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“Invalida maltrattata per anni. Allontanato il marito violento”. L’articolo, comparso su un quotidiano locale – la Gazzetta di Reggio Emilia – il 4 febbraio scorso, mi ha colpita parecchio. Ne riporto un frammento.

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Dagli accertamenti è emerso come la donna, invalida al 100 per cento, a partire dal 2015 sia stata sottoposta a costanti vessazioni fisiche e morali da parte del marito, che non perdeva occasione per schiaffeggiarla ripetutamente, afferrarla con forza al collo, stringerle la mano affetta da invalidità provocandole dolori lancinanti. Diverse volte la donna è stata gettata a terra, minacciata puntandole al petto un grosso coltello e proferendole frasi umilianti e ingiuriose. Comprese ripetute minacce di morte tra le quali: «Ti faccio a pezzi e ti metto in un sacco nero che butto nell’Enza». (articolo intero)

Il fatto apre uno spiraglio su un fenomeno tanto diffuso quanto poco percepito a livello generale. Forse solo gli specialisti se ne stanno occupando.

La Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH) ha curato l’indagine “La violenza sulle donne con disabilità: i dati e i fatti”. Il report inizia parlando di discriminazione multipla e propone un’interessante rassegna sulle risoluzioni internazionali. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006) riconosce che queste donne e bambine sono esposte a maggiori rischi, all’interno e all’esterno dell’ambiente domestico, di violenze, lesioni e abusi, abbandono o mancanza di cure, maltrattamento e sfruttamento. Sul tema è ritornato il Parlamento europeo con la risoluzione Situazione delle donne con disabilità (2018), esprimendo preoccupazione per la loro maggiore probabilità di subire violenza domestica e sfruttamento sessuale.

Le insufficienze del nostro Paese, segnalate dall’Onu, sono quelle che si osservano per ogni tipo di violenza e per molti fenomeni sociali: la mancanza di un monitoraggio sistematico; la necessità di formare gli operatori affinché siano più consapevoli, attenti e capaci di accoglienza; la debolezza del lavoro di rete che tuttavia è essenziale. Qualche dato lo riceviamo dall’Istat che ha incluso il tema nella più ampia indagine sulla violenza di genere. Emerge che, tra le donne con disabilità, oltre un terzo (36%) ha subito violenza (sessuale, fisica o psicologica), e la probabilità di venire stuprata è doppia (10%) rispetto alle altre donne (4,9%).

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Agli ostacoli che ogni vittima affronta – difficoltà a riconoscere la violenza, paura di non essere creduta, vergogna, senso di colpa, timore di ritorsioni… – si aggiunge il carico di chi dipende dagli altri per aspetti essenziali della propria vita. E poi ci sono donne che, per limitazioni sensoriali, non potrebbero essere capite se decidessero di sporgere denuncia perché mancano gli interpreti adeguati, o donne ritenute inattendibili quando raccontano quello che vivono.

Sul tema si è concluso da poco il progetto europeo Vivien, coordinato dal Teatro Giolli di Parma che ha coinvolto Italia, Finlandia, Bulgaria e Croazia in un’azione volta primariamente alla formazione di chi lavora con le vittime di reato e di quanti accolgono le donne che hanno subito violenza. Per ovvie ragioni si è svolto soprattutto online e questo ha, almeno, il vantaggio di avere trattenuto l’esperienza e di averla resa disponibile. Sul sito e sul canale YouTube del progetto si trovano diversi materiali: opuscoli scaricabili, testimonianze, convegni online con l’utilizzo del Teatro Forum e altro ancora. Nelle raccomandazioni finali viene sottolineata l’importanza di includere le associazioni per la disabilità nelle reti di contrasto alla violenza di genere. In questo settore, come in ogni altro, i vissuti delle minoranze sfuggono se non vengono rappresentati da chi li conosce in prima persona.

Due riferimenti ancora voglio offrire a chi fosse interessato. Il primo è la lunga esperienza dell’organizzazione Differenza donna, che ha un settore di intervento specifico sul tema. Alle donne con disabilità che subiscono violenza offre supporto psicologico individuale e di gruppo, sostegno legale, accoglienza in case rifugio adeguate. Inoltre, nel 2018, Differenza Donna ha istituito uno specifico Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità.

Infine, trovo particolarmente suggestivo il progetto Silent tears coordinato da Belinda Mason. La fotografa australiana ha incontrato 21 donne con disabilità vittime di violenza, o che sono diventate disabili in seguito alla violenza, e le ha riprese in tre modi diversi: fotografandole, riprendendole in brevi video in cui parlano di sé, e fotografate in acqua, dove “le donne diventano visibili eppure invisibili”, ha spiegato l’artista, “esattamente ciò che sono in realtà”.

Ci sono ormai donne con disabilità che invisibili non vogliono esserlo più. Hanno trovato il coraggio di denunciare la violenza subita e sono state ascoltate e accolte. Mettono in comune il coraggio, augurandosi che possa aprire la strada ad altre donne come loro.

 

testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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