Secondo le teorie più accreditate, i motivi per cui i giovani sperimentano episodi psicotici precocemente si basano su fattori individuali, come l’abuso durante l’infanzia, il bullismo scolastico o l’uso di droghe. Ma un nuovo studio della Silver School of Social Work della New York University suggerisce che fattori sociali più ampi, come la discriminazione e episodi di razzismo, potrebbero contribuire all’incidenza proporzionalmente più alta di psicosi riscontrata tra i giovani adulti a basso reddito appartenenti a minoranze etniche.
Lo studio, intitolato “Social Defeat and Psychosis in the United States”, è stato pubblicato sulla rivista “Schizophrenia Bulletin” e firmato dal professor Jordan DeVylder della NYU Silver.
I ricercatori hanno utilizzato i dati del “National Survey of Poly-Victimization and Mental Health” per analizzare l’impatto di fattori individuali e sociali (o strutturali) sul rischio di insorgenza precoce della psicosi. Il campione comprendeva 1.584 partecipanti statunitensi di età compresa tra i 18 e i 29 anni.
Tra i partecipanti, le persone di etnie minoritarie avevano una probabilità del 60% più alta di riferire di aver vissuto uno o più episodi psicotici nell’anno precedente rispetto ai partecipanti bianchi.
Inoltre, chi dichiarava di aver avuto esperienze di violenza da parte della polizia mostrava una probabilità del 52% più alta di aver avuto almeno un episodio di tipo delirante o allucinatorio nello stesso arco di tempo.
I fattori di rischio più riconosciuti per la psicosi sono descritti nella cosiddetta “Ipotesi della Sconfitta Sociale” (Social Defeat Hypothesis), un quadro teorico influente usato dagli psichiatri per trattare i giovani con sintomi psicotici.
Mentre questa ipotesi si concentra sull’impatto individuale degli eventi negativi, lo studio dell’NYU amplia la prospettiva, considerando anche i sistemi sociali e i fattori strutturali.
Secondo l’analisi, la sensazione soggettiva di “sconfitta sociale” può effettivamente portare a sintomi psicotici, anche come conseguenza di frequente uso di sostanze o di episodi di bullismo, in linea con l’ipotesi originale.
Tuttavia, lo studio indica che anche la disuguaglianza etnica e la discriminazione persistente e l’esposizione alla violenza delle forze dell’ordine possono essere fattori significativi.
Gli autori dello studio propongono che si approfondisca la ricerca sugli effetti dei fattori sociali, particolarmente rilevanti nelle comunità a basso reddito ed emarginate.
La cosiddetta “Ipotesi della Sconfitta Sociale”, sviluppata nell’Europa settentrionale, viene utilizzata da oltre vent’anni negli Stati Uniti per comprendere lo sviluppo della psicosi, una condizione che può essere associata a pensieri suicidari o addirittura alla schizofrenia nei giovani adulti.
Secondo questa teoria, le “sconfitte sociali”, come l’umiliazione ripetuta, provocano alterazioni neurobiologiche a lungo termine, in particolare nel sistema della dopamina, che possono portare a episodi in cui l’individuo perde il contatto con la realtà.
Per questo studio, i ricercatori hanno collaborato strettamente con la studiosa Lisa Fedina dell’Università del Michigan, insieme ad altri dottorandi della NYU Silver.
Commentando l’importanza dei risultati, il professor DeVylder ha affermato che i fattori strutturali possono esercitare un’influenza “sostanziale” sul rischio di sviluppare psicosi, contribuendo potenzialmente a spiegare le disparità etnorazziali nella salute mentale negli Stati Uniti.
"Ciò potrebbe significare che ridurre l’esposizione ai fattori sistemici, come il razzismo sociale, potrebbe portare benefici alla salute mentale paragonabili a quelli degli interventi focalizzati sull’individuo, come la psicoterapia".
Indicazioni preziose anche per la situazione italiana, in considerazione della rilevante trasformazione della composizione sociale e delle difficoltà di una integrazione reale degli immigrati di prima o seconda generazione, soprattutto in area periferiche delle metropoli, dove l’incidenza della povertà e della marginalità sociale sono più forti.