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I promise that you’ll never find another like me
Ti assicuro che non troverai mai un’altra come me
Me-e-e, ooh-ooh-ooh-ooh
I’m the only one of me
 
Me-e-e, ooh-ooh-ooh-ooh
Sono l’unica di me

(Taylor Swift)

Alla nascita ogni cucciolo dell’uomo ha la necessità di rispecchiarsi negli occhi di un Altro capace di contenerlo, sostenerlo, significare i suoi stati d’animo e le sue sensazioni. Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare” (D. Winnicott).

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In questo sguardo, il neonato si sente tenuto insieme, fa esperienza di sé come un tutto unitario e impara a dare un nome a ciò che sente e che pensa.

Nell’abbraccio e nella adeguata, per ritmo e intensità, risposta alle proprie necessità, il bambino interiorizza un’immagine di sé amorevole e meritevole di attenzioni che diverrà la base della propria autostima e della capacità di empatizzare. “… ora, a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. Forse il bambino al seno non guarda il seno. E’ più probabile che una caratteristica sia quella di guardare la faccia…Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge” (D. Winnicott)

Le prime esperienze di sintonizzazione fra i bisogni del bambino e le risposte dall’ambiente permettono alla mente di costruire la propria capacità di pensare e con questa, di tollerare la frustrazione e di trovare soluzioni possibili alle diverse ed eventuali problematiche.

Al contrario, se la corrispondenza non si verifica, il bisogno di essere attenzionato, desiderato diventa una fame che divora e che mina il nucleo vitale del sé del bambino: non impara a mettersi nei panni dell’altro perché non lo ha sperimentato; non riconosce le emozioni né in sé né negli altri e quindi li agisce sul piano motorio con comportamenti oppositivi; prova vergogna per la propria vulnerabilità che difende con grandiosità e onnipotenza.

Attualmente i fatti di cronaca e di politica ci consegnano una visione della società caratterizzata da un bisogno di visibilità  che deve essere soddisfatto anche superando ogni limite, come quello del rispetto delle libertà altrui e soprattutto del valore dell’Altro come soggetto.

Sempre più spesso assistiamo impotenti ai comportamenti violenti fra i ragazzi per strada, a scuola, sui social e ai turpiloqui, alle urla nei talk show fra gli adulti che siano politici, professionisti e/o operai non importa: l’altro non è più percepito nella propria soggettività ma come oggetto da conquistare, da umiliare, da possedere.

Un dato ancora maggiormente allarmante è rappresentato dal fatto che questo atteggiamento aggressivo e arrogante è perpetuato e ricercato in nome della fama, del like … dei cuoricini!

“Al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare di sé ed è il non far parlare di sé.” (Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde)

Un virus potente e invisibile corre, infettando le nostre anime, pietrificandole e rendendole imperturbabili, impassibili, fredde all’emotività dell’Altro.

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Nessuno ne è immune e gli adolescenti sono i soggetti più a rischio: non sanno bene distinguere fra giusto e sbagliato, si muovono sull’onda del piacere, sono spesso confusi sulla propria identità e osservano il mondo degli adulti alla ricerca di modelli da seguire, al fine di comprendere il senso dei limiti e delle regole.

I ragazzi sentono il pericolo dell’assenza dei padri e delle madri, ne sono atterriti e manifestano la paura con l’agito, trasformandola in rabbia. Come nel Libro Il signore delle mosche di W. Golding, i ragazzi senza saperlo si chiedono, ci chiedono: “«Che cosa è meglio: avere delle leggi e andare d'accordo, o andare a caccia e uccidere?» Di nuovo il clamore, e di nuovo il sibilo di un sasso. Ralph gridò con tutte le sue forze, per superare il clamore: «Che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?»”

Se gli adulti sono ammalati di una malattia mortale (per l’anima), come potranno i piccoli dell’uomo salvarsi? Quale vaccino per il virus del narcisismo?

Eugenio Borgna, sensibile psichiatra affermava :"mitezza è fonte di saggezza: ci fa uscire dal deserto dell’individualismo e dell’egoismo: è immersione nella interiorità, e ascolto della voce del silenzio, e della nostalgia, coscienza dei nostri limiti, e apertura a una comunità di destino.”

Gentili non deboli, miti non molli, empatici non passivi: crescere i piccoli nel rispetto, maneggiandoli con cura e non esibendoli fin dalla tenera età al freddo gelo della visibilità sui social; creare spazi di pensabilità dove i ragazzi possano sentirsi portatori di una creatività e di una sensibilità che nasce dall’incontro, dal confronto, che non soverchia, che non umilia perché l’Altro è mio fratello e mia sorella, mi è simile nella sua diversità.

Possiamo fermare questa pandemia di narcisismo, “si può fare” insieme, riconoscendoci nella umanità e nutrendo i figli con l’ascolto,  soggettivandoli, non riducendoli a oggetti di soddisfacimento e di consumo.

“Roger si chinò, raccolse una pietra, prese la mira e la scagliò contro Henry - in realtà, mancandolo apposta [...] C'era ancora uno spazio intorno ad Henry, un diametro di oltre cinque metri, in cui non osava tirare. Qui, invisibile eppure ancora forte, resisteva il tabù della vecchia vita. Intorno al bambino accovacciato c'era la protezione dei genitori e della scuola, dei poliziotti e della legge.” (Il signore delle mosche di W. Golding)


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