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Nel dialetto ferrarese c’è un termine, scunzamnestra. Indica i guastafeste, quelli che – alla lettera – scondiscono la minestra, e non è impresa da poco togliere sapore alle pietanze.

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Me lo attribuisco mentre seguo con la commozione di tutti, ma con un’aggiunta di disincanto, le storie di singoli bambini tratti in salvo dalla guerra. Lo penso per Mustafa e Munzir, il bimbo e il papà siriani che hanno avuto l’occasione fortuita di esprimere in una fotografia, giustamente premiata, la loro gioia di vivere e ne sono stati ricompensati. O per Sohail Ahmadi, il bimbo afghano che ad appena due mesi di vita è stato consegnato disperatamente a un soldato americano attraverso il muro dell’aeroporto di Kabul e affidato più di recente al nonno ritrovato, in attesa di riunirlo ai genitori e ai fratelli evacuati negli Stati Uniti.

Scunzamnestra, sì, perché non riesco a togliermi l’amaro in bocca. Continuo a pensare ai milioni di bambini nelle stesse condizioni che nessun reporter riprenderà, e che per questo non muoveranno la nostra commozione, non susciteranno raccolte di fondi o gare di solidarietà per realizzare i loro sogni.

Di più, ci sento un filo di manipolazione in questa mania di costruire casi mediatici eclatanti su singole storie di salvezza – storie benedette, non è questo il punto – perché da queste parti solo lo spettacolo esiste veramente e ce lo hanno dato. Possiamo rappacificarci, gente di buon cuore, e non pensare a ciò che non si vede.

Da lettrice distratta, per oggi scelgo l’Afghanistan e mi fermo ai titoli o poco più. Pilucco notizie sui suoi bambini. Secondo l’Unicef, dal 2005 alla “fine” della guerra ne sono morti 28.500. Questa Organizzazione il 7 dicembre scorso ha emesso il più importante appello umanitario per singolo paese degli ultimi anni: occorrono 2 miliardi di dollari per i bisogni di 24 milioni di persone, per la metà bambini. “Si stima che un bambino su due sotto i 5 anni soffrirà di malnutrizione acuta nel 2022 a causa della crisi nutrizionale e dello scarso accesso ad acqua e a servizi igienico-sanitari. Continuano le epidemie di malattie pericolose per la vita, con oltre 60.000 casi di morbillo registrati nel 2021. Si stima che 8 afghani su 10 bevano acqua contaminata batteriologicamente. Inoltre…”

In dicembre diverse testate raccontano di famiglie talmente povere da vendere i figli. Già mesi prima, il 30.09.21, su Vita.it: “Il mercato dei bambini di Kabul. Nel bazar della città valgono 200 euro. Gli adolescenti 500… La situazione è così drammatica che molte famiglie disperate hanno iniziato a vendere le proprie figlie oltre che tutti gli oggetti della loro casa per ottenere un po’ di denaro contante per acquistare cibo o per scappare dall’inferno afghano… Chi compra ne fa i suoi piccoli schiavi in casa e in bottega o, nel caso delle bambine, la moglie/schiava. Per la cronaca, la pedofilia dilaga in Afghanistan e i matrimoni forzati sono la norma, non avendo le donne voce in capitolo”. Su un’agenzia leggo di un mercato fiorente anche per gli organi interni.

29.12.21, su la Repubblica, “Tra i bambini dell’Afghanistan costretti a lavorare”. I ragazzini si danno da fare al posto dei genitori, irrimediabilmente disoccupati, per guadagnare meno di 1 Euro al giorno mentre un sacco di farina ne costa 25.

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Qualche giorno dopo, ancora Unicef: “Afghanistan: fame e freddo minacciano i bambini”. Il portavoce Iacomini avverte: “La situazione sta precipitando a causa dell’arrivo delle rigide temperature invernali che crea problemi enormi. Le famiglie sono arrivate al punto di bruciare vestiti, coperte o mobili per riscaldarsi. Siamo sull’orlo del disastro”. Apprendo altrove di un anziano che ha bruciato viva l’ottava moglie, diciottenne, che si ostinava a scappare da lui, ed è un modo ben peggiore per scaldarsi.

A ferire i bambini oltre al freddo, le malattie, la siccità, la malnutrizione, i matrimoni forzati, il lavoro minorile, il trauma, la povertà… ci sono le bombe inesplose, strascichi della guerra. A farne le spese sono spesso i più piccoli. Su Avvenire del 10.1.22, “Nove bambini uccisi e quattro feriti da un mortaio fuori da una scuola”. Inavvertitamente l’hanno innescato passando con un carrettino di popcorn. “L’Afghanistan è tra i Paesi con il numero più alto di mine e di altri ordigni non esplosi…”.

La catastrofe evidente si potrebbe riassumere con le parole di GreenReport.it del 5.1.22. “Mentre l’Occidente ha completato la sua vergognosa ritirata dall’Afghanistan, dopo una insensata guerra ventennale che ha bruciato trilioni di dollari che, se investiti nello sviluppo sostenibile, avrebbero reso l’Afghanistan il Paese più prospero dell’Asia, sul campo ad aiutare gli afghani e le afghane sono rimaste solo le vituperate Onu e ONG. Finora i partner umanitari in Afghanistan hanno raggiunto 9 milioni di persone con l’assistenza alimentare, 201.000 bambini con trattamenti per la malnutrizione acuta; 4 milioni di persone con assistenza sanitaria; 110.000 persone con assistenza per l’inverno”.

Dove non arriva la politica sembra arrivare il timore per la propria reputazione, ed è anche qui che il giornalismo può fare la differenza. Così accade ad esempio che l’inviato del Tg2 Gianmarco Sicuro, visitando una prigione di Kandahar, veda dietro le sbarre dei bambini. Chiede spiegazioni e gli viene detto che sono stati condotti lì perché trovati a elemosinare per la strada. Il giornalista attiva l’Unicef, che riesce a persuadere i responsabili della prigione e il governatore dell’emirato a lasciarli andare per affidarli a una struttura per l’infanzia. Ancora una volta sono gli occhi dell’Occidente, dotati di un’audience ragguardevole, a fare la differenza.

Una storia diversa, più sommessa ma ugualmente rilevante la racconta la giornalista Barbara Schiavulli. Una donna afghana che vive in Olanda riesce miracolosamente ad arrivare a lei che è in procinto di partire per Kabul e a chiederle di verificare come stanno i quattro nipotini, che hanno tra i 6 e i 12 anni e vivono in condizioni incerte. Effettivamente la madre è stata uccisa, il padre tossicodipendente non riesce a prendersene cura e la sorella maggiore, 14 anni, è stata rapita e data in sposa. Anche qui è l’attenzione a fare la differenza, innanzitutto interna al paese: il vicino di casa non ce la fa a vedere quattro bimbetti soli in strada e con la moglie li accoglie presso di sé, insieme ai suoi figli. Con le indicazioni giuste la Schiavulli riesce a visitarli e ad accertarsi delle loro condizioni.

Nessuno di loro sa leggere o scrivere. Nessuno va a scuola. La scuola è gratis, ma servono libri, penne, vestiti e loro non hanno nulla. In un angolo di quella stanza, sporca ma dignitosa, annerita dal fumo, c’è una montagnola di stracci, la fine di una bottiglia d’olio, qualche pentola: è tutto quello che hanno. Neanche una coperta nelle notti sottozero dell’Afghanistan. Le ragazze indossano veli colorati, hanno le mani e i piedi non troppo puliti, ma piano piano che si abituano alla nostra presenza, si fanno più coraggiosi. Ziba ha 10 anni e dice di voler fare la maestra anche se non ha mai studiato. Bashira, 8 anni, ci mostra una bambola bionda senza gambe, l’unico gioco che ha. Arman, 6 anni, è l’unico maschio, si toglie i calzini, fa “ciao” con il piede e accenna a un sorriso. Siamo lì da mezzora è nessuno di loro ha mai sorriso. «Vorremmo una vita migliore». Nazani, che significa una vita migliore? «Andare a scuola, avere caldo, mangiare»”.

L’intero reportage, comparso su Radio Bullets con il titolo “I bambini di Kabul”, merita davvero.

testo precedentemente pubblicato da Azione nonviolenta

Elena Buccoliero
Sociologa e counsellor, è docente a contratto all’Università di Parma sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti e svolge attività di formazione, ricerca, supervisione e sensibilizzazione su bullismo, violenza di genere e assistita, diritti delle persone minorenni. Dal 2008 al 2019 è stata giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Ha diretto la Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati (2014-2021) e l’ufficio Diritti dei minori del Comune di Ferrara (2013-2020). Da molti anni aderisce al Movimento Nonviolento. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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