quando i giovani senza patologie caratteriali sperimentano disagio psicologico, Sono gli anni in cui questi ragazzi si trovano ad avere un ruolo sociale e un’identità ancora indefiniti, tra il momento della maturazione biologica e il loro accesso a privilegi e responsabilità più adulte, un periodo che ho chiamato "il gap della maturità". Sperimentano insoddisfazione per il loro status di dipendenza dai genitori come se fossero ancora bambini, e l'impazienza per quello che prevedono saranno i privilegi e i diritti della vita adulta. Mentre i giovani sono in questo "gap" è praticamente conseguente per loro trovare il comportamento delinquenziale accattivante e quasi naturale diventa imitarlo, come un modo per dimostrare autonomia dai genitori, far gruppo con i coetanei, e accelerare la maturazione sociale. Tuttavia, poiché il loro sviluppo pre-delinquenziale era normale, la maggior parte degli autori di reato “limitati all’adolescenza” sono in grado di desistere dal crimine quando crescono assumendo ruoli adulti veri, ritornando gradualmente ad uno stile di vita più convenzionale. Questo recupero può essere ritardato se le loro attività antisociali hanno incluso fattori che abbiamo chiamato "insidie", quali denunce penali, carcere, tossicodipendenza, o interruzioni degli studi, senza ottenere titoli di studio. Tali insidie ​​possono compromettere la capacità di effettuare una transizione di successo verso l'età adulta.

La “American Society of Criminology” ha stabilito alcune nuove suddivisioni, lo scorso anno. Una di queste è “Criminologia dello sviluppo”,  una nuova branca della Criminologia. Può dirci di più su questa disciplina?

Rispetto ad altri campi delle scienze comportamentali, la “Criminologia dello sviluppo” è ancora un neonato, o al massimo un bambino. Oggi praticamente ogni libro di testo di criminologia e antologia delle teorie criminologiche, dedica un'intera sezione per coprire gli approcci dello sviluppo o dell’intero arco di vita. Ma lo studio dello sviluppo nel corso della vita non è stato sempre così onnipresente in criminologia, era piuttosto marginale fino a poco tempo fa. Ho riguardato i sommari e indici dei testi più popolari su criminalità e delinquenza di 25 anni. Ho trovato appena un accenno alla questione dello sviluppo, o qualcosa di simile. Sono stati fatti con il tempo studi trasversali preparatori. Lo studio dello sviluppo della criminologia nel corso della vita ha ormai lasciato il segno, come dimostra, nel 2011 Ellen Cohn la quale ha riferito che otto dei più importanti criminologi sono diventati “criminologi dello sviluppo”. Ora, a partire da una solida base teorica ed empirica, questa nuova scienza, che scava nello sviluppo della personalità umana allo scopo di comprendere e prevenire il crimine, è pronta a fare scoperte davvero grandi. La prevenzione e il  controllo della criminalità sono essenziale per migliorare le possibilità di uno sviluppo umano sano di tutti, ovunque.

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Quali principi dovrebbero essere seguiti al fine di ridurre e prevenire la devianza giovanile?

Negli ultimi 15 anni la nostra tassonomia è stata utilizzata per migliorare la classificazione dei gruppi oggetto di ricerca e per concentrare la ricerca sulla personalità antisociale e sulla violenza, verso le variabili causali più significative. È stata anche utilizzata per guidare la pianificazione degli interventi. Ad esempio, prevenire un comportamento antisociale "a vita" richiede interventi già nella prima infanzia in famiglia, mentre la prevenzione della devianza limitata al periodo adolescenziale richiede trattamenti individuali durante l'adolescenza per contrastare l'influenza dei pari (al posto di azioni e trattamenti di gruppo, che facilitano l'influenza dei pari). Abbiamo inoltre sostenuto che il sistema della giustizia minorile dovrebbe identificare i giovani appartenenti alla categoria della devianza limitata all’adolescenza, per garantire loro mirate attività rieducative. Abbiamo anche sostenuto che lasciare gli autori di reato appartenenti alla categoria dei recidivi al Tribunale per adulti, non sia una soluzione praticabile, perché i deficit cognitivi tipici di questi autori di reato, li rende inadatti per essere sottoposti a un normale processo, con applicazione di criteri giuridici che prescindano da quei deficit.

intervista da OIJJ – Internation Juvenile Justice Observatory, dicembre 2013

 

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