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È in atto un cambiamento significativo nel modo in cui i giovani si identificano con gli adulti. Mentre i ragazzi della generazione dei cosiddetti “millennials” si sono trovati a crescere in una fase storica di adolescenza estesa e con modelli di comportamento improntati al giovanilismo che hanno rallentato la loro maturazione, quelli della successiva “gen Z”, formata dai giovani nati nei primi anni del nuovo millennio, stanno crescendo e raggiungendo l’adultità molto prima dei loro fratelli maggiori.

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Sono riflessioni di M. Shreffler, esperta di cultura e comportamenti giovanili.  

Il modo in cui sono stati cresciuti – i millennials da parte di genitori ancora appartenenti alla generazione dei boomer, e gli “Zs” da genitori nati tra gli anni ’60 e gli anni ’80 (la cosiddetta generazione X)  - svolge un ruolo significativo nel come e nei tempi dello sviluppo di questi ragazzi, spiega la Shreffler.

I Millennials sono stati accuditi e gestiti in modo “capillare” da genitori apprensivi che incombevano su ogni aspetto della loro vita. Questo li ha condotti positivamente nell’età adulta, anche se, nei casi estremi, i genitori hanno continuato a fare le veci dei figli anche quando questi avevano ormai superato i vent’anni, proseguendo a sostenerli con paghette e accudimenti come se fossero ancora molto più piccoli.

Invece, cresciuti da genitori più pragmatici, i giovani Zs sono stati incoraggiati a essere indipendenti e a sforzarsi a trovare la propria strada nel mondo fin dalla giovane età.

Anche gli adolescenti di oggi hanno un accesso senza precedenti al mondo degli adulti. In questi giorni, non è raro che un diciottenne decida solo, in piena autonomia, quale corso di studi universitari intraprendere o abbia imparato a gestire al meglio il proprio bilancio economico, scegliendo con oculatezza come spendere i soldi a disposizione.

Non pochi hanno combattuto per ottenere uno stage di prestigio o tenuto duro per conservarsi un lavoro. E molti di loro hanno probabilmente fatto prima anche esperienze di alcol, droghe e hanno avuto più precocemente le prime esperienze sessuali. Hanno anche amici che sono in genere più maturi di quanto non lascerebbe pensare la loro età anagrafica, il che che favorisce in loro una “sensibilità adulta”.

Paradossalmente, i comportamenti "adulti" che hanno meno possibilità di aver sperimentato sono proprio quelli più strettamente vincolati dalle leggi, quali la guida dell’automobile o il voto. Con una tale esperienza dell’adultità fatta in così giovane età, non è sorprendente che il 41% dei ragazzi di età compresa tra 14-18 anni già si considerino degli adulti, secondo quanto emerge dal rapporto della dottoressa Shreffler.

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Tanto quanto sta cambiando la percezione della loro maturità nei ragazzi, così il modo in cui la comunicazione e il marketing parlano a questa generazione di giovani adulti dovrebbe modificarsi.

Interessante vedere come i pubblicitari si rivolgono a questi giovani. In passato, le aziende affascinavano i ragazzi adolescenti facendoli sentire più grandi e complicati di quanto non fossero, paragonando prodotti o servizi a loro rivolti, a quelli destinati agli adulti.

Oggigiorno, in un periodo in cui gli adolescenti già vedono se stessi come individui maturi, prodotti che suggeriscono loro che potrebbero diventare o sembrare più grandi, rivestono poco fascino ai loro occhi.

Provare a sperimentare i comportamenti degli adulti non è più vista come una cosa rischiosa o audace, risulta invece banale e “vecchia” per loro.

Ad esempio, in televisione. La creazione di blocchi di intrattenimento destinati specificamente agli adolescenti non funziona più, non li attira quanto gli spettacoli destinati a spettatori più anziani, dai documentari, alle fiction noir, fino ai concorsi di cucina.

Così come la pubblicità ha recepito per i propri interessi queste modificazioni nel comportamento e nelle aspettative dei ragazzi, altrettanto la comunicazione sociale dovrebbe far leva su questa maggiore diffusione tra i ragazzi di un sentimento di adultità, favorendo i processi di crescita e di integrazione sociale positiva, trattandoli, sostanzialmente, per quello che già sentono di essere: degli individui in grado di affrontare da soli la sfida di trovare una propria strada nel mondo.