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Continua a ripeterlo: “sono proprio fortunato”. Io gli credo ma non posso trattenermi dallo scuotere la testa. Non ci vedevamo da alcuni anni. Ora lui vive in Piemonte in un piccolo comune con tanta neve e monti alti “mi piacciono le montagne, molto più del mare. Mi piace camminare, mi piace salire...”

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E questa sarebbe già una buona ragione di fortuna, considerato che prima stava in un campo per richiedenti asilo, vicino a Ventimiglia e che la spiaggia la frequentava solo per tentare di vendere qualche collana ai villeggianti.

Il mare poi, quasi nessuno dei profughi lo ama: lo hanno temuto e odiato nelle interminabili ore della traversata e spesso lo hanno visto inghiottire impassibile qualche sventurato compagno di viaggio. Le montagne invece non gli hanno mai dato problemi. Quando era ancora Ventimiglia, scopre l’amore. Per buona sorte, sulla spiaggia dove “lavora”, incontra una giovane donna in vacanza.

Comunicano con una lingua loro, un misto di inglese, italiano e soprattutto sguardi. Si scambiano i numeri di telefono ma comunicare a distanza è complicato. Lui si dedica allo studio dell’italiano con una foga sconosciuta prima anche perché, lei se lui non si sforza di parlare correttamente, molla la cornetta e lo lascia parlare da solo.

Severa ma giusta. Intanto la commissione territoriale gli nega qualsiasi forma di protezione. La comunità che lo ospitava lo indirizza ad un avvocato che prende le firme e lo rassicura che farà ricorso in tribunale e che tutto andrà bene.

Che bella fortuna, pensa il nostro, che non si perde mai d’animo. Poi anche il tribunale rifiuta di accogliere le sue istanze, ma l’avvocato gli spiega che si può fare appello (siamo ancora prima del decreto Minniti che eliminerà sadicamente un grado di giudizio per i profughi) e che può quindi restare in Italia.

Lui crede che anche questa sia una fortuna. Ma passano le settimane e i mesi l’avvocato scompare, non risponde al telefono non si trova in studio. Non si sa dove sia. E anche il campo di accoglienza chiude i battenti.

Facciamo delle verifiche in corte d’appello e ci viene spiegato che l’avvocato non aveva mai depositato gli atti e ormai sono scaduti i termini per impugnare il rifiuto. Condivide il suo panico e la disperazione di questa notizia con altri profughi che si erano rivolti al medesimo professionista di cui si sono perse le tracce.

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In molti presentano un esposto all’ordine degli avvocati e tentano di proporre appello, seppure fuori termine, spiegando le ragioni a loro non imputabili del ritardo. La corte è’ implacabile: colpa vostra che vi siete fidati del vostro avvocato, e li condanna pure alle spese di lite. E la fortuna? Dove si è nascosta?

Lei gli è sempre rimasta accanto. Sono andati a vivere insieme, tra le montagne.

Lui ha trovato subito lavoro: «mi vogliono tutti bene perché lavoro sodo, sono davvero fortunato». Lei si ammala, lui la sostiene perché ne è innamorato e perché ormai se lo sono giurato: nella buona e nella cattiva sorte. L’ho rivisto l’altro giorno per la testimonianza riguardo l’esposto presentato nei confronti dell’avvocato “scomparso”.

Ha preso ferie e fatto un viaggio perché crede ancora e fermamente nella nostra giustizia, anche se ormai è in attesa di ricevere il suo permesso di soggiorno per motivi di famiglia e il riconoscimento della protezione non è più indispensabile per la sua permanenza.

«Sai mia moglie sta meglio, la sua famiglia è bravissima e io sto benissimo con lei. Che bella fortuna». Penso a quanti drammi, disavventure e ingiustizie si è lasciato alle spalle e questa parola acquista d’un tratto anche per me un altro sapore, non solo dolce.

articolo precedentemente pubblicato da Repubblica


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