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Non è raro, quando si hanno figli ormai entrati nella giovane età adulta, vedere i propri consigli, pur meditati e dati a fin di bene, passare totalmente inascoltati. Lo stesso consiglio viene però dato tempo dopo da un amico o amica coetanei e viene questa volta accolto con entusiasmo.

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Per un genitore questo comporta grande sorpresa e frustrazione, specialmente quando è convinto che quel consiglio era giusto e poteva davvero fare la differenza.

Ma allora perché succede? La risposta, osserva la psicologia,  è molto più semplice di quanto si pensi: il consiglio era giusto, ma chi lo dava no.

L’effetto prodotto da chi esprime il messaggio

Questa situazione non dipende dal carattere del proprio ragazzo o del genitore. La teoria della comunicazione e la psicologia sociale dicono che le persone, soprattutto i giovani della Gen Z, danno più valore a un consiglio se arriva da qualcuno che rispettano o ammirano, piuttosto che da qualcun altro, anche se il contenuto è identico.

Questo fenomeno viene denominato “effetto dell’emittente”: chi trasmette il messaggio ha più impatto del messaggio stesso. In pratica, la credibilità, la simpatia e l’autorità percepita di chi parla influenzano l’accettazione del consiglio, indipendentemente dalla sua validità.

Per i giovani venticinquenni o trentenni di oggi, questo è ancora più evidente. Nel mondo di oggi i social media, le community online e gli influencer digitali hanno un enorme peso nelle decisioni, in particolare dei più giovani.

Di conseguenza, se un genitore dà un consiglio, è facile che venga ignorato non perché sia sbagliato, ma perché arriva da qualcuno più lontano dal mondo in cui vive il figlio. Invece, lo stesso consiglio preso da un amico, da un post o da un video online può suonare come vero e affidabile.

È normale che questo dia fastidio a un adulto, ma è bene che questi ricordi che non è un attacco personale e non ha a che fare con il fatto che un figlio non apprezzi i consigli di un genitore. È solo una questione di chi glieli dà.

Prima di dare un consiglio un figlio, è bene  chiedersi se sia è il momento giusto per farlo e, per lui, per ascoltarlo.

Potrebbe non essere pronto a ricevere suggerimenti, soprattutto se si trova in difficoltà o sulla difensiva. Meglio riflettere anche su come il consiglio possa essere percepito: detto da un padre o da una madre, potrebbe suonare come un ordine anziché come un’opzione.

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Si può provare a riformularlo in modo più collaborativo, domandandosi se un figlio sta davvero cercando un consiglio o se ha solo bisogno di sfogarsi e sentirsi capito.

Prima di offrire una soluzione, si può semplicemente domandare se si senta aperto per ricevere un consiglio, o se si possa dirgli come la si vede. Rispettando poi la sua risposta, qualunque essa sia.

Da genitori, è naturale voler essere la persona di riferimento per i propri figli. Si vorrebbe aiutarli a prendere le decisioni migliori e sapere che i propri consigli hanno un impatto.

Eppure la verità, anche se difficile da accettare, è che non importa da chi arriva il consiglio, conta solo che venga ascoltato e messo in pratica.

Quando un figlio segue un consiglio dato da qualcun altro, anche se era lo stesso che gli si era dato, consigliano i terapeuti che si occupano di famiglie, alla fine, quello che conta è che il messaggio sia arrivato.

Se l’obiettivo era di aiutarlo, un genitore deve imparare a lasciar perdere il suo bisogno di essere riconosciuto per quel consiglio.

Quello che importa, in fondo, è che un figlio faccia la scelta giusta, non che ammetta che si aveva ragione, anche se questo darebbe una grande soddisfazione, ovviamente.


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