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A un giovane adulto di oggi sarà probabilmente già capitato di sentirsi dire di essere pigro — o di dubitare lui stesso di non fare abbastanza, nel proprio lavoro e anche al di fuori del lavoro. Forse gli capita di sentirsi in colpa quando non è produttivo? O magari di fare finta di essere impegnato per sembrare all’altezza della situazione professionale in cui è inserito? Non sarebbe il solo, spiegano gli esperti.

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Il senso di colpa legato alla produttività è diffusissimo, soprattutto in una cultura che premia il fare continuo e giudica severamente ogni pausa. Generazione Z e millennial vengono spesso dipinti come “sfaticati” o “viziati”, tanto che è facile per loro interiorizzare queste critiche.

Nell’epoca del lavoro da remoto, non essere sempre “attivi” può generare ansia e sensi di colpa. I molti articoli che si possono leggere a sfondo psicologico o di indagine con titoli tipo "Sono depresso o solo pigro?" mostrano quanto questo dubbio sia comune, anche tra persone di successo.

Ma c’è un punto chiave, secondo studiosi e psicologi: la pigrizia non è solo vista come un difetto personale, ma anche morale. Nei testi sacri di molte religioni si condanna la “pigrizia” come fosse una colpa. È per questo che sentirsi chiamare pigro fa più male che essere definiti “distratti” o “lenti”: sembra di essere persone sbagliate, con un difetto di personalità di cui vergognarsi.

Questa visione nasce da una mentalità che affonda le radici nell’etica protestante del lavoro e nei valori capitalisti: l’idea che solo lavorando duro si ha valore e si trova un giusto posto nella società.

Il risultato? Un mondo dove ci si sente sempre in dovere di fare di più, con il rischio di esaurimento, ansia e discriminazioni verso chi lavora in modo diverso o non riesce a reggere certi ritmi, secondo molti analisti.

Perché questa cultura penalizza alcuni più di altri

Le conseguenze non colpiscono tutti allo stesso modo. Se si ha un disturbo cronico, o si viene da una minoranza etnica o si sta affrontando difficoltà economiche, è molto più facile che si venga etichettati come pigro.

A scuola, ad esempio, gli studenti appartenenti a minoranze vengono spesso giudicati come “svogliati” invece di ricevere supporto, in particolare linguistico.

Nei luoghi di lavoro, chi è obeso riceve statisticamente meno promozioni perché si presume che non sia abbastanza attivo. E chi ha gravi carichi familiari (come il dover prendersi cura di un parente) viene visto come poco coinvolto e spesso perde occasioni di crescita professionale.

Ma cosa significa davvero essere pigri?

Spesso, dire “sei pigro” equivale a dire: “Potresti fare di più, ma non ti impegni abbastanza”. Ma chi dà davvero sempre il 100% di sé nel lavoro? Se basta non dare il massimo per essere pigri, allora un po’ tutti lo si è, quasi sempre e in tutte le situazioni.

Secondo una recente ricerca, la “vera pigrizia” si verifica quando “non c’è una buona ragione per non impegnarsi di più”.

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Vengono fatti alcuni esempi:

- Non si svolge il minimo richiesto nel proprio lavoro solo perché “non mi va”. Questo corrisponde a: pigrizia vera.

- Si passa il weekend a rilassarsi per affrontare meglio la settimana. Questo viene definito come una: gestione strategica dell’energia.

- Ci si impegna meno perché si ha un problema di salute. Questo è un caso di: limitazione legittima.

Solo nel primo caso possiamo parlare davvero di pigrizia. Negli altri, si tratta di scelte consapevoli per proteggere il proprio benessere o affrontare limiti reali.

Sembrare pigri può essere una strategia intelligente

La verità, secondo i ricercatori, è che “non conta quanto ci si impegna” ma “come si gestisce il proprio sforzo” per raggiungere ciò che conta davvero per te. Ecco, secondo loro, alcuni esempi di comportamenti che sembrano pigri, ma in realtà sono intelligenti:

- Evitare compiti inutili per avere tempo di pensare in profondità. 

- Mettere dei limiti al lavoro per non esaurirsi. 

- Rifiutare attività extra per evitare il mito della produttività a tutti i costi. 

- Automatizzare mansioni ripetitive per dedicarsi a quelle creative.

Smettere di valutare il valore di una persona solo in base a quanto si sforza o a quanto lavora è liberatorio. Significa capire che “l’energia è una risorsa limitata” e va usata con criterio.

Essere meno produttivi non è sempre un problema. A volte è saggezza

Imparare a distinguere tra vera pigrizia e “gestione giustificata dello sforzo” può cambiare la vita di un giovane. Lo aiuta a non sentirsi in colpa se non è sempre al massimo, e a riconoscere il diritto al riposo e alla lentezza.

Non si tratta di ignorare le proprie responsabilità verso lavoro, amici o famiglia. Ma entro questi confini, può e “dovrebbe” mettere in discussione l’idea che fare di più sia sempre meglio.

Prima di giudicare qualcuno (o se stessi) come pigro, bisognerebbe in sostanza chiedersi se non stia in realtà semplicemente facendo delle scelte intelligenti per proteggere le sue energie, o se non stia affrontando ostacoli e difficoltà che non si vedono.

A volte, concludono i ricercatori, rallentare non è pigrizia — è saggezza.


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