Nel mondo iperconnesso di oggi risulta quasi ironico e paradossale che molti giovani adulti si sentano sempre più soli. Nonostante vivano in un'epoca in cui la comunicazione è facile come mai prima, le nuove generazioni, in particolare la Gen Z, sembra vivano livelli di benessere sempre più bassi rispetto agli adulti di mezza età e agli anziani.
A confermarlo è Jamil Zaki, psicologo della Stanford University, il cui lavoro indaga il ruolo cruciale delle relazioni sociali per la salute mentale.
Un tempo, la curva della felicità lungo l’arco della vita aveva una forma a “U”: i giovani adulti erano tra i più felici, con un calo nel benessere durante la mezza età, seguito da una risalita nella vecchiaia, spiega l’esperto. Oggi questa curva si è appiattita, trasformandosi in una linea retta ascendente. Gli anziani continuano a riportare alti livelli di felicità, la mezza età resta stabile, ma i giovani adulti sono in netto declino.
Due grandi tendenze possono spiegare questo fenomeno
Da un lato, l’aumento delle disuguaglianze economiche ha reso precaria la condizione di molti giovani. Dall’altro, un ecosistema mediatico sempre più negativo contribuisce a un clima di pessimismo diffuso. Le notizie, infatti, contengono oggi il doppio di riferimenti a rabbia e tristezza rispetto all’inizio del secolo. In un contesto tanto carico di emozioni negative, è comprensibile che i giovani fatichino a mantenere un atteggiamento positivo.
Eppure, afferma Zaki, esiste un potente antidoto a tutto questo: la connessione sociale. Stare con gli amici, aiutare gli altri, aprirsi emotivamente sono comportamenti che favoriscono la felicità, riducono lo stress e alleviano i sintomi della depressione.
Tuttavia, molte pratiche moderne di “self-care” tendono a privilegiare il benessere individuale in solitudine: meditazione tramite app, esercizio fisico in casa, momenti di relax isolati. Nulla di sbagliato in questo, ma il benessere duraturo, sottolinea Zaki, si costruisce più facilmente insieme agli altri.
Il problema è che la socialità richiede sforzo
Le interazioni sociali non vengono più vissute come spontanee, ma come attività che richiedono energia, simili a un allenamento fisico: fanno sentire meglio, ma spesso fatichiamo a avviarle. Inoltre, molti giovani sviluppano una sorta di “inattività sociale”, preferendo stare da soli anche quando desiderano la compagnia.
Una barriera ulteriore è la sfiducia: spesso sottovalutiamo quanto gli altri siano gentili, accoglienti e degni di fiducia. Questi pregiudizi ci impediscono di cercare nuove connessioni, nonostante siano proprio queste a poterci sorprendere positivamente.
Il contesto politico e sociale amplifica questa sfiducia
In un clima polarizzato, tendiamo a percepire chi non la pensa come noi in modo eccessivamente negativo. Ricerche condotte dal laboratorio di Zaki mostrano che sia repubblicani che democratici immaginano l’altro schieramento come molto più estremo, odioso e antidemocratico di quanto non sia in realtà. Questo allontanamento reciproco impedisce il dialogo e alimenta una solitudine ideologica.
Eppure, anche in questo caso, la soluzione passa per l’incontro. Esperimenti condotti dal gruppo di ricerca di Zaki hanno dimostrato che, mettendo a confronto persone con opinioni opposte su temi difficili, come il cambiamento climatico o il controllo delle armi, si ottengono risultati sorprendenti: le conversazioni sono più civili e produttive di quanto ci si aspetti, portando spesso a una comprensione reciproca maggiore.
Cosa possono fare, concretamente, i giovani per invertire la rotta?
Il primo passo è riconoscere che gli altri vogliono connettersi tanto quanto loro.
Alla Stanford, un esperimento ha mostrato che semplici interventi visivi – come manifesti nei dormitori con dati reali sulla gentilezza e disponibilità degli studenti – hanno spinto i giovani a cercare più attivamente nuove amicizie. Dopo sei mesi, coloro che avevano ricevuto questi stimoli avevano un numero significativamente maggiore di amici rispetto al gruppo di controllo.
Il messaggio, in fondo, è semplice ma potente: non possiamo aspettarci di sentirci meglio restando fermi nella nostra solitudine.
Occorre fare quel piccolo sforzo per uscire, parlare, fidarsi. Spesso basta poco per scoprire che dall’altra parte c’è qualcuno che aspettava proprio noi.