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In un incontro coi bimbi di una scuola poche settimane fa, mentre si parlava insieme all'amico scrittore Fabio Geda, di diritti, profughi e solidarietà, una spavalda alunna, sollecitata dalla nostra domanda circa la definizione della parola "empatia", con la mano ancora alzata ha prontamente risposto: "è stare con entusiasmo dalla parte di qualcuno". 

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Abbiamo sorriso, noi adulti, sbalorditi e fieri di una definizione cosi precisa e limpida. Tra me ho pensato che questa definizione potrebbe a volte calzare perfettamente con la mia professione.

Pochi giorni dopo, in un altro incontro organizzato dalle insegnanti del Liceo Marconi-Delpino di Chiavari insieme all'avvincente prof. Aime, l'ex ministro Fernanda Contri ha incantato le classi, spiegando con inimitabile passione il senso stesso dei diritti fondamentali e della loro universalità.

Ha ricordato ad una rapita platea di ragazzi le ragioni per le quali si deve amare e difendere la nostra Costituzione (che l'ex magistrata della Corte costituzionale ha svelato custodire sul comodino insieme alla bibbia -proprio come don Gallo- perché "in quelle pagine si trovano sempre le risposte"): perché in essa sono enunciati con impareggiabile nitidezza i diritti e le libertà di ognuno e di tutti.

Le sue parole e la lettura di alcuni articoli hanno rinsaldato, in chi l'ascoltava, l'entusiasmo che dovrebbe essere appunto ingrediente imprescindibile dell'empatia. Non si sta dalla parte di qualcuno, non lo si difende, non si sopportano le sue sofferenze, non si sostengono i suoi diritti, se non con forza e in qualche modo con gioiosa determinazione.

E l'entusiasmo dell'essere empatici non deriva necessariamente dal credere di fare ciò che si deve (la mera obbedienza quasi mai rallegra) ma dal "sentire" che tra noi e l'altro dalla cui parte si decide di schierarsi e battersi, non c'è una grande differenza. O quanto meno non ce n'è nei rispettivi diritti e nella loro necessaria difesa. Si tutelano i diritti degli altri per proteggere i propri, perché nessuno li debba mai mettere in discussione ai danni di alcuno.

Da qui deriva, più o meno inconsapevolmente, l'entusiasmo degli empatici. Il 6 marzo si è celebrata anche la loro festa, ovvero la giornata delle donne e degli uomini Giusti, delle persone naturalmente empatiche, che non si sono voltate dall'altra parte quando è capitato loro di assistere ad una sopraffazione, ad una violazione dei diritti, ad un'ingiustizia, ma anzi si sono "con entusiasmo" posti al fianco di chi le ingiustizie le subiva, nella consapevolezza che ogni abuso o iniquità, riguarda indistintamente tutti.

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Se si ha la fortuna di partecipare agli incontri organizzati nelle scuole, di frequentare attivisti che distribuiscono coperte, cibo e buoni consigli, di partecipare alle riunioni delle tante associazioni o ong che hanno tra gli obiettivi statutari la tutela dei diritti, se ci si è ritrovati a confrontarsi con luoghi di "sventura" come ospedali, centri di identificazione ed espulsione per migranti, carceri, campi rom, mense per senza dimora, si comprende perfettamente che quella che Deaglio definisce banalità del bene non è affatto merce rara.

La tradizione ebraica vuole che nel mondo ci siano sempre 36 Giusti, nessuno sa chi sono e nemmeno loro sanno d'esserlo ma quando il male sembra prevalere escono allo scoperto e si prendono i destini del mondo sulle loro spalle e questo sarebbe uno dei motivi perché Dio non distrugge il mondo.

Ogni volta che muore un Giusto contemporaneamente deve nascerne un altro per non lasciare sguarnito il pianeta. Per questo sono ragionevolmente certa che il 3 febbraio mentre veniva ritrovato il corpo senza vita di Giulio Regeni al Cairo un nuovo Giusto o una novella Giusta veniva alla luce.

Per esperienza personale e condivisa con migliaia di persone posso dire che nel mondo almeno gli empatici sono molti più di 36, sono innumerevoli, e, a giudicare dall'energia con la quale si espongono al fianco degli oppressi e degli esclusi, sono destinati a moltiplicarsi.

Perché se il male è certamente banale e dunque noioso, l'empatia è entusiasmante e quindi contagiosa.

 

Testo precedentemente pubblicato da Repubblica - Genova