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Ho un’amica pittrice, si chiama Miriam Cariani. È molto brava. Le piace dipingere volti di bambini. Mi ha prestato alcuni dei suoi lavori. Questi che aprono l’articolo, ad esempio, sono bimbi palestinesi, negli orrori della guerra che si è scatenata dopo il 7 ottobre.

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Vivono tra violenze terribili e terribili privazioni, senza acqua, corrente elettrica, cibo, medicine, possibilità di studiare e di giocare serenamente. In tanti senza più il papà o la mamma, i nonni o i fratelli e sorelle. Senza più gli amici. Senza più la vita. Si calcola che ogni giorno nella striscia di Gaza vengano feriti o uccisi 420 bambini (Redattore Sociale, 31.10.23). Come se una scuola di 20 classi venisse bombardata quotidianamente. Questi piccoli che vediamo sono sopravvissuti, o almeno fino a pochi giorni fa lo erano se sono stati fotografati e poi ritratti, ma oggi chissà. Che cosa proviamo guardando i loro occhi smarriti?

È impensabile vivere così. Anche per un adulto, tanto più per un bambino o una bambina. Chi di noi vorrebbe vedere i propri figli o nipoti coinvolti in un massacro del genere?

Anche se, ora che ci penso, questi sono bimbi israeliani. Che cosa proviamo adesso? Sono bimbi in ostaggio, vittime del lutto, testimoni di violenze indicibili.

Sì, mi sono sbagliata, sono israeliani. Si sentono feriti, si sentono traditi. Il papà, la mamma, erano impegnati per la pace, sostenevano i diritti della Palestina, avevano sempre detto che i due popoli sarebbero riusciti a vivere insieme, doveva essere così, e invece il papà non c’è più, invece la mamma è stata portata via e da tanti giorni non si sa più niente di lei.

Ma no, che stupida. Sono ucraini. Quando Miriam mi ha dato i loro ritratti, li ha presi da una cartellina a parte. E comunque è chiara la differenza no? Basta guardarli con attenzione.

Non se ne parla quasi più, della guerra in Ucraina, ma non è mica finita la guerra.

Sul sito del Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite (5 ottobre 2023): “I civili continuano a pagare un prezzo altissimo nella guerra in Ucraina, con quasi 10.000 morti e decine di migliaia di feriti dall’inizio del conflitto… Nel frattempo, i civili nelle aree occupate dalla Russia subiscono torture, maltrattamenti, violenze sessuali e detenzioni arbitrarie. C’è preoccupazione per la sorte dei bambini ucraini, compresi alcuni affidati a istituti, che sono stati trasferiti in altre località all’interno delle aree occupate o deportati in Russia… Bambini che sono stati mandati in campi estivi in Russia, presumibilmente con il consenso dei genitori, ma che poi non sono stati riportati a casa”.

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Si vorrebbe abbracciarli, accoglierli, condurli al sicuro insieme ai genitori (magari evitando i portare gli adulti in Albania, detto per inciso). Anche perché avere salva la vita è il primo obiettivo ma non l’unico.

Leo Venturelli della SIPPS (Società Italiana di Pediatria preventiva e sociale e Garante dell’Infanzia a Bergamo): “In tutti i quadri di guerra, i bambini soffrono come o peggio degli adulti. Infanzia negata significa generazione disturbata… (Vivono) traumi rappresentati sia dallo scoppio delle bombe sia, e mi riferisco ai bimbi israeliani nei kibbutz, dall’essere testimoni dell’uccisione e di torture dei propri cari, parenti, dei propri genitori. Il discorso, però, vale per tutti i bambini coinvolti nelle guerre… Indubbiamente in questo momento quello che fa più scalpore e che viene riportato dai media sono soprattutto i continui attacchi israeliani sulla striscia di Gaza…” (Redattore Sociale, 7.11.23).

Al trauma piscologico, alla paura, ai lutti si aggiungono ferite, malattie, infezioni, denutrizione, precarietà abitativa, interruzione della scuola, perdita di una dimensione di futuro possibile. A Gaza, in Ucraina, e in tanti altri paesi del mondo.

Save the Children riporta che oltre 449 milioni di bambini vivono in zona di guerra. Secondo una recentissima denuncia di Save the Children e Unicef, in Sudan quasi tre milioni di bambini sono in fuga dalla guerra e 6,5 milioni non possono più andare a scuola. E poi ci sono i bambini coinvolti nelle guerre in Siria, in Yemen, in Repubblica Democratica del Congo… Se questo qui ritratto ci guarda con un occhio nero e uno blu, è perché è un bimbo palestinese, israeliano, ucraino, sudanese, yemenita, siriano, congolese. È un bimbo in guerra.

 

(Le immagini sono di opere di Miriam Carani)


testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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